WEB MARKETING E TURISMO

Site: Università di Tor Vergata for UNWTO
Course: Web marketing e destinazione turistica
Book: WEB MARKETING E TURISMO
Printed by: Guest user
Date: Friday, 3 May 2024, 7:55 PM

Description


1. WEB MARKETING E TURISMO. ASPETTI GENERALI

1.1 Introduzione. Dal web 1.0 al web 2.0

Nel marzo del 1989 Tim Berners-Lee presentò al suo referente al CERN (Centro Europeo Ricerca Nucleare) di Ginevra un documento intitolato “Information Management: A Proposal”, ovvero una breve presentazione di un progetto per realizzare un nuovo sistema in grado di gestire in maniera innovativa i contenuti della Rete. L’ideazione e lo sviluppo del nuovo progetto richiese circa 2 anni e ad agosto 1991, Tim Berners-Lee pubblicò un secondo documento dall’esplicativo titolo “World Wide Web: Summary”, un progetto organico per spiegare la visione e il funzionamento della nuova struttura del WWW. Nel corso degli anni l’idea di Berners-Lee dimostrò tutte le sue potenzialità, evolvendosi e rendendo il web un elemento sempre più pervasivo nelle nostre esistenze. Il 6 agosto 1991 venne così messo on-line su Internet il primo sito web, definendo il protocollo HTTP (HyperText Transfer Protocol) che permetteva la lettura ipertestuale dei testi, grazie a link di rimando da un testo a un altro. Inizialmente utilizzato solo dalla comunità scientifica, il 30 aprile 1993 il CERN decide di rendere pubblica la tecnologia alla base del web (Minetti, 2009).

Internet nasce dunque come luogo in cui pubblicare informazioni, una sorta di pagina scritta che dal cartaceo passa al web e si arricchisce di nuove possibilità e opportunità, come appunto gli ipertesti e le immagini. Siamo di fronte a quello che oggi viene definito web 1.0, ovvero una piattaforma tecnologica scarsamente interattiva utilizzata per lo più per pubblicare e rendere fruibile a un ampio numero di persone numerosi contenuti collegati tra loro.

Si afferma successivamente il concetto di web 2.0, una sorta di arricchimento di Internet che ha permesso una maggiore interattività, la condivisione dei contenuti e la socializzazione.

Il “2.0” non rappresenta qualcosa di nuovo ma piuttosto una più completa realizzazione del vero potenziale della piattaforma web (Tim O’ Relly, 2005).

Grazie all’implementazione della tecnologia nascono nuove modalità di utilizzo del web, tecnologie che segnano il fondamentale passaggio di Internet da luogo di pubblicazione a luogo di partecipazione e creazione di community.

1.2 Che cos’è il web 2.0

Il web 2.0 è stato innanzitutto definito in termini di reti sociali (network). La definizione maggiormente diffusa è quella fornita da Tim O'Relly, fondatore dell’omonima casa editrice americana e inventore del termine web 2.0:

“la rivoluzione commerciale nell’industria informatica provocata dalla trasformazione di internet a piattaforma e dal tentativo di comprendere le regole per avere successo con questa nuova piattaforma” (Tim O’ Relly., 2005).

Il concetto di web 2.0 ebbe inizio con una sessione di brainstorming. Durante una conferenza alla quale parteciparono il Vice Presidente di MediaLive International Dale Dougherty, Tim O’Relly sottolineò che lo scoppio della bolla dot-com nell’autunno del 2001 aveva segnato un punto di svolta per il web.

L’economia online, nonostante la disastrosa crisi, dimostrava di non essere totalmente crollata, visto che giornalmente nascevano nuove applicazioni e siti. Inoltre, le società che erano sopravvissute alla bolla delle dot-com sembravano avere alcuni elementi in comune, identificabili nelle caratteristiche del web 2.0 .

Le principali caratteristiche del web 2.0 possono essere accorpate in cinque concetti chiave, dopo aver distinto la parte superiore del “posizionamento” e quella inferiore delle “competenze”:

1. l’intelligenza collettiva e partecipativa


Una delle lezioni chiave dell’era di web 2.0 è che gli utenti aggiungono valore. Il web 2.0 è un web che è sempre più orientato verso servizi che permettono ai navigatori di contribuire a sviluppare, valutare, collaborare e distribuire contenuti e a personalizzare le applicazioni (Vickery, Wunsch-Vincent, 2007). La caratteristica chiave del web 2.0 è quella di ridisegnare la collaborazione e la condivisione di informazioni attraverso software sociali che rendono possibile la comunicazione tra persone. Gli utenti diventano quindi dei co-sviluppatori di prodotti e servizi, aggiungendo il loro sapere che, unito al contributo di altri utenti, diviene un’intelligenza collettiva, volta a creare qualcosa di nuovo o ad aggiungere valore e funzionalità a qualcosa di pre-esistente. Le informazioni, i dati e contenuti circolano così dall’esterno all’interno e viceversa, provocando una “perdita” di controllo a favore della cooperazione, dove ogni singolo testo o servizio può essere riutilizzato, modificato, aggiornato, commentato e valutato da qualsiasi persona e collegato e diffuso attraverso altri siti e persone, grazie alle strutture di link.

2. Network e forza dei legami laschi

Il sistema del web 2.0 è un network sociale ed è molto vicino alla quotidianità dell’esperienza, perché si tratta di reti di amicizie virtuali a connessione intermittente. I legami che regolano i network virtuali non sono assolutamente privi di regole sociali o casuali. Il web 2.0 non è composto solo da aggregati di nodi, i cosiddetti cluster, collegati esclusivamente al loro interno perché, se così fosse, non si potrebbe parlare di rete connessa, bensì di frammentazioni. Sarebbe un sistema chiuso al proprio interno, collegato ai cluster di appartenenza, limitato alla stessa cerchia relazionale, con accesso alle stesse notizie e alle stesse abitudini. La teoria di Granovetter (1998) spiega che la nascita di nuove relazioni è facilitata dalla presenza e dalla diffusione di legami laschi (e non deboli, come erroneamente tradotto in italiano), che si basano su scambi specialistici, su fiducia e reputazione. I legami laschi del web 2.0 hanno moltiplicato l’opportunità di accedere e co-produrre informazioni, fare nuove conoscenze, acquisire nuovi stili di consumo e allargare i propri orizzonti. Quando i fornitori di servizi dell’accoglienza possono personalizzare il servizio e interagiscono con i loro clienti, generano contenuti relazionali, in cui la flessibilità (dalla comprensione reciproca al mantenimento della relazione nel tempo) genera il mercato delle conversazioni, in cui i soggetti passano da una connessione all’altra e sviluppano capitale sociale che si rinnova e si accresce proprio perché è intermittente e basato sulla moltiplicazione dei rapporti e su fedeltà continuamente negoziate.

3. The long tail e il self-service (per approfondimenti si rimanda al capitolo 3)

Il web è popolato da persone dagli interessi più svariati che. Ciò si riflette nei numerosi siti di nicchia e specializzati in particolari argomenti che, nell’insieme di ogni piccolo apporto, formano la gran parte dei contenuti presenti su internet. All’interno di tali nicchie, si aggregano community altamente specializzate o altamente interessate agli argomenti trattati, pronte a collaborare e interagire pur di ottenere in cambio un prodotto o servizio personalizzato. Ci si trova così di fronte a utenti in grado di autoprodursi (self-service) servizi e prodotti, assemblando o modificando servizi e prodotti messi a disposizione da uno o più siti web specializzati. Questo aiuta a comprendere un altro principio chiave del web 2.0, l’innovazione nell’assemblaggio. Quando i componenti di base abbondano, si può creare valore aggiunto semplicemente assemblandoli in un modo nuovo o efficace, sfruttando l’intelligenza collettiva delle nicchie e degli “hobbisty”. Nasce così il concetto della lunga coda, che sarà oggetto dei capitoli successivi.

4. I dati

Uno dei vantaggi competitivi, che si può ottenere lavorando secondo le regole del web 2.0, è possedere una fonte di dati unica e difficile da ricreare, spesso direttamente fornita dagli utenti attivi e co-produttori. Le possibilità di interazione che il web offre permettono di conoscere e possedere i dati sul proprio target, facendo della conversazione peer to peer (paritaria) una delle caratteristiche chiave del web 2.0.

5. Il software prevale sul dispositivo

Il PC (Personal Computer) non è più l’unico dispositivo che consente l’accesso alle applicazioni internet e le applicazioni che sono limitate a un solo dispositivo hanno un valore inferiore rispetto a quelle che sono connesse. La multimedialità e la multicanalità del web richiedono la creazione di siti in grado di integrare servizi su dispositivi portatili, PC e server internet, soprattutto se si vogliono sviluppare servizi di Internet Mobile o di social network mobile (Tim O’ Relly, 2002).

1.3 Implicazioni manageriali del web 2.0

Con il web 2.0 è in atto un cambiamento profondo, sia per i turisti che per gli operatori del comparto. Un cambiamento descritto da Milano (2009), che introduce le implicazioni manageriali del web 2.0:

Il web 2.0 è sicuramente un fenomeno non facilmente descrivibile, forse sintetizzabile nella definizione di era del web interattivo. Difficile, d’altra parte, rappresentare qualcosa in continuo divenire. Più chiari e definiti sono, invece, i suoi pilastri ed è su alcuni di questi che occorre, a mio avviso, soffermarsi per capire il fenomeno, e tradurlo come opportunità nello specifico del turismo:

  • ·      contenuti generati dagli utenti (UGC) visti come risorsa e non come minaccia,
  • ·      il potere collettivo dei piccoli siti che costituiscono la lunga coda e aprono nuovi mercati,
  • ·      sfruttamento dell’intelligenza collettiva,
  • ·      approccio partecipativo (attraverso i blog e altri social network) e collaborativo (wiki),
  • ·      accettazione della filosofia del beta perpetuo,
  • ·      massima fiducia nel contributo degli utenti attraverso recensioni e giudizi. (Milano, 2009)

In presenza di un utente attivo e di una concorrenza sempre più globale, le tradizionali strategie promozionali, ricche di contenuti autocentrati e soggette a un controllo “autoritario”, perdono il loro appeal presso un pubblico abituato a conversare in modo aperto e paritario. Abbandonare il sito ufficiale per seguire la conversazione online attraverso i social media, approcciando una comunicazione conversazionale e personalizzata, è sicuramente un atteggiamento promozionale in linea con le caratteristiche del web 2.0 e del nuovo consumatore:

“nonostante la diffusione sempre più capillare di queste nuove impostazioni, forti resistenze ostacolano il cambiamento. La mia personale interpretazione è che si tratti di resistenze dovute non soltanto a un digital divide di tipo culturale e tecnologico, che in Italia effettivamente esiste e pesa, ma anche ad un atteggiamento di psicologica chiusura verso l’interazione e la comunicazione bidirezionale avvertita come potenzialmente destabilizzante per già precari equilibri economici. Il web 2.0 viene generalmente percepito, dal mondo aziendale, ancora come una minaccia e non come un’opportunità immensa di creare nuovi canali di comunicazione e nuovo valore per l’azienda stessa.” (Milano, 2009)

La base teorica sul web 2.0, fornita da Tim O’ Relly e l’interpretazione della Milano sono utili a definire le competenze necessarie per operare nel web 2.0:

  • ·      abbandono del discorso autocentrato;
  • ·      disponibilità e apertura alla conversazione paritaria ;
  • ·      sfruttamento dell’intelligenza collettiva;
  • ·      utilizzo di un approccio collaborativo e partecipativo, che richiede a monte fiducia verso i co-produttori;
  • ·      conoscenza del proprio target;
  • ·      attitudine alla personalizzazione;
  • ·      gestione del coinvolgimento dell’utente e delle sue recensioni e commenti, finalizzato a monitorare la reputazione nei confronti di un’azienda o di una destinazione.

 

1.4 Verso il web 3.0

La recente comparsa del Web 3.0 nel vocabolario di internet suggerisce un cambiamento. Il termine etichetta molte tendenze che potrebbero preludere questo “nuovo” periodo, ma è stato per lo più collegato al Web Semantico. Lavorando da questa prospettiva, Bratt, CEO del Consorzio World Wide Web, ha sostenuto che dobbiamo “prepararci” a nuove modalità di integrazione e di approfondimento dei dati per ottenere informazioni mai avute prima.

Attualmente si parla di web 3.0 in termini assolutamente imprecisi perché si tratta dell’analisi di cambiamenti in corso e quindi non ancora assodati. In termini generali comunque, si definisce web 3.0 un web in cui vi è una forte interazione della componente semantica tra pagine web e software di interazione, come i motori di ricerca. Rudy Bandiera, blogger e docente dell’Università IUSVE, a Venezia e Verona, spiega che il Web 3.0 è la trasformazione del World Wide Web in un ambiente dove i documenti pubblicati sono associati ad informazioni e dati (metadati) che ne specificano il contesto semantico in un formato adatto all’interrogazione e l’interpretazione (es. tramite motori di ricerca) e, più in generale, all’elaborazione automatica. In pratica, un Web in cui le macchine non solo leggono, ma interpretano (http://www.rudybandiera.com/).

Le caratteristiche del web 3.0 maggiormente riconosciute sono:

·      Trasformazione del web in un super-database ricco di informazioni per migliorare la ricerca agli utenti.

·      Web Potenziato, termine nato per descrivere alcuni fenomeni, di ordine sociologico e tecnologico, che hanno portato il Web ad avere una capacità di influire sulla realtà, superiore a qualsiasi altro canale informativo.

·      La realtà aumentata (per approfondimenti si rimanda al Capitolo 11.4): sovrapporre alla realtà percepita dall’essere umano, una realtà virtuale generata dal computer. La percezione del mondo dell’utilizzatore viene “aumentata” da oggetti virtuali che forniscono informazioni supplementari sull’ambiente reale

·      Web 3D Uno spazio virtuale interattivo e tridimensionale, fruibile dal browser

Le dichiarazioni del CEO di Google, Eric Schmidt, fanno intravedere nuove prospettive per il web: “credo che il Web 3.0 sarà un’insieme di applicazioni che condivideranno numerose caratteristiche: le applicazioni saranno relativamente piccole, i dati saranno nel cloud, le applicazioni saranno veloci, personalizzabili e disponibili su molteplici dispositivi (PC, smartphone ecc.). Le applicazioni saranno distribuite in modo essenzialmente virale, attraverso i social network o email, non si andrà certo al negozio a comprarle. E’ un modello di applicazione molto diverso da quello di oggi. Le barriere di ingresso saranno molto basse, grazie anche alla nuova generazione di strumenti annunciati da Google e altre società” (http://www.roughtype.com/?p=839).

Il Web 3.0 si concretizza nella creazione di un linguaggio più ricco per i computer, che permette la comunicazione tra macchine attraverso il web per facilitare la funzione interpretativa che, ad oggi, viene svolta dalle persone, il che porterà l’automazione ad un livello successivo. Il web, visto dalla prospettiva semantica, ha attraversato diverse generazioni: il Web 1.0 le persone che comunicavano con le macchine; il Web 2.0 le persone che parlano tra loro utilizzando le macchine; il Web 3.0 le macchine che parlano tra loro fino ad arrivare ad un’ipotesi di evoluzione futura in cui il web si trasformerà in un’intelligenza artificiale.

