WEB MARKETING E TURISMO


4. SOCIAL MEDIA MARKETING

4.1 Introduzione: i social media

In questo capitolo si vogliono approfondire le ripercussioni nell’offerta turistica dei cambiamenti verificatisi sia nella domanda turistica, con l’affermarsi di un turista-prosumer, sia con nuove tecnologie, che hanno facilitato l’interazione tra imprese e turisti. Negli ultimi anni, infatti, è emerso un nuovo trend per la ricerca di informazioni, grazie al moltiplicarsi dei social media e dei loro contenuti sociali, ben rappresentati dalle varie forme di user generated content, ovvero di quei contenuti generati e condivisi dagli utenti attraverso i blog, comunità virtuali, wikis, social networks, collaborative tagging e siti di sharing. Queste dinamiche trasformazioni emergono anche nel settore del turismo, dove l’acquisto di un viaggio è percepito con un alto rischio, per cui i suggerimenti, anche emozionali, di gruppi di riferimento online assumono un aspetto importante nella valutazione d’acquisto e nella scelta del viaggio. L’utilizzo di tale influenza interpersonale, che trova la sua massima espressione in community, social network e forum, può diventare un vantaggio competitivo per gli operatori della destinazione ospitale se ben gestita.

Per descrivere l’emergere dei social media si analizzerà come nasce il mercato delle conversazioni (De Felice, 2010) e poi come si sviluppa, quali sono i luoghi privilegiati del passaparola online e quali sono le regole, socialmente condivise, di tali luoghi. Sempre in una prospettiva operativa, cioè per intervenire e dialogare con i clienti reali e potenziali, al fine di progettare campagne di viral marketing e di social media marketing in grado di apportare benefici economici e di immagine a destinazioni e operatori turistici. (Litvins, Goldsmith, Pan, 2008).

4.2 Dal passaparola al marketing virale

4.2.1 WOM e-WOM e opinion leader

Il passaparola o Word of Mouth (WOM) (Qualman, 2009) nasce dalla motivazione di condividere con la propria community, considerata una cerchia di amici, emozioni, passioni comuni, elementi di soddisfazione, piacere o insoddisfazione, mediati da valori inclusivi ed esclusivi. I turisti avviano il passaparola per i seguenti motivi:

a. delusione e insoddisfazione: viene raccontato che la promessa non è stata mantenuta. Chi lavora negli uffi ci preposti a lamentele e reclami ha il compito di stimolare i clienti a far emergere le perplessità perché in tal modo si può intervenire e correggere ciò che non va. La gestione delle cattive notizie può trasformare un potenziale passaparola negativo in positivo;

b. la novità sorprendente: gli operatori introducono innovazioni personalizzate, non previste dai turisti. Ciò è possibile soprattutto con i turisti già conosciuti, per cui si regala un’escursione speciale se si sa che sono dei naturalisti, oppure una torta per l’eventuale compleanno. Quando le aspettative del cliente vengono superate, si avviano considerazioni positive;

c. il piacere di chiacchierare (pettegolezzi, nostalgie, ecc.): tornati a casa, i turisti usano fotografi e e parole per socializzare l’esperienza con amici e parenti (Lofgren, 2001). Questo fatto dimostra che, sin dall’inizio del turismo di massa, la ciarliera piccola borghesia trova nelle discussioni un piacere irrefrenabile nel condividere le esperienze con gli altri, infarcendo i racconti di “piccole narrazioni” (aneddoti, commenti su altri turisti e sui servizi e molto meno sui contatti con i locali). Anche i souvenir regalati al ritorno acquistano valore relazionale perché accompagnati da allegre rifl essioni sui luoghi d’origine;

d. tensioni interiori da scaricare: si tratta di dissonanze cognitive (“ho fatto bene a scegliere questa vacanza?”), ma anche di traumi e dilemmi esistenziali in merito alle persone con cui si è fatta la vacanza. I turisti allora parlano con altri amici, che reputano simili a loro per stili di vita, e chiedono loro di fare di nuovo la stessa vacanza. In tal modo la scelta viene confermata. Nella fase della scelta, le tensioni interiori si sciolgono si e chiedono referenze alle persone conosciute e di cui ci si fi da (Dal’Ara, 2005).