2. IL TURISTA PROSUMER ONLINE

2.1 Il Prosumer

Secondo Granieri (2006), il termine “prosumer” è stato coniato da Alvin Toffler in “The third wave” (Granieri, 2006). Toffler (1981) descrive le tre ondate che hanno caratterizzato la storia socio-economica del nostro pianeta: la prima ondata, ovvero l’economia agricola, la seconda ondata, ovvero l’era della produzione e industrializzazione di massa, e la terza ondata o era postindustriale ma anche information age. Per Toffler, la saturazione dei mercati, dovuta a una produzione di massa che aveva caratterizzato la seconda ondata ,ha portato a un cambiamento nei rapporti tra consumatori e produttori, con i primi ad avere un ruolo attivo nella definizione delle caratteristiche dei prodotti e servizi creati dalle aziende. Si passa quindi da un consumatore passivo a uno maggiormente attivo e partecipativo, tanto da divenire parte integrante della produzione di beni e servizi, al fine di personalizzarli. La tecnologia digitale ha accelerato questo processo di fusione tra produttori e consumatori, portando alla nascita del concetto, già analizzato, di web 2.0, all’interno del quale il prosumer gioca un ruolo da protagonista (Cravera, 2010).

Il termine prosumer indica in realtà più cose, dal consumatore attivo, che contribuisce allo sviluppo e al cambiamento del prodotto o servizio, alla personalizzazione del prodotto o servizio stesso che si desidera acquistare. La “società digitale” si trasforma nel luogo delle differenze individuali che interagiscono tra loro e rivendicano costantemente la propria individualità (Granieri, 2006). Siamo di fronte a quella che viene definita “mass customization”, ovvero alla personalizzazione di massa (Bandulet e Morasch, 2003).

Eric Von Hippel (2005) ha teorizzato uno dei comportamenti principali del consumatore online attivo, da lui chiamato “lead users”, assimilabile a quello che qui è stato definito prosumer. Afferma che sono proprio loro i principali innovatori dei prodotti, grazie alle competenze, conoscenze, capacità e voglia di sperimentare per soddisfare i loro bisogni e la voglia di condividere le passioni con altri utenti all’intero di specifiche community. Le nuove tecnologie rendono più semplice e veloce produrre informazioni a costo “zero” (Scotti e Sica, 2007). I nuovi modelli di innovazione, progettazione e consumo di prodotti e servizi stanno quindi trasformando la relazione tra produttori e consumatori, dando origine a quello che viene definito prosumer, quel consumatore che Goldhaber definisce come colui che:

“è sempre pronto a leggere e contemporaneamente a scrivere, interagendo con le informazioni e ricostruendole dopo averle elaborate concettualmente...sta emergendo una sorta di nuova eguaglianza democratica” (Goldhaber M., 2004).

Sta emergendo così

“un soggetto collettivo, che si manifesta tramite la produzione di un’infinità di frammenti che compongono un disegno globale di cui nessuno detiene realmente il controllo” (Granieri, 2006, pp. 120-121).

Il prosumer è quindi l’espressione della creatività condivisa, in quanto combina la creatività individuale -personalizzazione - alla socialità - passaparola e condivisione delle esperienze (Costa, 2005). Infatti, si delinea una creatività in cui gli amici virtuali erodono relazioni rispetto ai parenti, danno vita a un marketing relazionale tra nuovi amici elettivi, coesi intorno a connessioni intermittenti con legami laschi  

Si va strutturando una conoscenza collettiva condivisa, che permette al turista di effettuare scelte d’acquisto ragionate e corrispondenti alle sue esigenze, grazie alla possibilità di accedere alle esperienze di turisti che hanno le sue stesse necessità e motivazioni.

La creazione di UGC (User Generated Content) è un trend, con milioni di internauti in tutto il mondo, che trasforma Internet da “new media” a “we media” (Gillmor, 2006), esaltando la componente partecipativa dal basso. Ogni contributo è libero, aperto a nuove integrazioni di altri utenti, che possono valutare le informazioni, commentarle, integrarle, aggiungere foto e video, pubblicarlo o “linkarlo” su altri siti. Si evidenzia così un processo di co-creazione e interattività, tipico del prosumer, in cui la perdita di controllo della produzione e distribuzione di informazioni e contenuti è totale.

Secondo Munar (2010), l’affermarsi del prosumerismo fa si che l’immagine e la reputazione di destinazioni e prodotti o servizi diventi un collage di input provenienti da diversi utenti, che potenzialmente si espande in tutto il globo, ampliando il fenomeno del passaparola (Dall’Ara, 2005).

Nessun operatore del settore potrà avere il controllo, potrà però scendere da una posizione gerarchica, posizionarsi allo stesso livello del consumatore, iniziare a dialogare con lui e scoprire le esigenze e desideri delle persone, attraverso un mondo sociale fatto di commenti, elogi e critiche. Entra in un nuovo modo di fare business, che implica competenze relazionali nel saper ascoltare e dialogare, abbandonando definitivamente i monologhi autoreferenziali e direttive.

Secondo Fabris (2009) si e venuto a delineare un nuovo consumatore definito come autonomo, più critico, indipendente nei confronti della produzione perché rivendica una maggiore discrezionalità di scelta e chiede a chi produce la possibilità di instaurare un dialogo paritario. È un consumatore competente, informato sulla composizione dei prodotti, servizi, sul rapporto qualità/prezzo. È un consumatore esigente, che chiede qualità e attenzione alle sue richieste. È selettivo e orientato in senso olistico perché ai fini della scelta coinvolge sia dimensioni tangibili, come i valori d’uso, soprattutto intangibili, come i valori simbolici e i significati sociali delle sue scelte. Inoltre é sempre più connesso in un mondo virtuale e abituato a usare le nuove tecnologie (cfr. anche Carciofi, 2010).

Il nuovo consumatore teorizzato da Fabris riflette perfettamente le caratteristiche dei turisti online - prosumer: sono sempre più “frequent travellers”, viaggiano molto soprattutto per brevi e frequenti week-end grazie anche alla diffusione dei voli low cost. Sono inoltre sempre più competenti, sanno utilizzare il web e soprattutto affermano la loro unicità, richiedendo servizi su misura, con un buon rapporto qualità/prezzo. Il turista oggi è più mobile e veloce, informato e attento, infedele, critico e diffidente, difficile da coinvolgere e attrarre. Il turista sceglie in base al prezzo e soprattutto alla motivazione, alle esigenze e all’esperienza ricercata, occorre dunque ascoltare e parlare con il cliente per strutturare un prodotto turistico di successo. Sono sempre meno interessati ai pacchetti standardizzati e riservati alle masse, mentre richiedono sempre più vacanze che si adattino a loro, in cui divertimento e relax si fondono a passioni e conoscenza, verso un modello di edutainment (education + entrateinment) (già Poon, 1993, Gilmore e Pne, 2009).

Il web si configura, di conseguenza, per i DMO (Destination Management Organization) e gli operatori turistici come un’importante opportunità da non perdere, uno spazio in cui ascoltare i bisogni del turista e di svariati segmenti di mercato, anche i più piccoli. Ogni turista è diverso, porta con sé esperienze uniche, motivazioni e desideri differenti. Nel modello network della destinazione, è il DMO che deve adattarsi alla soggettività dei clienti e non viceversa.

Il prosumerismo evidenzia, quindi, un capovolgimento del modello one-to-one o della frammentazione, quando il turista era costretto ad assemblare beni e servizi da solo, uno alla volta, arrangiandosi di volta in volta nel trovare ciò che soddisfaceva le sue esigenze: la destina- zione non aveva una sua personalità con cui proporsi al mercato. Il turista era abbandonato a se stesso e, non possedendo una concreta pratica della tecnologia, rinunciava (e rinuncia) al processo di prenotazione.

In parallelo, il canale diretto con il turista con cui co-produrre il prodotto, consente al DMO di non dipendere esclusivamente dal modello package o della colonizzazione, domi- nato dagli intermediari della domanda, come i tour operator, che integrano verticalmente l’offerta dall’alto in basso. Nel mercato del prosumerismo, il DMO si dota di un piano di sviluppo orizzontale, per obiettivi, partecipato dal basso, su un modello network, sugli accessi e sulle relazioni, per dialogare con i turisti, facilitarne le decisioni di acquisto e spingere le loro spese negli itinerari e nei circuiti che ha appositamente inventato per soddisfarli, proprio perché il team del DMO li conosce bene tramite il web, uno a uno.

2.2. Implicazioni manageriali: lavorare insieme al prosumer e il crowdsourcing

La nascita del web 2.0 e del prosumer modifica sostanzialmente il rapporto tra operatori turistici e il turista stesso, un cambiamento critico perché un rapporto diretto, bidirezionale e partecipativo del cliente comporta dei cambiamenti nella gestione aziendale. Richiede delle competenze di ascolto, apertura e un’ampia professionalità e conoscenza del web, al fine di sfruttare le opportunità che la rete offre, evitando le trappole che internet tende ai “non addetti ai lavori”.

Internet è un sistema sociale partecipativo dove l’ascolto e il dialogo con il cliente possono aumentare la fiducia tra gli attori, fino a far divenire i consumatori dei veri e propri ambasciatori di marche e prodotti. Il web 2.0 e la partecipazione attiva dei prosumer possono costituire una nuova opportunità per le destinazioni turistiche aperte al cambiamento e all’innovazione, mentre potrebbero esser visti come una minaccia da quelle che non sapranno innovare i propri modelli di marketing e comunicazione, oltre che di gestione interna. In un’era dove la conoscenza del cliente significa potere, questa evoluzione nel profilo del consumatore implica che le imprese del settore e i DMO, che finora hanno avuto un approccio standard nei confronti dei bisogni del viaggiatore, dovranno applicare delle tecniche sofisticate per costruire un dialogo e un’offerta ad hoc per il turista, essenziale al fine di attirare, legare e trattenere i clienti in futuro (Mele, a, 2007).

Ma in che modo questo consumatore attivo e interattivo influenza l’operatività del settore? Può essere un’opportunità se si procede con

·      incentivare l’interattività del prosumer per aumentare il passaparola e trasformare i turisti in ambasciatori della marca;

·      incentivare il dialogo per incrementare la fiducia del cliente

·      incentivare la creatività del prosumer per realizzare in outsourcing nuovi prodotti e

·      servizi personalizzati.

Il dialogo con il cliente, che porta alla co-creazione di prodotti e sevizi e alla condivisione di esperienze a essi collegati, permette la nascita di quel fenomeno chiamato crowdsourcing, dagli interessanti risvolti positivi per gli operatori del settore. Etimologicamente significa crowd (gente) e outsourcing (delegare all’esterno), una nuova metodologia di collaborazione con cui le imprese chiedono il contributo attivo alla rete per creare prodotti, servizi, campagne promozionali, brand e quant’altro in modo gratuito. Un contributo spontaneo che nasce dalla passione e dalla creatività, fino a giungere a veri e propri “consigli” professionali, condivisi da persone e clienti, che si identificano nei valori del brand.

Secondo Carciofi (2010a) i risultati attesi sono i seguenti:

  • ·      un prodotto o servizio che rispecchia i desideri dei clienti proprio perché esso è stato co-modellato a partire dal cliente;
  • ·      l’empatia tra azienda e consumatore, conseguenza degli scambi sociali tramite conversazioni personalizzate, che hanno facilitato la creazione congiunta del prodotto;
  • ·      l’abbattimento dei costi di produzione grazie all’esternalizzazione delle competenze che prevengono rigidità cognitive e riducono le inefficienze dell’unilateralità perché l’erogatore del servizio e il turista cooperano nello svolgere un lavoro competente per progettare l’offerta. Da qui il successo dei siti di Crowdsourcing

  •     la creazione di relazioni stabili nel tempo tra azienda o DMO e il turista, inteso come un nodo di un network che sceglie la destinazione quanto più pratica la libertà di conversare e di coinvolgere altre persone nella conversazione, attuando concretamente l’intelligenza connettiva del network.

3. THE LONG TAIL

3.1 Introduzione. La nascita della lunga coda

Grazie alla portata mondiale della rete, è oggi possibile incontrare migliaia di persone con interessi simili sparse nel globo, comunicare con loro, vendere loro prodotti e servizi turistici. Ascoltate le esigenze, è possibile programmare un’offerta ad hoc, raggiungendo il target mediante la diffusione mondiale del web.

Il web 2.0 e il prosumer sono fenomeni alla base del cambiamento del consumatore, che si spinge sempre più verso la personalizzazione, l’interattività e la differenziazione, e i cui effetti sono riscontrabili nel mercato con la creazione di due estremi, al cui interno si riassumono diverse sfumature, che vedono contrapposte le nicchie di mercato (Novelli, 2005) al mercato di “massa”. Il fenomeno della long tail, teorizzato da Anderson (2006), tende a spiegare come si è venuta a creare tale “separazione” nel mercato, e come potervi operare efficacemente.

3.2 Caratteristiche della lunga coda

L’espressione “the long tail” è stata coniata da Chris Anderson (2006) per descrivere il modello commerciale di Amazon.com. A seguito della diffusione di internet, l’analista ha osservato che i siti con maggior afflusso di utenti guadagnano di più dai prodotti di nicchia che dai prodotti popolari molto richiesti.

Anderson ha spiegato il termine facendo riferimento alla coda della “curva della domanda”, dove l’asse verticale rappresenta le vendite dei libri Amazon, mentre quella orizzontale la “classifica di popolarità” dei libri. Si osserva che il volume di vendita totale dei libri poco popolari, cosiddetti di nicchia, supera quello dei libri molto popolari o “best seller” (Figura 3.1). Grazie al web, i costi connessi allo spazio occupato dai libri sugli scaffali e le spese tradizionali di un punto vendita al dettaglio (es. personale, affitto, ecc.) vengono eliminati. In questo scenario è possibile vendere ogni libro on demand e, svincolati dai confini geografici, il target potenziale si trasforma da un piccolo gruppo di persone a decine di migliaia di utenti internazionali, grazie all’attivazione di tecniche di stampa on demand, che perfettamente rispondono alle esigenze di personalizzazione del web 2.0 e alla richiesta di prodotti e servizi non disponibili nei mercati tradizionali (Anderson, 2006).

Il concetto alla base della teoria della lunga coda sta a indicare come, con le tecnologie digitali, aumentano enormemente i prodotti e servizi disponibili, rispetto ai modelli di distribuzione tradizionali. Secondo tale impostazione sta emergendo un nuovo modello di business basato, potenzialmente, non più sull’economia della scarsità ma sull’economia dell’abbondanza. Si prendano come esempio i dati riportati da Anderson nel campo della distribuzione libraria e musicale: Amazon ha un catalogo di oltre 3,7 milioni di titoli, in confronto, una tradizionale libreria di grandi dimensioni ne conta solo 100.000.