Quando il WOM diventa digitale, la diffusione a larga scala e la natura anonima ed effimera di internet riproducono i modi tradizionali, ma anche inducono nuovi modi di catturare, analizzare, interpretare e gestire l’influenza che un turista può avere su un altro (Litvin, Goldsmith e Pan, 2008) Si ha la dilatazione o dis-embending dello scambio sociale del passaparola, che, da biotico e basato sulla co-presenza fi sica diventa virtuale e basato sulla presenza discontinua e intermittente. Ma è pur sempre, in ogni caso, una relazione dotata di senso. Il passaparola elettronico (eWOM) può essere definito come tutte le conversazioni informali, dirette ai consumatori attraverso la tecnologia basata su internet i e sull’uso ottimale di beni e servizi, il cui contenuto informativo facilita la compravendita, che è l’atto finale dello scambio sociale.

Del passaparola interessa l’influenza interpersonale online, indotta dalle conversazioni informali tra consumatori/turisti al loro interno e tra produttori e consumatori/turisti, in quanto opportunità per gli operatori dell’incoming e del destination manager. Esso può esso uno strumento di marketing da parte del manager della destinazione ospitale se quest’ultimo ha un progetto e utilizza delle tecniche per incrementare le relazioni. Dall’Ara (2005) ha studiato il passaparola come strumento di marketing operativo per insegnare come si fa a stimolare e promuovere le tecniche di gestione del passaparola positivo, facendo convergere in un manuale le sue esperienze professionali precedenti l’avvento di internet.

Queste tecniche devono essere conosciute in modo preliminare proprio perché l’e-WOM è anche un’estensione di modelli comunicativi già presenti nella società turistica (e non). L’ eWOM è contemporaneamente, un insieme di continuità e di innovazioni discontinue rispetto alle regole base del WOM pre-elettronico. Per esempio, da sempre la famiglia nucleare del turismo di massa (lui, lei e due bambini), espresso dalla società industriale, decide dove e con chi fare la vacanza dopo aver ascoltato i consigli di parenti e amici, mentre la pubblicità dei tour operator serviva soprattutto a vendere un prodotto breandizzato, a offrire un prodotto che concretizzava una decisione già presa in termini di destinazione e di scelta dei compagni di viaggio (Costa, 2004).

4.2.2 Il marketing virale

Il mormorio, il dialogo, il pettegolezzo, il giudizio, il passaparola generano l’influenza interpersonale. Essa non fluisce soltanto dagli opinion leader ai seguaci, ma anche si propaga come la conseguenza di relazioni tra i seguaci. I marketers, sperando di incanalare tali relazioni in azioni profittevoli di promo-commercializzazione, cercano di creare il “buzz” (Rosen, 2000, Litvin, Goldsmith, Pan, 2008), una variante specifica del passaparola. Westbrook (1987, p. 259) ha descritto per primo il WOM in modo “allargato”, includendo “tutte le comunicazioni informali dirette ad altri consumatori sull’acquisto, uso o caratteristiche di un particolare bene o servizio o venditore”.

Il passaparola è quindi un processo che si autoalimenta grazie alla naturale trasformazione dei destinatari in nuovi vettori del messaggio. A questo si aggiunge la definizione di Buttle (Buttle, 1998) che, trasferendo il concetto di WOM su Internet, ne evidenzia il suo cambiamento da esclusiva forma di comunicazione tra clienti a strumento di comunicazione che coinvolge anche i produttori e le aziende. Quindi, il passo successivo: il buzz è definito da Thomas (2004, p. 64) come “l’amplificazione degli iniziali sforzi di marketing verso il coinvolgimento di soggetti terzi attraverso la loro influenza, passiva o attiva”.