La figura 3.2 mostra il confronto tra un rivenditore tradizionale e un business on-line nel rapporto tra l’ampiezza del catalogo, il fatturato e gli utili. Nella parte sinistra del grafico, è rappresentata la tradizionale dinamica di un negozio fisico, nella parte destra si vede la trasposizione dell’assortimento del negozio fisico nell’ambito di un rivenditore interamente digitale. Si può notare che il 100% del catalogo del rivenditore tradizionale rappresenta solo il 10% del catalogo del negozio virtuale. Inoltre, emerge come il 25% dei ricavi e il 33% degli utili derivino da quell’80% di prodotti che nel business tradizionale contava solo per il 20% dei ricavi. Di più, un ulteriore 25% di ricavi e 33% di profitti è dato da un assortimento che non trova spazio nei canali di distribuzione tradizionali. (AA.VVh.2007)

Ma come e perché internet ha permesso questo cambiamento nei modelli di business? Anderson (2006) identifica tre forze della lunga coda in rapporto alle caratteristiche proprie del web:

1. Prima forza: la democratizzazione degli strumenti di produzione. Grazie alla crescente disponibilità di tecnologie di produzione e di manipolazione dei prodotti e delle informazioni a prezzi sempre più bassi, la quantità di contenuti e prodotti disponibili è cresciuta enormemente negli ultimi anni, soprattutto in rapporto all’emergere degli user generated content e del prosumerismo.

2. Seconda forza: democratizzazione della distribuzione. Internet permette la distribuzione a livello globale dei contenuti e prodotti realizzati da imprese o privati cittadini, rendendo fruibile tale materiale a ogni persona in tutto il mondo, incrementando così la liquidità del mercato e incentivando la creazione della coda.

3. Terza forza: il collegamento tra domanda e offerta. La vastità della scelta disponibile online crea un sovraffollamento di prodotti e contenuti, che mal si sposa con l’abitudine del consumatore a scegliere tra opzioni molto più ristrette, vista l’incapacità oggettiva di poter confrontare tutti i prodotti presenti sul mercato online. Qual è il collegamento che permette alla domanda di trovare e accedere al giusto prodotto tra milioni di prodotti? Il passaparola tra utenti permette, con il tempo, di scoprire nuovi prodotti e servizi la cui popolarità è incentivata dal marketing virale. La “terza forza” agisce quindi collegando domanda e offerta, creando strumenti che rendono possibile un abbassamento dei “costi di ricerca” per i contenuti come per esempio i database collegati a strumenti di dynamic packaging per la costruzione self service del viaggio o alla diffusione di informazioni su viaggi e prodotti attraverso social media di nicchia specifici o azioni di viral marketing e di consulenza. Ogni cosa che rende la ricerca più semplice favorisce l’esplorazione dei prodotti di nicchia della coda. (cfr. anche AA.VV.h, 2007)

Per quanto riguarda il settore dei viaggi, Anderson sottolinea come le compagnie aeree low cost abbiano creato un’impressionante gamma di scelta, offrendo rotte verso destinazioni poco conosciute in tutto il continente europeo. A sua volta, l’abbassamento del costo dei voli ha aumentato la domanda dei consumatori. L’aumento del numero delle compagnie low cost e dei tour operator online di nicchia negli ultimi dieci anni ha contribuito a prolungare la coda, ha creato nuove destinazioni e consentito alle persone di viaggiare più lontano e più frequentemente.

Nel nuovo turismo on-line, le destinazioni minori vengono sempre più prese in considerazione da un pubblico che non le considerava (Davis e May, 2007). Una grande occasione si prospetta dunque per tutti quegli operatori turistici specializzati, che possono allargare la loro diffusione di viaggi di nicchia su scala mondiale, ma anche per tutte quelle destinazioni turistiche di nicchia, considerate altamente attraenti solamente da alcune categorie di turisti, basti pensare ai viaggi avventura, sicuramente non per tutti, ma con un “grande mercato di nicchia a livello mondiale” (Davis e May, 2007)

3.3 Implicazioni manageriali: le competenze del knowledge management per operare nella lunga coda

Le caratteristiche di interattività, fruibilità ed economicità del web incentivano la creazione di nicchie di mercato lungo la coda. Chris Anderson (Anderson, 2006) descrive le regole operative per prendere parte al fenomeno della lunga coda:

1. spostare il magazzino all’interno, per aumentare la disponibilità di prodotti diversi;

2. lasciar “lavorare” i clienti, facilitando l’interazione tra azienda e cliente;

3. un unico metodo di distribuzione non va bene per tutti i clienti, occorre affidarsi a modelli di multimedialità e multicanalità;

4. un unico prodotto non va bene per tutti i clienti, occorre personalizzazione;

5. un unico prezzo non va bene per tutti i clienti, emergono infatti fenomeni diversi ma complementari, come il turismo low cost e il turismo di nicchia o luxury dal reddito medio-alto;

6. condividere le informazioni, facilitando la creazione di community e di user generated content, con la partecipazione dal basso, abbandonando modelli gerarchici;

7. pensare in termini di “e” e non di “o”, aumentando la tipologia e la gamma di prodotti disponibili sul mercato;

8. affidarsi al mercato per il proprio lavoro, cercando di capire prima cosa desidera il cliente, per poi proporgli il giusto prodotto;

9. comprendere il potere delle cose gratuite, fornendo insieme al prodotto una serie di servizi accessori gratuiti.

Le implicazioni pratiche dell’operatività nella long tail fanno riemergere concetti strategici già affrontati in questo testo, quali le regole del web 2.0 e l’imporsi dell’interattività, con il crescere di community, social network, siti di recensioni e la figura del prosumer, che lavora per le aziende e il DMO.

Pertanto, occorre aggiungere una nuova regola, la decima, che, insieme a quanto evidenziato nelle implicazioni manageriali del capitolo 2, delinea gli operatori del web marketing e della destinazione turistica come dei knowledge worker o lavoratori della conoscenza (Martelloni, 2011; Cooper 2006; Bouncken e Sungsoo, 2002);

10. L’Innovazione e la creatività di gruppo sono gli elementi basilari per operare nella lunga coda, per creare prodotti e servizi rimanendo competitivi in un mercato globale. Internet facilita e fertilizza tale creatività, crea un’infinità di prodotti e informazioni. Chris Anderson, in autori vari, afferma infatti che:

“le nuove tecnologie contribuiscono a liberare gli spiriti innovativi e imprenditoriali di milioni di nicchie di valore economico, generando nuovi paradigmi con curve di produttività molto più consistenti di quanto sarebbe possibile con il paradigma del mercato di massa della rivoluzione industriale.” (Anderson in AA.VV.f, 2007)

Creatività e innovazione crescono se il focus delle attività non è più su cosa si vende (le grandi quantità del mercato di massa), ma su che cosa i clienti comprano per utilizzare i prodotti come strumento relazionale.

Anche Niraj Dawar afferma che il:

“il concetto di innovazione è molto più ampio di quanto riteniamo comunemente, e va al di là della creazione di prodotti migliori. Dobbiamo focalizzarci sulla customer value, che è una funzione di “cosa” il cliente compra più di “come” lo fa (Anderson in AA.VV.f, 2007).

Con questa affermazione Dawar sintetizza il concetto di fornire il giusto prodotto, al prezzo giusto, alla persona giusta che ne è alla ricerca in quel preciso momento, rispondendo a pieno alle sue esigenze. La diffusa richiesta di servizi e prodotti personalizzati e differenziati, oltre alla grande varietà di motivazioni che spingono ogni singolo turista a viaggiare, sono sicuramente dei punti di partenza a favore della “long tail”. Da soli non bastano, occorre far giungere l’offerta di nicchia al target giusto e nel modo giusto, comunicando l’offerta turistica in modo innovativo, come verrà illustrato nei successivi capitoli. Soprattutto, però, non bisogna concentrarsi su volumi e flussi enormi, che non arriveranno mai, essendo la lunga coda formata da mercati di nicchia.

Non è facile avere successo, in quanto il business concentrato nella long tail richiede capacità e conoscenze non indifferenti. La “lunga coda” di consumatori nasce grazie a internet, e pertanto vigono tutte le regole della rete, dall’interazione alla personalizzazione, dalla condivisione di contenuti alla partecipazione attiva degli utenti e degli operatori del settore. Decidere di operare con i mercati di nicchia significa anche avere il know-how necessario per ascoltare e dialogare con il cliente, per proporre servizi personalizzati, secondo l’ottica del web 2.0, avvalendosi di professionisti e consulenti specializzati nel web marketing per gestire e attrarre il “turista 2.0 “. In tal senso, la progettazione e gestione della lunga coda richiede la formazione di team, di gruppi di lavoro, proprio perché il team produce e comunica prodotti creati all’esterno dell’organizzazione dai potenziali consumatori. E saper lavorare in gruppo è un’ulteriore caratteristica del knowledge worker a cui tende il re-skilling, cioè il rinnovamento e il potenziamento delle competenze, tradizionali e innovative, degli operatori dell’incoming, a cominciare dal DMO, chiamato a migliorare le capacità competitive con la long tail e il mercato di nicchia (Iezzi, 2008; Costa, 2008, b; Bouncken e Sungsoo, 2002). Infatti, non è possibile gestire il mercato delle conversazioni, che richiedono scambi orizzontali many-yo-many, se il team del DMO non opera, al suo interno e in relazione con gli stakeholders esterni, con lo stesso modello organizzativo: il network.

È richiesto un cambio di visuale manageriale per avere successo in mercati di nicchia: dalla quantità occorre puntare alla qualità; dalla logica dell’”o” occorre passare alla logica dell’”e”, aumentando le tipologie di prodotti disponibili. La “long tail”, l’uso di internet e i nuovi comportamenti di consumo sono il frutto di un cambiamento culturale del consumatore e si sta riflettendo sull’economia e sulle competenze manageriali del DMO, anche se ovviamente, trattandosi di centinaia di mercati di nicchia, non si può a oggi parlare di grandi numeri. Ma il trend verso la long tail e le nicchie è in atto ed è sempre più accentuato, appare una irreversibile evoluzione del turismo post-massa a ciclo continuo, nonché una caratteristiche distintiva di una società dei flussi informativi e delle mobilità che generano persone e luoghi, interconnessi e in movimento, basati sull’accesso e al trattamento della conoscenza condivisa.

4. SOCIAL MEDIA MARKETING

4.1 Introduzione: i social media

In questo capitolo si vogliono approfondire le ripercussioni nell’offerta turistica dei cambiamenti verificatisi sia nella domanda turistica, con l’affermarsi di un turista-prosumer, sia con nuove tecnologie, che hanno facilitato l’interazione tra imprese e turisti. Negli ultimi anni, infatti, è emerso un nuovo trend per la ricerca di informazioni, grazie al moltiplicarsi dei social media e dei loro contenuti sociali, ben rappresentati dalle varie forme di user generated content, ovvero di quei contenuti generati e condivisi dagli utenti attraverso i blog, comunità virtuali, wikis, social networks, collaborative tagging e siti di sharing. Queste dinamiche trasformazioni emergono anche nel settore del turismo, dove l’acquisto di un viaggio è percepito con un alto rischio, per cui i suggerimenti, anche emozionali, di gruppi di riferimento online assumono un aspetto importante nella valutazione d’acquisto e nella scelta del viaggio. L’utilizzo di tale influenza interpersonale, che trova la sua massima espressione in community, social network e forum, può diventare un vantaggio competitivo per gli operatori della destinazione ospitale se ben gestita.

Per descrivere l’emergere dei social media si analizzerà come nasce il mercato delle conversazioni (De Felice, 2010) e poi come si sviluppa, quali sono i luoghi privilegiati del passaparola online e quali sono le regole, socialmente condivise, di tali luoghi. Sempre in una prospettiva operativa, cioè per intervenire e dialogare con i clienti reali e potenziali, al fine di progettare campagne di viral marketing e di social media marketing in grado di apportare benefici economici e di immagine a destinazioni e operatori turistici. (Litvins, Goldsmith, Pan, 2008).

4.2 Dal passaparola al marketing virale

4.2.1 WOM e-WOM e opinion leader

Il passaparola o Word of Mouth (WOM) (Qualman, 2009) nasce dalla motivazione di condividere con la propria community, considerata una cerchia di amici, emozioni, passioni comuni, elementi di soddisfazione, piacere o insoddisfazione, mediati da valori inclusivi ed esclusivi. I turisti avviano il passaparola per i seguenti motivi:

a. delusione e insoddisfazione: viene raccontato che la promessa non è stata mantenuta. Chi lavora negli uffi ci preposti a lamentele e reclami ha il compito di stimolare i clienti a far emergere le perplessità perché in tal modo si può intervenire e correggere ciò che non va. La gestione delle cattive notizie può trasformare un potenziale passaparola negativo in positivo;

b. la novità sorprendente: gli operatori introducono innovazioni personalizzate, non previste dai turisti. Ciò è possibile soprattutto con i turisti già conosciuti, per cui si regala un’escursione speciale se si sa che sono dei naturalisti, oppure una torta per l’eventuale compleanno. Quando le aspettative del cliente vengono superate, si avviano considerazioni positive;

c. il piacere di chiacchierare (pettegolezzi, nostalgie, ecc.): tornati a casa, i turisti usano fotografi e e parole per socializzare l’esperienza con amici e parenti (Lofgren, 2001). Questo fatto dimostra che, sin dall’inizio del turismo di massa, la ciarliera piccola borghesia trova nelle discussioni un piacere irrefrenabile nel condividere le esperienze con gli altri, infarcendo i racconti di “piccole narrazioni” (aneddoti, commenti su altri turisti e sui servizi e molto meno sui contatti con i locali). Anche i souvenir regalati al ritorno acquistano valore relazionale perché accompagnati da allegre rifl essioni sui luoghi d’origine;

d. tensioni interiori da scaricare: si tratta di dissonanze cognitive (“ho fatto bene a scegliere questa vacanza?”), ma anche di traumi e dilemmi esistenziali in merito alle persone con cui si è fatta la vacanza. I turisti allora parlano con altri amici, che reputano simili a loro per stili di vita, e chiedono loro di fare di nuovo la stessa vacanza. In tal modo la scelta viene confermata. Nella fase della scelta, le tensioni interiori si sciolgono si e chiedono referenze alle persone conosciute e di cui ci si fi da (Dal’Ara, 2005).

Quando il WOM diventa digitale, la diffusione a larga scala e la natura anonima ed effimera di internet riproducono i modi tradizionali, ma anche inducono nuovi modi di catturare, analizzare, interpretare e gestire l’influenza che un turista può avere su un altro (Litvin, Goldsmith e Pan, 2008) Si ha la dilatazione o dis-embending dello scambio sociale del passaparola, che, da biotico e basato sulla co-presenza fi sica diventa virtuale e basato sulla presenza discontinua e intermittente. Ma è pur sempre, in ogni caso, una relazione dotata di senso. Il passaparola elettronico (eWOM) può essere definito come tutte le conversazioni informali, dirette ai consumatori attraverso la tecnologia basata su internet i e sull’uso ottimale di beni e servizi, il cui contenuto informativo facilita la compravendita, che è l’atto finale dello scambio sociale.

Del passaparola interessa l’influenza interpersonale online, indotta dalle conversazioni informali tra consumatori/turisti al loro interno e tra produttori e consumatori/turisti, in quanto opportunità per gli operatori dell’incoming e del destination manager. Esso può esso uno strumento di marketing da parte del manager della destinazione ospitale se quest’ultimo ha un progetto e utilizza delle tecniche per incrementare le relazioni. Dall’Ara (2005) ha studiato il passaparola come strumento di marketing operativo per insegnare come si fa a stimolare e promuovere le tecniche di gestione del passaparola positivo, facendo convergere in un manuale le sue esperienze professionali precedenti l’avvento di internet.

Queste tecniche devono essere conosciute in modo preliminare proprio perché l’e-WOM è anche un’estensione di modelli comunicativi già presenti nella società turistica (e non). L’ eWOM è contemporaneamente, un insieme di continuità e di innovazioni discontinue rispetto alle regole base del WOM pre-elettronico. Per esempio, da sempre la famiglia nucleare del turismo di massa (lui, lei e due bambini), espresso dalla società industriale, decide dove e con chi fare la vacanza dopo aver ascoltato i consigli di parenti e amici, mentre la pubblicità dei tour operator serviva soprattutto a vendere un prodotto breandizzato, a offrire un prodotto che concretizzava una decisione già presa in termini di destinazione e di scelta dei compagni di viaggio (Costa, 2004).

4.2.2 Il marketing virale

Il mormorio, il dialogo, il pettegolezzo, il giudizio, il passaparola generano l’influenza interpersonale. Essa non fluisce soltanto dagli opinion leader ai seguaci, ma anche si propaga come la conseguenza di relazioni tra i seguaci. I marketers, sperando di incanalare tali relazioni in azioni profittevoli di promo-commercializzazione, cercano di creare il “buzz” (Rosen, 2000, Litvin, Goldsmith, Pan, 2008), una variante specifica del passaparola. Westbrook (1987, p. 259) ha descritto per primo il WOM in modo “allargato”, includendo “tutte le comunicazioni informali dirette ad altri consumatori sull’acquisto, uso o caratteristiche di un particolare bene o servizio o venditore”.

Il passaparola è quindi un processo che si autoalimenta grazie alla naturale trasformazione dei destinatari in nuovi vettori del messaggio. A questo si aggiunge la definizione di Buttle (Buttle, 1998) che, trasferendo il concetto di WOM su Internet, ne evidenzia il suo cambiamento da esclusiva forma di comunicazione tra clienti a strumento di comunicazione che coinvolge anche i produttori e le aziende. Quindi, il passo successivo: il buzz è definito da Thomas (2004, p. 64) come “l’amplificazione degli iniziali sforzi di marketing verso il coinvolgimento di soggetti terzi attraverso la loro influenza, passiva o attiva”.

La volontà manipolativa di utilizzare il passaparola, meglio sarebbe dire l’invenzione del “buzz” per scopi di business. (Litvin, Goldsmith, Pan, 2008) caratterizza il marketing virale come strumento per massimizzare i vantaggi del e-WOM-buzz. L’espressione marketing virale è stata coniata da Jurvetson e Draper nel 1997 (Juvertson, Draper, 1997) e denota ogni strategia che stimoli e incoraggi gli individui a trasmettere ad altri e a diffondere un messaggio, generando il potenziale per una crescita esponenziale sia della notorietà sia dell’influenza del messaggio stesso. L’utilizzo del consumatore come veicolo di diffusione del messaggio rimanda a quella forma di pubblicità e di promozione

per così dire naturale che è il passaparola. La definizione “viral” fu coniata per descrivere il successo di Hotmail, fornitore di free mail, che in 18 mesi riuscì ad assicurarsi 12 milioni di abbonati, con costi relativamente ridotti. Partendo dall’esempio di Hotmail, infatti, i due studiosi hanno notato che gran parte del potere di internet sta nella possibilità di ognuno di essere un editore: il risultato è un sovraffollamento di contenuti e la conseguente difficoltà per il cliente a selezionare e processare tutte le informazioni ricevute, per cui la carta vincente degli operatori innovativi è nel cercare di ottenere attenzione da parte del cliente attraverso strategie non convenzionali. Unendo a questo assunto quello del passaparola, che funge da strumento in grado di ridurre la complessità informativa in quanto fonte di informazioni filtrate e disinteressate che facilitano il processo di acquisto, si arriva a delineare il concetto di marketing virale. E proprio nel marketing virale i due studiosi individuano una nuova strategia di promozione non convenzionale: “elevarsi al di sopra di molte voci richiede creatività. Urlare non è molto creativo. Creare un sito web e aspettare i clienti non è molto creativo. Piuttosto, le nuove imprese possono strutturare il loro business in modo da permettergli di crescere come un virus”. (Juvertson e Draper, 1997). Catturare l’attenzione dei potenziali turisti online attraverso il passaparola, o meglio attraverso il marketing virale, diventa una nuova strategia di marketing più potente di una normale pubblicità perché coinvolge il consiglio di un amico, nonostante rimangano spesso chiari gli intenti pubblicitari (Jurvetson, 2000). Il marketing virale può quindi essere definito come una qualsiasi azione o attività che stimoli le persone a passare un messaggio pubblicitario a conoscenti e amici; è sostanzialmente un’evoluzione del passaparola, ma se ne distingue per il fatto di avere un’intenzione volontaria da parte dei promotori della campagna. Il principio del viral marketing si basa sull’originalità di un’idea: qualcosa che, a causa della sua natura o del suo contenuto, riesce a espandersi molto velocemente presso un determinato target.

Ma come si costruisce una campagna di viral marketing? Il primo ad aver modellizzato questa originale forma promozionale è stato Ralph F. Wilson, di professione E-Commerce Consultant, che ne ha defi nito i principi in “The Six Simple Principles of Viral Marketing”, di seguito riportati (Wilson, 2005):

  • offrire servizi e prodotti gratuiti o sconti, in modo da incentivare la diffusione del messaggio anche tra i più restii;
  • creare un messaggio facile da trasferire ad altri (amici e conoscenti), con tool incorporati, come per esempio, “invia a un amico”;
  • deve essere facilmente scalabile. Il metodo di trasmissione del “virus” si deve adattare rapidamente a una risposta ampia da parte delle persone, in quanto il messaggio si trasmette in modo esponenziale e rapido;
  • contiene motivazioni e comportamenti comuni a un target di persone, quindi si deve creare un messaggio originale e coinvolgente, che deve colpire l’utente;
  • utilizza le reti di comunicazione come i Social Network, proprio perché è qui che si aggrega un numero sempre maggiore di utenti e, quindi, di potenziali consumatori;
  • approfitta delle risorse degli altri, basti pensare al caso eclatante di Hotmail. Si è infatti avuta la brillante idea di allegare a ogni e-mail inviata tramite Hotmail il messaggio: “PS: Get your free e-mail account at http://www.hotmail.com”. Ogni mittente consigliava, involontariamente, al destinatario di ottenere un servizio gratis di e-mail presso Hotmail ed è così che il fondatore si ritrovò con più di 12 milioni di abbonati (Kornfeind, 2007).

Dai principi base del viral marketing si può comprende che questo strumento promozionale non mira a imporre il prodotto ai consumatori ma piuttosto a indurre i consumatori a farsi testimonial del prodotto/servizio. L’obiettivo non è di realizzare una vendita diretta, ma quello di relazionare positivamente il proprio marchio con un potenziale cliente (Mirri,

2005). Pertanto, i ritorni economici, di notorietà e immagine di una vera campagna di comunicazione virale non è completamente pianificabile a priori, proprio perché non si può sapere se il messaggio avrà un effetto virale e se coinvolgerà un alto numero di utenti (Lalli, 2008). Non è cosa facile far si che gli utenti inoltrino il messaggio ad altre persone, innescando un meccanismo di diffusione ampia e veloce, una diffusione virale appunto.

Cosa spinge dunque gli utenti a prendere parte a una community di un brand e a diffondere messaggi virali o un passaparola positivo?

Uno studio di Casaló, Flavián, Guinalíu (2010) spiega l’intenzione dei consumatori di partecipare all’interno di questi gruppi e il legame che esiste tra la volontà partecipativa, l’intenzione di acquisto e l’intenzione di raccomandare l’azienda o la destinazione turistica, diffondendo i suoi messaggi virali. Tra i fattori che influiscono maggiormente nell’intenzione a partecipare a una community online c’è l’utilità percepita, la facilità d’uso, l’identificazione nei prodotti, servizi o valori aziendali, il controllo comportamentale percepito e l’attitudine personale alla partecipazione e condivisione. Lo studio conferma inoltre che la volontà di partecipare a una community ha effetti positivi per l’azienda che la ospita, proprio perché i partecipanti sono più propensi ad acquistare beni e servizi, ma soprattutto a raccomandare l’azienda, divenendo facilmente clienti advocate o evangelisti, ovvero dei veri e propri promoter. Alcune raccomandazioni per incidere sulla volontà partecipativa alle community per spargere messaggi virali, vengono dai ricercatori, come

conclusione della loro ricerca:

  • l’intenzione a partecipare dipende soprattutto dall’utilità e dalla facilità d’uso della piattaforma sociale. Pertanto occorre incrementare contenuti utili e pertinenti, magari con sconti o promozioni riservate che, unite a un linguaggio adatto e a un design dal facile utilizzo, possono facilitare la partecipazione di un alto numero di utenti;
  • l’identificazione di comuni passioni e valori, che sono il fulcro portante della community, è indispensabile per creare un gruppo stabile con un’identità condivisa tra utenti e con l’azienda che ospita il gruppo. È quindi importante anche promuovere eventi e occasioni intorno alle quali incontrarsi, anche solo in modo virtuale;
  • la promozione della community attraverso diversi strumenti online, come blog e siti web con alto traffico (Casaló, Flavián, Guinalíu, 2010, pp. 908-909).

 

Qualche esempio di Viral Marketing:

Coca Cola



Sensibilizzazione alla guida

Assicurazione sulla vita

Il turismo Svizzero

4.3 Implicazioni manageriali

4.3.1 Cambio di visione manageriale: i mercati sono conversazioni


Partendo dall’idea guida che “i mercati sono conversazioni”, le dinamiche sociali formano i network relazionali che le aziende sono stimolate a gestire con la loro presenza sul web. La comunicazione da unidirezionale diventa interattiva e la “socialità” emerge come un fattore determinante di successo. (Marescah, 2008).

Si richiede un cambio di visione manageriale: da un modello tradizionale, che si basava su una comunicazione autoreferenziale, occorre passare a un modello relazionale, che si basa su un dialogo interattivo potenziando il marketing conversazionale. Nel libro “Marketing to the Social Web”, Larry Weber afferma che “comprendere il mercato del social web richiede di imparare un nuovo modo di comunicare con l’audience nell’ambiente digitale. Invece di continuare a essere broadcaster, gli uomini di marketing dovranno diventare aggregatori di comunità di clienti. Invece di parlare ‘’ai’’ clienti, i marketer dovranno parlare ‘’con’’ i clienti. E il social web è la via più efficiente per poterlo fare su

larga scala. Il social web è il luogo on line dove persone con interessi comuni si riuniscono per condividere pensieri, commenti e opinioni” (Weber, 2007).

Larry Weber sostiene che il web 2.0 possa essere una grande opportunità per le aziende del settore, ma anche che sono richieste nuove competenze comunicative per utilizzare correttamente gli “strumenti sociali” messi loro a disposizione da internet.

Non si potranno mai attivare, per esempio, l’eWOM e il marketing virale se non si cambia la visione dell’opinion leader, che non è soltanto la celebrità che si esibisce negli old media generalisti (giornalisti, attori-attrici ecc.), ma anche il leader molecolare dei gruppi di hobbysti che hanno effettivamente sviluppato competenze professionali nello sport, nella cultura, nella stessa valutazione dei servizi con atteggiamento positivo e generosità verbale. Ascoltare e “mettere a lavorare” tali opinion leader molecolari è altrettanto importante della decisione di migliorare la destinazione o i servizi, in modo straordinario, quando arriva la celebrità. In tale contesto, sarebbe opportuno ridistribuire il budget assegnato al marketing mix tradizionale: limitare gli inviti ai giornalisti e alla gente dello spettacolo, disapplicando in parte il vecchio modello delle two steps of communication (Katz e Lazarsferld): non c’è bisogno che il sindaco vada nei programma televisivi se ciò non è collegato a una strategia incentrata sui social media: potenziare gli uffi ci informativi sul territorio o i servizi reclami in azienda ma soprattutto il website come strumento di conversazione e di eWOM, per animare le neo-tribù/neo-comunità. Se si svolgerà un lavoro sulle mailing list dei leader molecolari, affezionati alla destinazione, si allarga il concetto di opinion leader e si avvia un mercato delle conversazioni che certamente darà i suoi risultati economici perché moderato e controllato dal destination manager e partecipato dagli attori locali.  

Vista l’importanza che i motori di ricerca dedicano ai social media (viralità) le potenzialità promozionali del eWOM (grautità) e la loro capacità di indirizzare scelte e acquisti, risulta importante per gli operatori del settore e destinazioni turistiche prendere parte a questa “conversazione online”, comprendendone appieno le regole non scritte del dialogo e

trasparenza. Quali sono dunque le tattiche attraverso cui un operatore turistico può trarre vantaggi dalla sua presenza sui social media?

1. Ascolto e dialogo: la comunicazione con il cliente. Gli strumenti di web 2.0 hanno grande impatto nel settore turistico, visto il crescere dei social network e la loro capacità di influenzare il processo di pianificazione e scelta di una vacanza. Numerosi studi hanno infatti dimostrato l‘influenza delle conversazioni presenti all’interno dei social media sul comportamento del consumatore (Buhalis 1998; Poon 1993) e, di conseguenza, sull’immagine e sulle strategie di marketing degli operatori turistici (Kozinets 1999; Wang, Fesenmaier, 2002; Miguéns, Baggio, Costa C. 2008). Il social media marketing è l’arte di far crescere una conversazione intorno a una marca, prodotto o destinazione, in modo che tale comunicazione venga condivisa da una vasta community e diffusa tra nuovi utenti (Carciofi 2010). Cambia la prospettiva comunicativa attraverso i social media: dalla comunicazione si passa alla conversazione, emerge come fattore chiave di successo il dialogo, l’ascolto e l’interagire attivamente con la propria community, al fine di ottenere credibilità, fiducia e reputazione che possono portare, in ultima istanza, a un aumento delle vendite e della conoscenza dei prodotti o servizi venduti. I consumatori vedranno così soddisfatto il desiderio di essere ascoltati e potranno così

divenire potenziali prosumer e promoter dell’azienda o destinazione (Parise, Guinan, Weinberg, 2009).