La volontà manipolativa di utilizzare il passaparola, meglio sarebbe dire l’invenzione del “buzz” per scopi di business. (Litvin, Goldsmith, Pan, 2008) caratterizza il marketing virale come strumento per massimizzare i vantaggi del e-WOM-buzz. L’espressione marketing virale è stata coniata da Jurvetson e Draper nel 1997 (Juvertson, Draper, 1997) e denota ogni strategia che stimoli e incoraggi gli individui a trasmettere ad altri e a diffondere un messaggio, generando il potenziale per una crescita esponenziale sia della notorietà sia dell’influenza del messaggio stesso. L’utilizzo del consumatore come veicolo di diffusione del messaggio rimanda a quella forma di pubblicità e di promozione

per così dire naturale che è il passaparola. La definizione “viral” fu coniata per descrivere il successo di Hotmail, fornitore di free mail, che in 18 mesi riuscì ad assicurarsi 12 milioni di abbonati, con costi relativamente ridotti. Partendo dall’esempio di Hotmail, infatti, i due studiosi hanno notato che gran parte del potere di internet sta nella possibilità di ognuno di essere un editore: il risultato è un sovraffollamento di contenuti e la conseguente difficoltà per il cliente a selezionare e processare tutte le informazioni ricevute, per cui la carta vincente degli operatori innovativi è nel cercare di ottenere attenzione da parte del cliente attraverso strategie non convenzionali. Unendo a questo assunto quello del passaparola, che funge da strumento in grado di ridurre la complessità informativa in quanto fonte di informazioni filtrate e disinteressate che facilitano il processo di acquisto, si arriva a delineare il concetto di marketing virale. E proprio nel marketing virale i due studiosi individuano una nuova strategia di promozione non convenzionale: “elevarsi al di sopra di molte voci richiede creatività. Urlare non è molto creativo. Creare un sito web e aspettare i clienti non è molto creativo. Piuttosto, le nuove imprese possono strutturare il loro business in modo da permettergli di crescere come un virus”. (Juvertson e Draper, 1997). Catturare l’attenzione dei potenziali turisti online attraverso il passaparola, o meglio attraverso il marketing virale, diventa una nuova strategia di marketing più potente di una normale pubblicità perché coinvolge il consiglio di un amico, nonostante rimangano spesso chiari gli intenti pubblicitari (Jurvetson, 2000). Il marketing virale può quindi essere definito come una qualsiasi azione o attività che stimoli le persone a passare un messaggio pubblicitario a conoscenti e amici; è sostanzialmente un’evoluzione del passaparola, ma se ne distingue per il fatto di avere un’intenzione volontaria da parte dei promotori della campagna. Il principio del viral marketing si basa sull’originalità di un’idea: qualcosa che, a causa della sua natura o del suo contenuto, riesce a espandersi molto velocemente presso un determinato target.

Ma come si costruisce una campagna di viral marketing? Il primo ad aver modellizzato questa originale forma promozionale è stato Ralph F. Wilson, di professione E-Commerce Consultant, che ne ha defi nito i principi in “The Six Simple Principles of Viral Marketing”, di seguito riportati (Wilson, 2005):

  • offrire servizi e prodotti gratuiti o sconti, in modo da incentivare la diffusione del messaggio anche tra i più restii;
  • creare un messaggio facile da trasferire ad altri (amici e conoscenti), con tool incorporati, come per esempio, “invia a un amico”;
  • deve essere facilmente scalabile. Il metodo di trasmissione del “virus” si deve adattare rapidamente a una risposta ampia da parte delle persone, in quanto il messaggio si trasmette in modo esponenziale e rapido;
  • contiene motivazioni e comportamenti comuni a un target di persone, quindi si deve creare un messaggio originale e coinvolgente, che deve colpire l’utente;
  • utilizza le reti di comunicazione come i Social Network, proprio perché è qui che si aggrega un numero sempre maggiore di utenti e, quindi, di potenziali consumatori;
  • approfitta delle risorse degli altri, basti pensare al caso eclatante di Hotmail. Si è infatti avuta la brillante idea di allegare a ogni e-mail inviata tramite Hotmail il messaggio: “PS: Get your free e-mail account at http://www.hotmail.com”. Ogni mittente consigliava, involontariamente, al destinatario di ottenere un servizio gratis di e-mail presso Hotmail ed è così che il fondatore si ritrovò con più di 12 milioni di abbonati (Kornfeind, 2007).