2. Creare una community partecipata. Come detto nel punto 1, tale tattica ha come scopo primario non la vendita ma la creazione di un gruppo di clienti attivi, i cosiddetti clienti brand advocate, quelli che spingono il passaparola spontaneo positivo sul prodotto o destinazione e sono disposti a inviare messaggi virali alla propria cerchia di amici. Come sottolineato anche da Attardi, durante un’intervista a VFM Leonardo, sono proprio i clienti-advocate i migliori promotori perché sono più credibili agli occhi di altri potenziali clienti, in quanto non direttamente coinvolti in interessi commerciali (VFM Leonardo14 2009).

3. Profilazione del target. I social network riescono a far ottenere una panoramica sulla tipologia di clienti interessati alla destinazione o a un prodotto turistico, ottenendo così una fotografi a puntuale dei target. Proprio sulle piattaforme sociali è possibile leggere le recensioni degli utenti, i loro desideri, ciò che gradiscono e ciò che non gradiscono del servizio o destinazione turistica. Ascoltando ciò che i turisti hanno da dire si potenzierà la capacità di creare valore, individuando i bisogni dei consumatori.

4. Creazione nuovi servizi e prodotti. Gli utenti più attivi di una community sono spesso degli appassionati di un brand, prodotto o destinazione e ne conoscono tutti gli aspetti meno noti. La partecipazione parte dal basso, c’è l’esigenza di non essere più solo spettatori passivi e dunque questa nicchia di utenti non si limita ad ascoltare i messaggi pubblicitari, ma posta commenti, inoltra messaggi virali, partecipa a diverse community, soprattutto si trasforma in un turista prosumer, in grado di migliorare o re-inventare servizi e prodotti turistici.

5. Brand reputation e customer care. Le opinioni condivise sui social media tra più utenti hanno un influente ruolo nelle decisioni di acquisto, basti pensare all’importanza crescente di TripAdvisor. Monitorare le conversazioni online e rispondere sia alle recensioni lusinghiere sia a quelle maggiormente critiche significa da una parte dare ascolto alle esigenze dal turista sviluppando un servizio di customer care online, dall’altra parte risulta essere uno strumento utile a monitorare la propria brand reputation, comprendendo che cosa le persone dicono di una destinazione o operatore turistico e cercando di porre rimedio ai disservizi.

6. Fiducia, reputazione ed “engagement”. Utilizzare i social network come strumenti per comprendere i propri clienti e stabilizzare le relazioni di stima e rispetto, grazie a una comunicazione continua nel tempo anche nella fase post-acquisto, grazie alla proposizione di prodotti personalizzati, o a iniziative dedicate ed esclusive, sconti particolari, concorsi su foto e video girati nella destinazione turistica. Esistono numerose e svariate iniziative possibili grazie ai social media, di cui si è voluto dare solo un breve elenco non esaustivo, che permettono di instaurare una relazione con il cliente duratura ma soprattutto coinvolgente a livello emozionale, confidenziale, amichevole.

7. Aumento delle vendite. I social media facilitano l’incontro tra domanda e offerta: permette l’imponente disponibilità di informazioni scambiate tra clienti e azienda, permette di avere una panoramica più ampia di una destinazione o di un operatore turistico, aumentando la propensione all’acquisto e percependo un rischio di acquisto più basso. Si tratta però di obiettivi raggiungibili solo nel lungo periodo e con molto impegno, costruendo giorno dopo giorno un dialogo e un’intesa unica con la propria community di clienti.

 

4.3.4 Le aziende devono imparare a conversare

Le potenzialità del settore chiaramente sono enormi, ma a volte poco sfruttate, come dimostra un white paper diffuso da i360 (360i White Paper 2010), web agency statunitense, dal titolo “Twitter & the Consumer: Marketer dynamic”, condotto su circa 2.000 tweet pubblicati tra ottobre 2009 e marzo 2010, che evidenzia come maggiore risultato la discrepanza tra il comportamento degli utenti e quello delle aziende.

La ricerca ha evidenziato che gli utenti conversano mentre le aziende parlano, mantenendo un approccio comunicativo e non conversazionale, imponendo messaggi dall’alto senza avere la capacità di intavolare un dialogo continuativo con il cliente. Senza un dialogo di base, infatti, non si crea una community pronta ad ascoltare le offerte o messaggi promozionali e a diffonderli tra la propria cerchia di conoscenti (Booking Blog4 2010).

Può sembrare bizzarro, ma la competenza di base per seguire la progettazione che va dal eWOM al marketing virale, all’ottenimento del Rai nei social media, applicando operativamente il social media marketing, è culturale, esperienziale, immateriale: apprendere ad apprendere come si fa a gestire le relazioni interattive per generare contenuti che fungono da preliminari allo scambio economico, vantaggioso per chi partecipa al mercato delle conversazioni

 

5. VIDEO WEB MARKETING

5.1 Introduzione. I video online nel turismo

 

La ricerca “The Traveler’s Road to Decision”, realizzata da Google in collaborazione con OTX Research (OTX Research & Google, Luglio 2009), conferma il trend di crescita degli utenti online che guardano i video, concentrandosi esclusivamente sui turisti, sia leisure sia business. Ben il 55% dei turisti leisure e il 65% dei turisti business guardano almenouna volta a settimana video online. Scendendo nel dettaglio i dati mettono in evidenza che il 36% dei turisti leisure e il 56% dei turisti business guardano video turistici online.

La ricerca, inoltre, mette in evidenza l’utilizzo che gli utenti online fanno dei video turistici durante il loro processo di pianificazione del viaggio. Più del 50% dei turisti leisure utilizza i video quando cerca un’ispirazione, un’idea di viaggio, quando deve scegliere una destinazione, quando cerca delle idee sulle attività turistiche da intraprendere in loco e per prendere decisioni sull’acquisto di soggiorni in hotel o sul tipo di trasporto. Poco meno del 50% di turisti leisure, invece, utilizza i video per supportare una scelta circa la tipologia di viaggio da intraprendere. Una situazione simile si registra anche per i turisti business, mostrando però percentuali di utilizzo dei video più alte: desiderano che i servizi si adattino alle esigenze lavorative (e ricreative) e non ai servizi.

Infine, dati interessanti emergono anche sulla tipologia di video turistici che ispirano maggiore fiducia, confermando con i dati quanto affermato a livello teorico: sono i video generati da altri utenti quelli maggiormente credibili e che ispirano maggiore fiducia. Buona considerazione e fiducia viene data, anche ai video prodotti dagli operatori turistici, dimostrando come questo strumento di marketing gode di per sé di maggiore attendibilità tra i consumatori, proprio perché difficilmente alterabili e quindi più aderenti alla realtà.

 

5.1.1 Impatto sociale dei video online: guardare, produrre e condividere emozioni

 

Per comprendere l’impatto sociale dei video e della loro condivisione online, sono stati analizzati tre studi internazionali il primo si focalizza sugli ultimi cambiamenti di internet a piattaforma interattiva WEB 2.0. (Tussyadiah, Fesenmeier, 2009); il secondo è stata pubblicato dalla MPRA (Munich Personal RePEc Archive) nel 2007 e l’ultimo è stato realizzato dallo OTO Insights nel 2008. Tussyadiah e Fesenmeier dimostrano come l’emergere di nuovi media, che utilizzano strumenti multimediali, ha favorito la nascita di nuovi mediatori di esperienze turistiche: immagini, video e realtà virtuale realizzati dagli operatori turistici accrescono e aggiungono valore alle esperienze e, nel contempo, contribuiscono a inviare diversi messaggi sulla destinazione turistica. Viene però sottolineato dalla ricerca che le immagini e video realizzati da viaggiatori reali, che quindi non possono essere considerati strumenti di marketing in senso stretto, hanno un maggiore significato sociale che culmina nell’atto della condivisione e del commento al video. Per alcuni video di viaggi i commenti degli utenti diventano importanti proprio nel momento in cui si tende a costruire una conversazione e formare una piccola e temporanea comunità online di viaggiatori. Grazie alla conversazione e ai video, gli utenti condividono informazioni di viaggio e opinioni personali o percezioni sul soggetto del video. Basandosi sulla dimensione temporale dell’esperienza turistica, i video non sono uno strumento primario solo nella fase esperienziale, quando si è giunti a destinazione, ma anche nella fase pre-viaggio e quella post-viaggio. Il ruolo dei video nella fase pre-viaggio può essere descritto come uno strumento informativo e di immaginazione, di sogno, una sorta di esperienza indiretta e virtuale della destinazione. È però nella fase post-viaggio che i video si fanno portatori di valori sociali, proprio perché possono essere considerati uno strumento per rivivere e per testimoniare l’esperienza turistica, grazie alla possibilità di condividere informazioni su una meta o su un operatore turistico.

I video assumono ruoli diversi a seconda delle diverse fasi del viaggio (approfondimento sul ciclo spazio temporale al Capitolo 10). Prima della partenza il video turistico ha funzioni informative, stimola l’immaginazione, il sogno del viaggio e il suo acquisto. Al rientro dal viaggio, il video turistico online assume una funzione di condivisione sociale dell’esperienza di viaggio, attraverso l’upload del video in siti di video sharing. Nello specifico il turista al rientro dal viaggio desidera condividere informazioni e mostrare i luoghi visitati al fine di rivivere l’esperienza turistica passata. Aspetto tecnico importante sottolineato dalla ricerca, sia per il turista nella fase pre-viaggio, sia in quello nella fase post-viaggio, è la qualità del video, che permette di vivere un’esperienza turistica multimediale più coinvolgente e confortevole. I risultati dello studio indicano chiaramente che l’aspetto sociale dei video, cioè la produzione dei video da parte degli utenti e la loro condivisione online, ha il potere potenziale di influire sulle esperienze turistiche, confermando così che possono essere un importante strumento per incrementare l’interesse dei potenziali turisti. Inoltre, la natura interattiva tra chi produce e chi vede il video permette ai siti di video sharing, come YouTube, di sviluppare comunità di viaggiatori all’interno delle quali vengono scambiate informazioni e opinioni sulle mete o sugli operatori turistici.

Un altro studio, di Mabillot David (2007), si focalizza sull’industria audiovisiva e dei film, ma ha molte implicazioni sociali valide anche per altri settori economici, come appunto il turismo. L’autore afferma che il crescente successo dei siti dedicati alla distribuzione e condivisione di video, ha rivelato il ruolo sempre più importante che svolgono gli utenti di internet, e in particolar modo i cosiddetti digital natives, nella costruzione del web. Non più soddisfatti del loro ruolo di semplici consumatori, gli utenti hanno sfruttato l’opportunità loro offerta dal web di creare pagine individuali e di distribuire le produzioni e i contenuti video. L’obiettivo dello studio è quello di analizzare i recenti fenomeni di condivisione dei video online, sottolineandone gli aspetti sociali, come la costruzione di tag e di messaggi virali sui social network. Ogni utente può cioè realizzare e caricare sul web i propri video, guardare quelli realizzati da altre persone, commentarli e classificarli attraverso i cosiddetti tag, ovvero la radice del metodo collaborativo di classificazione dei contenuti, più noto con il termine di folksonomies. La ricerca dimostra inoltre, che, grazie al potenziale virale dei social network coinvolti nella diffusione dei video, molte società mostrano interesse nella diffusione di contenuti sponsorizzati o da loro prodotti, tanto da configurare una nuova modalità promozionale cha va dai semplici link sponsorizzati a forme più innovative di video advertising.

OTO Insights focalizza la sua attenzione su un tema rilevante, già affrontato: il potere di coinvolgimento dei video. Lo studio è parte di un programma di ricerca più vasto che indaga il ruolo delle relazioni nella progettazione dei sistemi interattivi, presso l’Indiana University School of INformatics, condotta in collaborazione con OTO Insights. Lo studio considera, senza riserve, i video online come uno dei più grandi successi di internet, in grado di offrire un nuovo e crescente strumento per le attività promozionali. Ancora limitate, però, sono le acquisizioni sul coinvolgimento emotivo degli utenti alla visione dei video. Il collegamento tra emozioni e comportamenti d’acquisto è ormai consolidato nel marketing, ma l’abilità di misurare la risposta emotiva ai video online è ancora lacunosa. In risposta a tale mancanza, la ricerca ha sviluppato un metodo per misurare il riscontro emotivo e il coinvolgimento delle persone con i video online. Il coinvolgimento degli utenti è stato misurato usando il sistema OTOinsight’s Quantemo™ (marchio registrato). Il sistema Quantemo™ utilizza un approccio multimodale che combina auto-report e dati fisiologici per misurare in modo reale e olistico il coinvolgimento degli utenti con i media digitali, come i video. Analizzando i dati provenienti da Quantemo™, sono emersi tre diversi risultati su come gli utenti rispondono, percepiscono e vengono coinvolti dai video online:

1. le risposte di chi guarda i video sono emotivamente complesse;

2. i valori di coinvolgimento migliorano l’interpretazione della classificazione dei video da parte degli utenti;

3. il coinvolgimento dell’utente e il successo dei video sono positivamente collegati: più il video è coinvolgente, più l’utente lo valuta positivamente.

Il risultato della ricerca è composto da ben 80 set che descrivono le emozioni fornite dai partecipanti. Ogni descrittore di emozioni contiene da 1 a 3 differenti emozioni, riflettendo così una reazione emotiva complessa degli utenti a ogni singolo video. I set descrittivi delle emozioni sono divisi, secondo il Geneva Emotion Wheel, in gruppi positivi (es. divertente, interessante, emozionante ecc.) e negativi (es. disgustoso, irritante, deludente ecc.). I risultati raccolti dai ricercatori dimostrano che il 57% delle emozioni appartengono al gruppo positivo e il 43% a quello negativo. Il sorprendente alto numero di item negativi utilizzati nelle descrizioni contrastano con le recensioni generalmente positive dei video, dimostrando reazioni emotive complesse e spesso contraddittorie. I risultati suggeriscono il bisogno di video realizzati per il target di riferimento, al fine di incontrare l’interesse di diverse tipologie di clienti. Visto che il coinvolgimento emotivo è al centro del video marketing, comprendere la relazione tra un video e la reazione emotiva delle persone è la chiave di successo. Come i risultati preliminari di questo studio suggeriscono, i video con i punteggi che indicano un coinvolgimento maggiore sono anche quelli che hanno più successo all’interno dei siti di video sharing. Non c’è una formula magica per creare una campagna di video virali, ma l’empatia con gli utenti è un fattore cruciale di successo per qualsiasi campagna promozionale e di video marketing.

 

5.1.2 Aspetto promozionale e commerciale dei video online: conoscenza del brand e intenzione di acquisto

 

Ogni destinazione o operatore turistico offre qualcosa di unico ai turisti e tali caratteristiche peculiari si riflettono sulla sua immagine, sul suo brand. La WTO (World Tourism Organization), durante un meeting a Manila tenutosi a marzo 2006, ha definito il brand di una destinazione come:

“Una combinazione unica delle caratteristiche del prodotto e di valore aggiunto, sia tangibile sia intangibile, che acquista un significato legato in modo intrinseco a una destinazione, la cui conoscenza può essere conscia o intuitiva. Il brand non è quindi solo un logo ma un’esperienza e un’immagine che identifica un sistema di valori” (Cleverdon e Fabricius 2006).

I media online sono tra i luoghi più importanti in cui posizionare, difendere e far crescere un brand. È il luogo in cui offerta e domanda si trovano faccia a faccia, e un breve video online è un eccellente modo per promuovere e vendere una destinazione, delle attrazioni, dei tour o degli hotel, rafforzando nel contempo il brand, secondo quanto affermato da

uno studio di Double Click (Cole, Spalding, Fayer, 2009). Lo studio si è concentrato sul valore del brand comunicato attraverso diversi strumenti online, tra cui i video. I ricercatori hanno confrontato le performance di più di 4.000 brand che utilizzano i cosiddetti rich media, come foto gif, jpg, pubblicità in formato fl ash e video, concludendo che il format pubblicitario più usato è il flash (55%) e i formati di foto gif e jpg (39%) e solo il 6% delle campagne promozionali sul brand utilizzano i video. Al contrario, i ricercatori hanno scoperto che il formato più utile per promuoversi sono appunto i video, in quanto aiutano a diffondere la conoscenza del brand, la riconoscibilità delle pubblicità online, le percezioni positive intorno al brand e la capacità di indurre all’acquisto, anche se hanno una scarsa capacità di favorire l’associazione tra brand e il valore del messaggio pubblicitario.

Di conseguenza, visti gli importanti vantaggi che il video marketing offre e la prevalenza di pubblicità in formato flash, si evidenzia un disallineamento tra format scelto e obiettivi promozionali. I dati dimostrano che i video sono gli strumenti di maggiore successo nel guidare gli acquisti, con in media un aumento del 1.16% nell’intenzione di acquisto se comparato con altri format, come jpg, gif e flash. Inoltre, i video hanno un impatto positivo nella riconoscibilità e conoscenza del brand:

  • 2.30% di aumento nelle percezioni favorevoli intorno al brand;
  • 1.90% di aumento nella riconoscibilità del brand;
  • 2.60% di aumento nella riconoscibilità delle pubblicità online

In conclusione, i video eccellono nel raggiungere obiettivi di brand e di vendita, proprio perché aiutano a unire informazioni, emozioni e coinvolgimento con un prodotto, servizio o destinazione.

Per quanto riguarda nello specifico il settore turistico, il sondaggio condotto da Harris Interactive® tra il 27 e il 31 ottobre 2005 e pubblicato da VFM Leonardo (VFM Leonardo & Harris Interactive®, 2005), su un campione di 2.931 americani con più di 18 anni, di cui ben 1.935 acquistano i loro soggiorni in hotel online, dimostra l’importanza dei contenuti visuali

per gli hotel. Tra i fattori che gli utenti online classificano come “molto importante” nel selezionare l’hotel, le foto, i video e i tour virtuali hanno un punteggio maggiore rispetto ad altri fattori chiave, come le stelle dell’hotel, le informazioni sulla destinazione, i programmi fedeltà, il brand dell’hotel e le recensioni di altri viaggiatori. I contenuti visuali risultano inoltre essere più importanti per alcune categorie di viaggiatori, soprattutto tra chi viaggia e acquista online frequentemente (7 o più volte l’anno), tra chi ha figli e tra le donne. Nonostante la dichiarata utilità degli strumenti visuali nello scegliere l’hotel, molti degli  intervistati lamentano una scarsa qualità e quantità di tali strumenti, soprattutto tra chi acquista i propri viaggi sulle OTA. La scarsa soddisfazione dei turisti sulla qualità e quantità di video disponibili online, come anche la scarsa propensione degli operatori del settore e destinazioni turistiche a utilizzare i video, dimostrano un disallineamento tra quanto richiesto dalla domanda turistica e quanto viene loro offerto.

Nello studio pubblicato da VFM Leonardo & Sapient (2004), si nota come alcuni dei primi esperimenti promozionali attraverso i cosiddetti rich media (foto, video, tour virtuali, flash ecc.) si sono focalizzati troppo ed esclusivamente sulla tecnologia, e non sulle possibilità che tale tecnologia offre al turista, il reale valore aggiunto che i rich media permettono

di ottenere. Perciò, l’uso dei rich media, e dei video in particolare, dovrebbe avere come focus la valorizzazione dell’esperienza del cliente, dovrebbero essere strumenti utili che forniscono le informazioni giuste e invogliano rich media e video all’acquisto. Le animazioni flash sono tra le più gettonate e amate dagli operatori, come confermato anche dai dati ricerca di Double Click (2009) in precedenza. I clienti al contrario ricercano delle esperienze virtuali e visuali in grado di aggiungere valore e informazioni prima dell’acquisto di un viaggio, per cui privilegiano i video alle animazioni flash. Oggi, vi sono sempre più opportunità di coinvolgere un consumatore attraverso una pubblicità online, ma non si tratta solamente del numero più elevato di canali promozionali esistenti, bensì di promozioni studiate in maniera più accurata per il pubblico di riferimento. Se si è fin qui detto che il video marketing può incrementare il coinvolgimento del

consumatore, questo non significa semplicemente postare dei video su YouTube. Il marketing più avanzato riguarda piuttosto la capacità di saper incontrare le persone attraverso contenuti multimediali innovativi, creativi, avvincenti e rilevanti per la nicchia.

Riassumendo i punti focali delle ricerche internazionali illustrate, un video sul web risulta essere uno strumento efficace di marketing perché:

1. viene visualizzato solo da chi è interessato, in quanto l’utente può decidere se guardarlo, se una volta iniziata la visualizzazione interromperla e sopratutto se condividere il video con altri utenti/amici;

2. aumenta la fiducia del potenziale cliente;

3. influisce sulle scelte d’acquisto dell’utente anche più delle recensioni;

4. favorisce la conversione, grazie alle sue caratteristiche emozionali;

5. può generare viralità.

 

5.2 Video e storytelling

 

Il termine storytelling è formato da due parole inglesi: story e telling. Letteralmente, il termine può esser tradotto in italiano con le espressioni raccontare una storia, comunicazione narrativa o anche comunicazione creativa. Nella sostanza, lo storytelling è una tecnica di comunicazione che consiste nel raccontare una storia per attirare l’attenzione di un pubblico, veicolare ad esso il messaggio che la storia vuole raccontare e stimolare uno specifico desiderio nei lettori, persuadendoli a compiere una specifica azione (Scuratti, s.d.).

Il Digital Storytelling è un metodo innovativo per creare storie, passando dal testo per immagini agli ipertesti, al multimediale. Lo storytelling, inteso come l’arte di narrare la storia del prodotto di un’azienda, si fa sempre più spazio nel mondo dei social media e si propone come valido strumento per posizionare correttamente il proprio brand sul mercato online. Oggi, infatti, gli utenti non vogliono più ascoltare e leggere racconti unidirezionali da parte del brand basati solo sull'aspetto commerciale, ma sono interessati invece al coinvolgimento attivo ed emotivo.

La pubblicità tradizionale ha subito un cambio paradigmatico e si è compiuta una transizione dalla classica promozione commerciale, fondata sul controllo della comunicazione, verso un dialogo attivo con gli utenti, basato invece sulla discussione e la condivisione non centralizzata. Lo storytelling, da questo punto di vista, si rivela un valido strumento per coinvolgere attivamente i potenziali clienti e trasmettere sentimenti ed emozioni legati all'identità corporate, che sappiano andare incontro ai bisogni, alle aspettative e agli interessi del pubblico di riferimento.

Il Digital Storytelling deve dare la sensazione di autenticità e non l’impressione di raccontare una storia con l’unico obiettivo di vendere un prodotto o servizio. Deve saper toccare le emozioni del pubblico della nicchia perché un pubblico coinvolto emotivamente è molto più propenso a fare acquisti di un pubblico annoiato. Deve raccontare una storia che faccia venir voglia a chi la legge di condividerla con le persone che conosce. Lo Storytelling del brand, quindi, si trasforma sempre più spesso in visuale perché le immagini creano maggiore engagement con l’utente e producono maggiore traffico, vale a dire più visualizzazioni e più condivisioni. Proprio per questo, il Digital Storytelling è un elemento fondamentale nella creazione di video online.

Tra le caratteristiche principali del Digital Storytelling, si possono elencare:

  • Fiducia: conoscenza pregressa del brand e online brand reputation
  • Emozioni: le storie e i video hanno bisogno di uno sviluppo che tocchi le emozioni.
  • Relazione: il pubblico deve identificarsi nel racconto
  • Semplicità: una storia semplice e un video breve, sono caratteristiche vincenti tra utenti abituati ad un web sempre più veloce
  • Personale: il pubblico vuole dare un significato personale alla storia
  • Immersione: il pubblico deve potersi identificare nel messaggio
  • Familiare: Storie diverse possono condividere una struttura collaudata, uno sviluppo riconoscibile e facile da inquadrare (Esposito, 2013).

 

Di seguito alcuni esempi di Digital Storytelling applicati ai video turistici

Hotel Villa Cora

Dubai

7.3 Implicazioni manageriali: come produrre, mostrare e diffondere i video

 

I risultati delle ricerche consentono il loro trasferimento agli operatori turistici, allo scopo di migliorarne le performance manageriali in VWM (Video Web Marketing). A tal fine, proponiamo il metodo dei quesiti: si pone una domanda che i practitioner pongono nel corso dei seminari e l’esperto in VWM risponde in termini di pensiero applicato, contestualizzando la risposta, perché non è un venditore di software e di soluzioni miracolistiche, ma un professionista riflessivo o philosophic pratictioner (Costa, 2005)

Durante il webinar “Welcome to the video economy: learn how successful hoteliers are producing, displaying and syndicating video online”, presentato attraverso il sito web di VFM Leonardo il 23 settembre 2010, la società ha spiegato come produrre, mostrare e diffondere i video online, proponendo anche una serie di esempi e best practice di hotel che hanno saputo realizzare strumenti multimediali promozionali, che combinano testo, video e foto.

 

Primo quesito: come produrre un video?

È importante definire una storia da raccontare, che metta in luce le caratteristiche uniche di un hotel, di un prodotto o di una destinazione, che emozioni, coinvolga il cliente. È importante ispirare il maggior numero di turisti spingendoli all’acquisto, dando loro una ragione per scegliere una destinazione turistica o un operatore invece di un concorrente.

Sviluppare un video di successo richiede la conoscenza dei propri consumatori, sapere che cosa dicono della destinazione, che cosa rende una meta unica, quali sono le caratteristiche distintive dei competitors, che cosa può ispirare e coinvolgere la nicchia. Sintetizzando, un video promozionale deve essere: autentico, rappresentando i valori della popolazione locale;

  • rilevante, per specifici target di turisti, rivolto esplicitamente a nicchie;
  • coinvolgente, con elementi di intrattenimento;
  • disponibile, facile da trovare online grazie ad apposite pagine ottimizzate;
  • condivisibile, facile da condividere attraverso i social media;
  • breve, massimo due minuti;
  • con interviste e video-recensioni, per conoscere i proprietari o lo staff, creando un senso di familiarità e di fiducia;
  • con una storia da raccontare per esprimere il valore e l’unicità di ciò che si vende.

È importante evitare di riprodurre nei video “falsi idilli un po’ noiosi”, anche al fine di incrementare l’attenzione degli utenti e l’effetto virale. Un ottimo esempio virale è il video dell’Hans Brinker Hotel che usa la fantasia, la creatività, ma soprattutto il coraggio di mettersi in gioco con qualcosa di diverso, per spingere l’effetto virale del video promozionale.

 

Secondo quesito: come mostrare un video sul sito web ufficiale?

Tre diverse modalità sono maggiormente adottate dai siti e-commerce per mostrare i video all’interno del proprio sito internet. Si possono realizzare link al video, o icone che invogliano il cliente a cliccare per guardare il video, o video inseriti direttamente all’interno del sito. Tutti e tre i modi sono efficienti, anche se i video inseriti direttamente nella home

page o nella pagina relativa a uno specifico prodotto generano solitamente i più alti tassi di visione. Si può quindi concludere che il migliore modo per mostrare i video sia nella home page, evitando di nascondere i video sotto una lunga serie di click.

 

Terzo quesito: come diffondere un video?

Ogni video deve raggiungere un vasto pubblico di consumatori ed è quindi essenziale diffondere i video promozionali attraverso diversi canali online e siti internet, come i social media, siti di video sharing e siti dedicati al turismo. Essere presenti in diversi siti web con uno o più video aumenta, infatti, le possibilità di essere notati dagli utenti che si possono

convertire così più facilmente in clienti.

David Attardi, direttore dipartimento e-commerce per B.F. Saul Company’s Hotel Division, in un’intervista a VFM Leonardo argomenta l’importanza dei contenuti visuali come parte di una strategia promozionale coordinata. Attardi afferma che per ogni contenuto visuale occorre pianificare un’attenta strategia distributiva, proprio perché, tutti insieme, concorrono a creare un mix promozionale: devono comunicare un messaggio coerente, sulla stessa linea d’onda, indirizzato a un preciso target di nicchia, con una medesima storia da condividere. Dopo aver targhettizzato il contenuto con coerenza, occorre distribuirlo nei diversi luoghi in cui i molteplici target acquistano. Per esempio, i viaggiatori business preferiscono acquistare direttamente sul sito dell’hotel; di conseguenza il video realizzato per il target business va messo ben in evidenza nelle sezioni del sito ufficiale dedicate ai servizi meeting e incentive. Al contrario, i viaggiatori leisure preferiscono acquistare su siti intermediari, come le OTA, pertanto, si dovrà optare a un posizionamento su tali siti o su siti di video sharing, sia generici sia dedicati al turismo. (Attardi, 2009).

I manager dovrebbero provvedere alla pubblicazione dei video su tutti i siti che offrono l’opportunità di guardarli e condividerli, come YouTube in primis, ma anche Libero Video, MySpace, Google Video, AOL, MSN, Yahoo Videos, Search Video ecc. Questo consente una diffusione ben più ampia e molto più capillare, in quanto il numero di visitatori di questi portali è molto grande e gli interessi dei suoi fruitori molto variegati. Inoltre, i video presenti su siti di video sharing hanno l’opportunità di essere condivisi spontaneamente con molti utenti, commentati e al centro di discussioni tra persone. Se all’effetto virale e community si aggiunge la possibilità di ottenere vantaggi anche nel posizionamento nelle pagine dei motori di ricerca, si può comprendere appieno l’importanza del video marketing. Occorre, però, fare in modo che i video siano facilmente ricercabili anche attraverso i motori di ricerca che, migrando verso l’Universal Search, mostrano sempre più video, tanto da far parlare di ricerca visuale tramite i motori di ricerca. (Digithink White Paper, s.d.).