Dai principi base del viral marketing si può comprende che questo strumento promozionale non mira a imporre il prodotto ai consumatori ma piuttosto a indurre i consumatori a farsi testimonial del prodotto/servizio. L’obiettivo non è di realizzare una vendita diretta, ma quello di relazionare positivamente il proprio marchio con un potenziale cliente (Mirri,

2005). Pertanto, i ritorni economici, di notorietà e immagine di una vera campagna di comunicazione virale non è completamente pianificabile a priori, proprio perché non si può sapere se il messaggio avrà un effetto virale e se coinvolgerà un alto numero di utenti (Lalli, 2008). Non è cosa facile far si che gli utenti inoltrino il messaggio ad altre persone, innescando un meccanismo di diffusione ampia e veloce, una diffusione virale appunto.

Cosa spinge dunque gli utenti a prendere parte a una community di un brand e a diffondere messaggi virali o un passaparola positivo?

Uno studio di Casaló, Flavián, Guinalíu (2010) spiega l’intenzione dei consumatori di partecipare all’interno di questi gruppi e il legame che esiste tra la volontà partecipativa, l’intenzione di acquisto e l’intenzione di raccomandare l’azienda o la destinazione turistica, diffondendo i suoi messaggi virali. Tra i fattori che influiscono maggiormente nell’intenzione a partecipare a una community online c’è l’utilità percepita, la facilità d’uso, l’identificazione nei prodotti, servizi o valori aziendali, il controllo comportamentale percepito e l’attitudine personale alla partecipazione e condivisione. Lo studio conferma inoltre che la volontà di partecipare a una community ha effetti positivi per l’azienda che la ospita, proprio perché i partecipanti sono più propensi ad acquistare beni e servizi, ma soprattutto a raccomandare l’azienda, divenendo facilmente clienti advocate o evangelisti, ovvero dei veri e propri promoter. Alcune raccomandazioni per incidere sulla volontà partecipativa alle community per spargere messaggi virali, vengono dai ricercatori, come

conclusione della loro ricerca:

  • l’intenzione a partecipare dipende soprattutto dall’utilità e dalla facilità d’uso della piattaforma sociale. Pertanto occorre incrementare contenuti utili e pertinenti, magari con sconti o promozioni riservate che, unite a un linguaggio adatto e a un design dal facile utilizzo, possono facilitare la partecipazione di un alto numero di utenti;
  • l’identificazione di comuni passioni e valori, che sono il fulcro portante della community, è indispensabile per creare un gruppo stabile con un’identità condivisa tra utenti e con l’azienda che ospita il gruppo. È quindi importante anche promuovere eventi e occasioni intorno alle quali incontrarsi, anche solo in modo virtuale;
  • la promozione della community attraverso diversi strumenti online, come blog e siti web con alto traffico (Casaló, Flavián, Guinalíu, 2010, pp. 908-909).

 

Qualche esempio di Viral Marketing:

Coca Cola



Sensibilizzazione alla guida

Assicurazione sulla vita

Il turismo Svizzero

4.3 Implicazioni manageriali

4.3.1 Cambio di visione manageriale: i mercati sono conversazioni


Partendo dall’idea guida che “i mercati sono conversazioni”, le dinamiche sociali formano i network relazionali che le aziende sono stimolate a gestire con la loro presenza sul web. La comunicazione da unidirezionale diventa interattiva e la “socialità” emerge come un fattore determinante di successo. (Marescah, 2008).

Si richiede un cambio di visione manageriale: da un modello tradizionale, che si basava su una comunicazione autoreferenziale, occorre passare a un modello relazionale, che si basa su un dialogo interattivo potenziando il marketing conversazionale. Nel libro “Marketing to the Social Web”, Larry Weber afferma che “comprendere il mercato del social web richiede di imparare un nuovo modo di comunicare con l’audience nell’ambiente digitale. Invece di continuare a essere broadcaster, gli uomini di marketing dovranno diventare aggregatori di comunità di clienti. Invece di parlare ‘’ai’’ clienti, i marketer dovranno parlare ‘’con’’ i clienti. E il social web è la via più efficiente per poterlo fare su

larga scala. Il social web è il luogo on line dove persone con interessi comuni si riuniscono per condividere pensieri, commenti e opinioni” (Weber, 2007).