Inoltre, diffondere il materiale fotografi co e i video sulla rete equivale ad aumentare le chance di poter essere trovati, perché foto e video geotaggati e caricati sui siti Flickr, Panoramio e YouTube, sono ripubblicati su numerosi altri siti, mappe online e applicazioni mobile, tra cui Google Maps. Cercando le informazioni su una destinazione attraverso le mappe, gli utenti possono vedere anche i video georeferenziati da Youtube, con tanto di link diretto al canale video dei DMO e degli operatori turistici (Booking Blog1 , 2010). Risulta quindi importante ottimizzare la visibilità dei video online, grazie a:

1. un buon titolo, contenente le giuste keyword;

2. una buona descrizione con link della pagina che si vuole promuovere;

3. tag impostati in modo corretto;

4. link di qualità in entrata (link popularity);

5. l’inserimento di note all’interno del video con il link della pagina da promuovere (Todisco, 2009).

La strategia di diffusione del video, anticipata nei punti precedenti come chiusura del capitolo, verrà trattata nel capitolo 8, inquadrando il VWM nelle tecniche SEO (Search Engine Optimization) e SEM (Search Engine Marketing).

6. TECNICHE SEO E SEM

6.1 Introduzione. I motori di ricerca

Un motore di ricerca è un web che contiene un grosso database formato da indirizzi di pagine o altri siti. Il database è interrogabile con diverse modalità e presenta i risultati sotto forma di una lista con il titolo del web, l’indirizzo e una breve descrizione. Il nome deriva dal fatto che l’alimentazione del database viene effettuata automaticamente attraverso dei programmi chiamati robot o spider, che scandagliano internet per trovare oggetti da segnalare o per verificare quelli già presenti nel database (Baggio, 2001).

Strumento molto usato,il motore di ricerca è una delle principali fonti di indirizzi per un navigatore: Quindi essere ben posizionati, cioè comparire il più possibile all’inizio di una ricerca, è cruciale. Per l’enorme numero di pagine e di siti presenti in rete, la ricerca viene effettuata inserendo una o più parole chiave; il software di interrogazione dell’archivio propone una serie di risultati che vengono ordinati in base a criteri definiti in modo da dare all’utente una risposta il più vicina possibile a quanto richiesto.

I motori sono utilizzati a 360 gradi nella ricerca di informazioni turistiche: hotel, voli, destinazioni, attività turistiche, pacchetti e noleggio auto. Una ricerca di Google e OTX Research (2009) evidenzia che la più importante fonte di informazione, sia per turisti leisure sia business, rimane il motore di ricerca. Seguono le agenzie di viaggio online, come Expedia, i siti di ricerca dedicati solo al turismo, come Kayak, i siti di recensioni, come TripAdvisor, i siti specifici di una destinazione e dunque i DMO, e infine i siti di pianificazione dei viaggi, come Yahoo Travel Trip Planning, in cui gli utenti

pubblicano i loro viaggi che possono servire da ispirazione e spunto ad altri viaggiatori che, a loro volta, possono utilizzare gli itinerari di viaggio personalizzandoli.

Attraverso i motori di ricerca è sempre più facile ricercare informazioni sui prezzi, sulla disponibilità, sulla qualità di un prodotto o la bellezza di una destinazione, in modo rapido e veloce. Uno studio effettuato da Google U.K. e ComScore (2008) si focalizza sul comportamento dei turisti nella ricerca di informazioni online, evidenziando che i motori di ricerca vengono utilizzati in modo sempre più sofisticato. I dati dimostrano che tra la prima ricerca e l’acquisto di un viaggio trascorre circa un mese, durante il quale gli utenti effettuano 12 ricerche e visitano 22 siti web. Un tempo considerevole, che può essere sfruttato dalle destinazioni turistiche e operatori per promuoversi e influenzare la scelta del turista. I dati dimostrano inoltre che, in media, i consumatori visitano 2,5 volte il sito in cui acquisteranno il loro viaggio, mettendo in rilievo la capacità del turista di comparare le offerte dei diversi competitor, acquistando il prodotto turistico solo dopo una accurata ricerca. Si conferma la figura del turista professionalizzato. Il 54% delle ricerche iniziano con termini generici, come “pacchetto turistico” o “viaggio in Italia”, per poi divenire più dettagliate nel tempo, includendo anche i brand nei termini di ricerca.

Un’analoga ricerca di Yahoo (Yahoo!Italy, 2009), presentata al BTO (Buy Tourism Online) il 17 novembre 2009, conferma sostanzialmente la ricerca condotta da Google. Si rileva una crescente complessità di utilizzo dei motori di ricerca per reperire informazioni turistiche.

L’utente, prima di prenotare, in media, visita oltre 35 siti di viaggio, anche molto tempo prima della partenza ed effettua oltre 10 “travel queries” (ricerche relative ai viaggi), oltre metà delle quali effettuate dai 30 ai 90 giorni prima della prenotazione. Circa la metà dei siti visitati è strettamente legato alla transazione nel dettaglio e la restante metà è distribuita su altre tipologie: siti turistici e guide turistiche, “meta search sites” e siti focalizzati su argomenti turistici.

La ricerca evidenzia, inoltre, che oltre il 50% delle attività svolte prima dell’acquisto online da parte dei turisti, deriva da query su motori di ricerca e che i turisti che effettuano maggiori ricerche sono più propensi a cambiare brand (il 36% contro il 29% dei nonsearchers), ma diventano anche più facilmente Brand Advocates, cioè dei veri e propri fan del marchio, pronti a farsi carico di una promozione e passaparola spontaneo e totalmente gratuito. Infatti, i motori di ricerca vengono utilizzati per cercare idee e informazioni, ma, in seconda posizione, tra le ricerche maggiormente effettuate vi sono quelle collegate a uno specifico brand. Segue l’utilizzo dei motori di ricerca per confrontare prodotti e servizi e per cercare il sito in cui prenotare il proprio viaggio, evidenziando così che i motori di ricerca non svolgono un importante ruolo soltanto nella fase di ricerca di informazioni, ma soprattutto in quella di acquisto i siti degli operatori turistici e delle destinazioni ben posizionati nei risultati dei motori di ricerca hanno maggiori possibilità di essere trovati e di finalizzare una vendita diretta al consumatore (Milano, 2009). Sempre durante il convegno BTO -Buy Tourism Online- del 2009, Google ha dichiarato che attualmente: “si effettuano ricerche più specifiche sul turismo. Oggi, rispetto a un anno e mezzo fa, otre 2/3 degli Italiani cercano sempre più di tre parole”. Ancora una volta ritorna il principio della long tail, e dunque il motore di ricerca deve diventare sempre più preciso nell’andare incontro alle esigenze più complesse e specifiche di diverse nicchie di mercato. Le ricerche proposte dai due maggiori motori di ricerca, Google e Yahoo, evidenziano la tendenza fin qui analizzata, che va verso un turista esigente, abituato a utilizzare diverse tecnologie e che richiede sempre più servizi personalizzati alla cui costruzione può prendere parte (Booking Blog26, 2009)

6.2 SEM (Search Engine Marketing) e SEO (Search Engine Optimization): ottimizzazione, indicizzazione e posizionamento di un sito web sui motori di ricerca

Creare un sito web non è una condizione sufficiente per determinarne il successo. Un sito deve essere trovato dagli utenti e quindi, non deve solamente confrontarsi con la concorrenza di settore, ma deve avere anche la capacità di emergere tra i milioni di siti web presenti nei motori di ricerca.

Esistono svariate tecniche e strumenti per permettere a un sito di essere indicizzato e ben posizionato nei motori di ricerca; le maggiori sono da identificarsi nel SEM (Search Engine Marketing) e nel SEO (Search Engine Optimization). Vista la vastità e la continua evoluzione di tali argomenti, si è preferito focalizzarsi su concetti chiave, che alla base del SEO e SEM. Si è perciò pensato di chiarire innanzitutto la differenza tra ottimizzazione, indicizzazione e posizionamento di un sito web su un motore di ricerca, per passare poi a trattare per grandi linee alcune strategie SEO, secondo le indicazioni suggerite da Google, e alcune tecniche SEM.

In che cosa consiste la differenza tra indicizzazione e posizionamento di un sito su un motore di ricerca?

L’ottimizzazione di un sito consiste nel modificare il codice sorgente (HTML) delle pagine che lo compongono affinché un sito venga indicizzato dagli spider in maniera corretta, associando a determinate parole chiave le pagine del sito stesso. Prima di iniziare una attività di posizionamento nei motori, si ottimizzano le pagine del sito web, al fine di renderle leggibili ai motori di ricerca.

L’indicizzazione è un termine che indica quanto una o più pagine di un sito web vengono prese in considerazione da un motore di ricerca (es. Google, Yahoo, Bing). Quando si crea un sito, il dominio è troppo giovane per essere conosciuto, non solo dagli utenti, ma anche dai motori di ricerca. Ci vuole un po’ di tempo prima che il robot automatico dei motori di ricerca trovi il sito per indicizzarlo, cioè per capire che esiste un nuovo sito. Far trovare immediatamente un sito da un motore di ricerca è impossibile, ma si può suggerire l’esistenza del sito direttamente ai maggiori motori di ricerca, in modo da aumentare le possibilità che i robot indicizzino il sito. Una volta indicizzato il sito web, occorre posizionarlo.

Il posizionamento è la capacità di un professionista SEO di mostrare sui motori di ricerca il sito per determinate parole chiave di ricerca (Pontone2, 2010). Il posizionamento può essere naturale (organico o algoritmico), attraverso tecniche di SEO o a pagamento, attraverso tecniche SEM (De La Pierre, 2010).

Sostanzialmente, le attività SEO si concentrano sui fattori di posizionamento interni al sito, cioè elementi strettamente legati all’ottimizzazione di un sito, delle sue singole pagine e di tutti gli elementi di contenuto che lo compongono. Le attività SEM, invece, si focalizzano sui fattori di posizionamento al di fuori del sito, cioè la pianificazione, gestione e monitoraggio delle campagne pubblicitarie e promozionali online. La Search Engine Optimization o SEO, mira alla massimizzazione del volume e della qualità del traffico dai motori di ricerca verso un sito web (De La Pierre, 2010). Nelle parole volume e qualità si racchiude il segreto di una buona strategia SEO. Infatti tutte le tecniche per incrementare il posizionamento di un sito web su un motore di ricerca puntano a aumentare il numero di utenti che accedono al sito, ma l’obiettivo primario non dovrebbe essere aumentare incondizionatamente tale numero, bensì puntare a un pubblico di qualità, altamente interessato a ciò che il sito web offre o alla destinazione turistica e, quindi, più propenso all’acquisto. Il SEM, invece, è il mix di strumenti, tecniche e canali per il marketing sui motori di ricerca e può essere realizzato attraverso campagne adwords o PPC (pay per click), pubblicazione link in directories qualificate, inserimento link diretti in portali di settore ecc.

 

8.3 Implicazioni manageriali: perché e come migliorare nelle strategie SEO?

 

Non si analizzano tutte le variabili SEO perche esse sono soggette a continua obsolescenza, a causa di nuovi algoritmi di posizionamento lanciati dai motori di ricerca. Si può però “allenare” la mente dell'operatore ad essere aperta e disponibile al continuo aggiornamento sugli strumenti SEO. Si preferisce analizzare solo i contenuti di un sito web in ottica SEO.

Uno studio sul processo di pianificazione di un viaggio online (Pan, Fesenmaier, 2006) ha identificato rilevanti differenze tra il linguaggio utilizzato dagli addetti marketing e i turisti nel modo di concettualizzare e descrivere una destinazione attraverso le parole chiave utilizzate durante la ricerca. Prendendo, per esempio, la destinazione turistica di San Diego, si è infatti notato che solamente otto parole sono di uso comune tra aziende e utenti, su un totale di venticinque. Nello specifico, si tratta di concetti generici, come le parole San Diego, California, informazioni, città, attrazioni, hotel, musei e ristoranti. Il modello semantico dei turisti include anche concetti esperienziali e soggettivi, come per esempio verbi basati sull’azione, quali camminare e guardare. Al contrario, il modello semantico degli operatori turistici è maggiormente orientato al marketing, enfatizzando prezzi, prodotti e servizi con parole come gratis, sconto, prezzo, crociere e servizi. Anche la scelta delle attrazioni è diversa: per esempio, lo zoo, la spiaggia e la musica sono nella top 25 dei concetti utilizzati dall’utente, mentre le informazioni turistiche offerte dagli operatori si concentrano maggiormente sull’attrazione turistica Sea World, dimostrando un netto disallineamento tra ciò che desidera il turista e ciò che viene loro offerto dagli operatori turistici locali.

Pan e Fesenmaier (2006) dimostrano che il DMO deve sintonizzarsi sulle esigenze e, di conseguenza, sulle chiavi di ricerca utilizzate dai potenziali turisti, per dare maggiore visibilità agli operatori e maggiori informazioni agli utenti, che saranno di conseguenza più ropensi all’acquisto in virtù delle informazioni pertinenti fornite.

Pan e Fesenmaier (2006) forniscono un esempio, che confronta il modo di descrivere San Diego di un operatore turistico e quello di un turista. Le aziende turistiche descrivono San Diego così:

“San Diego è una città situata in California. Forniamo informazioni su hotel e parchi. Puoi trovare le mappe di San Diego, oltre ai migliori sconti sui biglietti con i migliori prezzi per le crociere, i tour della baia e dell’area del Sea World. Ci sono molte attrazioni e servizi, tra cui centri commerciali, musei, ristoranti ed eventi gratuiti. Abbiamo anche i migliori musei d’arte”.

Al contrario, i turisti sembrano percepire San Diego in questo modo:

“Sappiamo che San Diego è una città turistica situata in California. Se andassi lì, vorrei passeggiare sulle spiagge e ammirare la città durante il giorno. Mi piace guardare le persone e partecipare agli show dal vivo. Mi piace stare in bei posti, buoni hotel e cenare nei ristoranti con buon cibo. Mi piace informarmi su diversi musei. Mi piacerebbe, inoltre, visitare le grandi attrazioni come lo zoo di San Diego e i club di musica”.

La comparazione chiarifica come gli utenti usano parole soggettive ed esperienziali per descrivere San Diego e le loro esigenze. Al contrario, i siti web turistici sono dominati da un linguaggio di marketing e promozionale, focalizzato sulle attrazioni a pagamento e sui prezzi, non partecipano alle neo-comunità e al mercato delle conversazioni. I risultati. Della ricerca dimostrano l’esigenza di nuovi contenuti informativi e promozionali maggiormente orientati agli utenti e non pensati solo ed esclusivamente per la vendita di prodotti e servizi.

Quali sono i vantaggi operativi dei buoni contenuti, scritti appositamente per il web, ma soprattutto per i turisti?