Larry Weber sostiene che il web 2.0 possa essere una grande opportunità per le aziende del settore, ma anche che sono richieste nuove competenze comunicative per utilizzare correttamente gli “strumenti sociali” messi loro a disposizione da internet.

Non si potranno mai attivare, per esempio, l’eWOM e il marketing virale se non si cambia la visione dell’opinion leader, che non è soltanto la celebrità che si esibisce negli old media generalisti (giornalisti, attori-attrici ecc.), ma anche il leader molecolare dei gruppi di hobbysti che hanno effettivamente sviluppato competenze professionali nello sport, nella cultura, nella stessa valutazione dei servizi con atteggiamento positivo e generosità verbale. Ascoltare e “mettere a lavorare” tali opinion leader molecolari è altrettanto importante della decisione di migliorare la destinazione o i servizi, in modo straordinario, quando arriva la celebrità. In tale contesto, sarebbe opportuno ridistribuire il budget assegnato al marketing mix tradizionale: limitare gli inviti ai giornalisti e alla gente dello spettacolo, disapplicando in parte il vecchio modello delle two steps of communication (Katz e Lazarsferld): non c’è bisogno che il sindaco vada nei programma televisivi se ciò non è collegato a una strategia incentrata sui social media: potenziare gli uffi ci informativi sul territorio o i servizi reclami in azienda ma soprattutto il website come strumento di conversazione e di eWOM, per animare le neo-tribù/neo-comunità. Se si svolgerà un lavoro sulle mailing list dei leader molecolari, affezionati alla destinazione, si allarga il concetto di opinion leader e si avvia un mercato delle conversazioni che certamente darà i suoi risultati economici perché moderato e controllato dal destination manager e partecipato dagli attori locali.  

Vista l’importanza che i motori di ricerca dedicano ai social media (viralità) le potenzialità promozionali del eWOM (grautità) e la loro capacità di indirizzare scelte e acquisti, risulta importante per gli operatori del settore e destinazioni turistiche prendere parte a questa “conversazione online”, comprendendone appieno le regole non scritte del dialogo e

trasparenza. Quali sono dunque le tattiche attraverso cui un operatore turistico può trarre vantaggi dalla sua presenza sui social media?

1. Ascolto e dialogo: la comunicazione con il cliente. Gli strumenti di web 2.0 hanno grande impatto nel settore turistico, visto il crescere dei social network e la loro capacità di influenzare il processo di pianificazione e scelta di una vacanza. Numerosi studi hanno infatti dimostrato l‘influenza delle conversazioni presenti all’interno dei social media sul comportamento del consumatore (Buhalis 1998; Poon 1993) e, di conseguenza, sull’immagine e sulle strategie di marketing degli operatori turistici (Kozinets 1999; Wang, Fesenmaier, 2002; Miguéns, Baggio, Costa C. 2008). Il social media marketing è l’arte di far crescere una conversazione intorno a una marca, prodotto o destinazione, in modo che tale comunicazione venga condivisa da una vasta community e diffusa tra nuovi utenti (Carciofi 2010). Cambia la prospettiva comunicativa attraverso i social media: dalla comunicazione si passa alla conversazione, emerge come fattore chiave di successo il dialogo, l’ascolto e l’interagire attivamente con la propria community, al fine di ottenere credibilità, fiducia e reputazione che possono portare, in ultima istanza, a un aumento delle vendite e della conoscenza dei prodotti o servizi venduti. I consumatori vedranno così soddisfatto il desiderio di essere ascoltati e potranno così

divenire potenziali prosumer e promoter dell’azienda o destinazione (Parise, Guinan, Weinberg, 2009).

2. Creare una community partecipata. Come detto nel punto 1, tale tattica ha come scopo primario non la vendita ma la creazione di un gruppo di clienti attivi, i cosiddetti clienti brand advocate, quelli che spingono il passaparola spontaneo positivo sul prodotto o destinazione e sono disposti a inviare messaggi virali alla propria cerchia di amici. Come sottolineato anche da Attardi, durante un’intervista a VFM Leonardo, sono proprio i clienti-advocate i migliori promotori perché sono più credibili agli occhi di altri potenziali clienti, in quanto non direttamente coinvolti in interessi commerciali (VFM Leonardo14 2009).

3. Profilazione del target. I social network riescono a far ottenere una panoramica sulla tipologia di clienti interessati alla destinazione o a un prodotto turistico, ottenendo così una fotografi a puntuale dei target. Proprio sulle piattaforme sociali è possibile leggere le recensioni degli utenti, i loro desideri, ciò che gradiscono e ciò che non gradiscono del servizio o destinazione turistica. Ascoltando ciò che i turisti hanno da dire si potenzierà la capacità di creare valore, individuando i bisogni dei consumatori.

4. Creazione nuovi servizi e prodotti. Gli utenti più attivi di una community sono spesso degli appassionati di un brand, prodotto o destinazione e ne conoscono tutti gli aspetti meno noti. La partecipazione parte dal basso, c’è l’esigenza di non essere più solo spettatori passivi e dunque questa nicchia di utenti non si limita ad ascoltare i messaggi pubblicitari, ma posta commenti, inoltra messaggi virali, partecipa a diverse community, soprattutto si trasforma in un turista prosumer, in grado di migliorare o re-inventare servizi e prodotti turistici.

5. Brand reputation e customer care. Le opinioni condivise sui social media tra più utenti hanno un influente ruolo nelle decisioni di acquisto, basti pensare all’importanza crescente di TripAdvisor. Monitorare le conversazioni online e rispondere sia alle recensioni lusinghiere sia a quelle maggiormente critiche significa da una parte dare ascolto alle esigenze dal turista sviluppando un servizio di customer care online, dall’altra parte risulta essere uno strumento utile a monitorare la propria brand reputation, comprendendo che cosa le persone dicono di una destinazione o operatore turistico e cercando di porre rimedio ai disservizi.

6. Fiducia, reputazione ed “engagement”. Utilizzare i social network come strumenti per comprendere i propri clienti e stabilizzare le relazioni di stima e rispetto, grazie a una comunicazione continua nel tempo anche nella fase post-acquisto, grazie alla proposizione di prodotti personalizzati, o a iniziative dedicate ed esclusive, sconti particolari, concorsi su foto e video girati nella destinazione turistica. Esistono numerose e svariate iniziative possibili grazie ai social media, di cui si è voluto dare solo un breve elenco non esaustivo, che permettono di instaurare una relazione con il cliente duratura ma soprattutto coinvolgente a livello emozionale, confidenziale, amichevole.

7. Aumento delle vendite. I social media facilitano l’incontro tra domanda e offerta: permette l’imponente disponibilità di informazioni scambiate tra clienti e azienda, permette di avere una panoramica più ampia di una destinazione o di un operatore turistico, aumentando la propensione all’acquisto e percependo un rischio di acquisto più basso. Si tratta però di obiettivi raggiungibili solo nel lungo periodo e con molto impegno, costruendo giorno dopo giorno un dialogo e un’intesa unica con la propria community di clienti.

 

4.3.4 Le aziende devono imparare a conversare

Le potenzialità del settore chiaramente sono enormi, ma a volte poco sfruttate, come dimostra un white paper diffuso da i360 (360i White Paper 2010), web agency statunitense, dal titolo “Twitter & the Consumer: Marketer dynamic”, condotto su circa 2.000 tweet pubblicati tra ottobre 2009 e marzo 2010, che evidenzia come maggiore risultato la discrepanza tra il comportamento degli utenti e quello delle aziende.

La ricerca ha evidenziato che gli utenti conversano mentre le aziende parlano, mantenendo un approccio comunicativo e non conversazionale, imponendo messaggi dall’alto senza avere la capacità di intavolare un dialogo continuativo con il cliente. Senza un dialogo di base, infatti, non si crea una community pronta ad ascoltare le offerte o messaggi promozionali e a diffonderli tra la propria cerchia di conoscenti (Booking Blog4 2010).

Può sembrare bizzarro, ma la competenza di base per seguire la progettazione che va dal eWOM al marketing virale, all’ottenimento del Rai nei social media, applicando operativamente il social media marketing, è culturale, esperienziale, immateriale: apprendere ad apprendere come si fa a gestire le relazioni interattive per generare contenuti che fungono da preliminari allo scambio economico, vantaggioso per chi partecipa al mercato delle conversazioni