  • migliorare le informazioni per il visitatore;
  • migliorare il posizionamento del sito web sui motori di ricerca;
  • migliorare la credibilità dell’azienda;
  • migliorare il link building e quindi la link popularity;
  • aumentare le conversioni di utenti in clienti.

Di seguito, grazie a contributi e interviste di specialisti nel settore del web copywriting e del persuasive copywriting, si comprenderà come scrivere i contenuti per il web al fine di ottenere gli obiettivi sopra citati.

Jonathan e Lisa Price (2002), nel loro libro sul web writing illustrano le caratteristiche della scrittura di contenuti per il web, sottolineando la necessità di creare testi brevi, semplici, in grado di emozionare o regalare esperienze virtuali a chi legge. Si è già detto di quanto i turisti siano oggi a caccia di emozioni ed esperienze uniche, quindi scrivere testi in linea con tali esigenze risulta essere un fattore di successo. Oltre ai cambiamenti stilistici, occorre modificare la mentalità che guida la scrittura dei testi. Come sottolineano Jonathan e Lisa durante un’intervista a Fucinaweb (Volpon, 2002), è necessario ripensare la prospettiva comunicativa dei contenuti, interagendo con gli utenti. Si deve strutturare il contenuto di un sito come parte di uno scambio, non come un documento autorevole. Il testo sul web non deve essere un’opera d’arte, deve piuttosto consentire ai visitatori di interagire, di soddisfare le loro necessità, di riuscire a ottenere ciò che si aspettano.

Anche Luisa Carrada (2008), punto di riferimento italiano della scrittura sul web, grazie al suo sito “il mestiere di scrivere” (www.ilmestierediscrivere.com), aggiunge ulteriori elementi tecnici che devono essere presenti nella stesura di contenuti per il web. Si sottolinea, infatti, l’importanza di strutturare correttamente l’ipertesto e i link, in modo da organizzare l’informazione, creare collegamenti e percorsi. Anche la forma del testo ha un’importanza rilevante per il web: la realizzazione di titoli, sottotitoli, grassetti, punteggiatura, font, spazi aiutano la lettura su schermo proprio perché i testi, prima ancora di esser letti, vengono guardati dagli utenti. Se risultano confusi o illeggibili, il sito viene presto abbandonato, anche se i contenuti siano di grande valore e qualità. Non bisogna però dimenticare che i contenuti influenzano anche i motori di ricerca, e nasce dunque l’esigenza di scrivere sia per gli utenti sia per i motori di ricerca.

La guida all’ottimizzazione dei siti web, realizzata da Google (2008), afferma che creare del contenuto utile e originale è probabilmente il fattore più importante per un sito, se comparato con gli altri elementi discussi nel paragrafo precedente. Le linee guida di Google suggeriscono, infatti, di scrivere contenuti freschi e aggiornati frequentemente, pensati per

gli utenti e non per i motori di ricerca, evitando di duplicare e copiare i contenuti per non incorrere in inutili penalizzazioni. Contenuti e informazioni di qualità e utili per il target di riferimento, inoltre, tendono a essere condivisi dagli utenti e a sviluppare un passaparola spontaneo, dettato dall’interesse nell’argomento trattato. Più un testo viene condiviso e “linkato” in altri siti, più ne aumenta la popolarità. Si tratta della cosiddetta link popularity, ovvero popolarità di un sito attraverso l’aumento di link che puntano al sito stesso, cioè uno dei fattori determinanti per il posizionamento sui motori di ricerca. Questo perché il motore interpreta ogni link a una pagina come un voto di qualità ai suoi contenuti e, pertanto, il sito va “premiato” nei risultati dei motori di ricerca. Si potrebbe, però, essere indotti a pensare che maggiori link un sito riceve, maggiore sarà la sua link popularity. In realtà, questo non è del tutto esatto, perché i motori di ricerca non si limitano a conteggiare i link in termini numerici, ma ne considerano anche la qualità, ovvero la pertinenza e la tematicità. Creare una buona reputazione del sito agli occhi dei motori di ricerca e degli utenti richiede, in sintesi, la creazione di contenuti di qualità, informativi, creativi, innovativi e interessanti per il target di riferimento, in grado di comunicare in modo efficace e di spingere l’utente all’acquisto (Pontone5 2010). Infatti, aumentare la visibilità del sito sui motori di ricerca e, di conseguenza, aumentare il numero di visitatori, non è condizione sufficiente per il successo di un sito web. Una volta che l’utente arriva in una pagina del sito web, è necessario che trovi immediatamente le informazioni che cerca, e che i contenuti lo spingano a fare azioni concrete, come l’acquisto, la compilazione dei form per la richiesta informazioni sui prodotti o servizi offerti dall’azienda o sulla destinazione turistica. Occorre studiare e strutturare il testo secondo le esigenze del target, utilizzando una scrittura relazionale, connettiva e creativa, per convertire l’utente in cliente.

 

6.4 Il SEM e la pubblicità online: la long tail del PPC (Pay Per Click)

Le forme pubblicitarie sperimentate sul web sono numerose. Le prime sperimentazioni si possono riconoscere nei banner e nei pop up, ancora oggi utilizzati, ma piuttosto poco efficienti in quanto richiamano la pubblicità dei mass media, quindi con un’esposizione al messaggio involontaria, passiva e di massa.

I banner sono “manifesti elettronici”, spesso anche animati e dai colori vivaci, e possono essere posizionati in diverse parti della pagina web che li contiene. I pop up, invece, sono delle finestre contenenti il messaggio pubblicitario, che si aprono sopra la finestra attiva del browser. L’impatto di queste forme pubblicitarie online sul consumatore è limitato, in quanto il banner pubblicitario viene solitamente collocato in una pagina web nella quale sono presenti spesso numerosissime altre informazioni, quindi non colpisce l’occhio del navigatore, mentre il pop up viene visto, nella quasi totalità dei casi, come un’intrusione non autorizzata a cui subentrano dei sistemi di blocco; oltretutto, rallenta la navigazione e interrompe l’attività principale a cui si stava dedicando l’utente. Wu, Weib, Chenc (2008), evidenziano le "criticità" del banner nell'interazione con l'utente di internet:

  • l’attenzione involontaria dell’utente alla pubblicità online: il banner ha la capacità di comunicare un messaggio anche se l’utente non clicca sulla pubblicità. Infatti, sia attraverso il testo, sia attraverso le immagini che lo compongono, il banner ha capacità informative e promozionali indipendentemente dalla volontà dell’utente, che si espone passivamente al messaggio. Le caratteristiche intrinseche del banner sono quindi un fattore basilare, che tutte le pubblicità di questo tipo hanno e non rappresentano dunque un fattore chiave di successo;
  • il design della pubblicità: è un fattore chiave di successo di un banner, se strutturato congruentemente con le attitudini, le credenze e i valori del consumatore. Sono l’aspetto grafico, visivo, che colpisce l’occhio e quindi risultano importanti colori, suoni, immagini e contenuto testuale. Se l’attenzione degli utenti a queste tipologie di pubblicità è involontaria, si può spingere l’utente a un’azione attiva (es. click sul banner, visita del sito ufficiale, richiesta di informazioni, acquisto ecc.) attraverso un design e contenuti accattivanti e in linea con il target. La ricerca evidenzia, infatti, che banner dal design complicato hanno effetti negativi nella percezione del brand e della pubblicità, mentre banner attraenti spingono a una percezione del brand positiva;
  •  l’attitudine del consumatore verso la pubblicità online: è un fattore personale e individuale, in quanto risponde alle attitudini diverse di consumatori diversi. L’attitudine verso la pubblicità si divide sostanzialmente nella percezione cognitiva ed emozionale della pubblicità, che porta all’accettazione o meno del messaggio pubblicitario;
  • grado di coinvolgimento con il prodotto pubblicizzato: è un fattore di mediazione tra l’attitudine del consumatore alla pubblicità e gli effetti che tale pubblicità genera (es. acquistare, rifiutare o ignorare il messaggio, richiedere informazioni, fare ulteriori ricerche sul prodotto ecc.). I banner che intrattengono l’utente con messaggi divertenti o coinvolgenti portano a una risposta maggiormente positiva verso la pubblicità.

Nel complesso, la ricerca di Wu, Weib e Chenc (2008) rileva le caratteristiche chiave di un banner di successo, sottolineandone soprattutto le criticità. Viene, infatti, evidenziata l’importanza di strutturare un banner con un ottimo design e con un messaggio coinvolgente, al fine di aumentare l’attitudine del consumatore verso la pubblicità online. Diversamente l’esposizione al banner rimarrebbe passiva, confusa con gli altri banner che spesso affollano le pagine web e non invoglierebbe il cliente a cliccare sul banner o a compiere qualsiasi altra azione verso il brand pubblicizzato.

Come sottolineato dalla quattordicesima edizione dell’osservatorio europeo NetObserver (NetObserver Europa, 2007), tali forme pubblicitarie sono poco creative e vedono l’utente in un ruolo passivo, sono di scarsa efficacia nel web e portano a risultati insoddisfacenti per gli investitori. La pubblicità nei banner è superata e l'utente preferisce una pubblicità inserita nei motori di ricerca. La ricerca, realizzata su un campione di 210.000 navigatori internet europei, ha fatto emergere dati interessanti sulla pubblicità online: oltre il 50% degli utenti mostra soddisfazione verso la pubblicità online, soprattutto relativamente al fatto che la reputa innovativa e creativa, e perché li aiuta a scoprire nuovi prodotti e servizi; inoltre, oltre il 40% degli utenti mostra soddisfazione verso la pubblicità online perché fa trovare quello che l’utente cerca. Per quanto riguarda il target giovanile under 25, la ricerca evidenzia che l’advertising deve adattare la comunicazione integrando la dimensione comunicativa a quella di svago. La pubblicità interattiva attraverso il gioco o partecipativa attraverso il richiamo al contributo, sono delle piste da privilegiare per conversare con questa generazione di navigatori (Cappello, 2008). Si deduce che forme più efficaci di advertising possono essere alcune azioni SEM (Search Engine Marketing) mirate e contestualizzate nella ricerca, come per esempio il Pay Per Click (PPC) integrato nei maggiori motori di ricerca.

Gli annunci pubblicitari vengono, infatti, visualizzati quando gli utenti effettuano ricerche utilizzando una delle parole chiave fornite dall’inserzionista; si tratta quindi di un’utenza estremamente interessata a quel prodotto, pacchetto o destinazione, in quanto l’ha ricercata nei motori di ricerca e, quindi, è un pubblico maggiormente soggetto a trasformarsi in cliente. Ciò si collega direttamente al concetto di long tail, teorizzato da Chris Anderson (rimando per approfondimenti al Capitolo 3), facendo riferimento a quelle nicchie di mercato formate da un ristretto numero di clienti con esigenze particolari e ben definite. Tali consumatori ricercano informazioni, pacchetti, prodotti e servizi sui motori di ricerca, seguendo le loro esigenze e quindi usando chiavi di ricerca specifiche e non generiche. La coda lunga applicata alle keywords dei motori di ricerca richiede un’attenta analisi e selezione dei termini da utilizzare nelle campagne PPC. Da qui nasce l’opportunità per operatori turistici e DMO di selezionare le chiavi di ricerca utilizzate dal target di riferimento, dette appunto long tail keyword, al fine di strutturare campagne pubblicitarie e PPC in linea con la propria nicchia di mercato o target. Il traffico generato da tali campagne può essere generato da pochissime parole chiave o da parole chiave altamente specifiche, mirate per un definito target di utenza.

Lavorare con le parole-chiave della long tail presenta un duplice vantaggio: si ottiene una riduzione dello sforzo e del costo per posizionarsi nei risultati sponsorizzati dei motori di ricerca e, inoltre, essendo la long tail l’espressione di esigenze precise e non generiche degli utenti, si ottiene una generazione di tassi di conversione più alta e, quindi, un aumento delle vendite o prenotazioni (Promozioneonline, 2007).

Scegliere keyword “di nicchia”, oltre a permettere di avere una maggiore visibilità negli annunci sponsorizzati nei motori di ricerca, risulta essere perfettamente in linea con i comportamenti dei turisti. Gli utenti, infatti, tendono sempre più a fare ricerche specifiche piuttosto che generiche: è un dato confermato da più fonti che rafforza l’importanza delle long-tail, come dimostrato dagli studi realizzati da Chitika e Experian Hitwise, aziende di advertising online.

Chitika (Ruby, 2010) ha condotto uno studio sulla base di 41.103.403 impression (numero di volte che viene visualizzato un annuncio pubblicitario) comparse sui motori di ricerca tra il 13 e il 19 giugno scorso. Il risultato è che il 26% delle ricerche sono composte da tre parole, il 19% da due parole, il 17% da tre parole e il 14% da una sola parola. La percentuale di click su annunci pubblicitari proviene soprattutto da ricerche di 5, 6 e 4 parole.

Anche Experian Hitwise (Booking Blog27) ha pubblicato alcune statistiche in cui si rileva che dal 2008 al 2009 le ricerche con oltre 3 termini sono aumentate rispetto a quelle più brevi, mentre le ricerche con 1 o 2 termini sono in diminuzione, nonostante le ricerche con 2 termini siano quelle maggiormente effettuate.

I risultati degli studi esposti in Ruby (2010) e in Booking Blog (2010), evidenziano come l’utente stia raffinando le proprie ricerche, per raggiungere un’informazione più dettagliata e rispondente alle sue esigenze, grazie all’utilizzo di un sempre maggiore numero di parole chiave. Perciò, una ricerca più complessa e specifica, con long tail keyword, ha molte più chance di trasformarsi in conversione rispetto a una generica. A livello operativo i dati sopra esposti possono trasformarsi nella scelta di keyword più complesse, passando, per esempio, da “hotel Firenze” a “hotel Firenze nel centro storico con piscina”. Una scelta di questo tipo porta a un minor costo per click e a un minor traffico, ma sicuramente più qualificato e più propenso alla prenotazione.

 

6.5 Implicazioni manageriali. Strutturare una campagna PPC

Come strutturare una campagna di PPC? Quali sono le principali azioni da mettere in atto per ottenere una campagna pubblicitaria online di successo?

1. Attrarre la clientela desiderata richiede un attento studio delle keyword, o parole chiave, maggiormente rappresentative per il target e per il prodotto, servizio o destinazione che si vuole pubblicizzare. Nei pochi caratteri messi a disposizione infatti, occorre descrivere il potenziale del servizio o del prodotto offerto o della destinazione, in modo che l’utente realmente interessato sia stimolato ad approfondire cliccando l’annuncio proposto.

2. Occorre valutare il costo e la concorrenza delle parole chiave, in base agli obiettivi che ci si è preposti e al budget a disposizione, effettuando una scrematura delle keyword precedentemente selezionate.

3. È necessaria una continua supervisione della campagna di PPC, in modo da controllarne l’andamento ma anche per correggerla se necessario, per farla aderire agli obiettivi, eliminando le parole chiave scarsamente produttive, che non convertono i visitatori in clienti.

Una delle fasi sicuramente più importanti per strutturare una campagna di PPC è la scelta delle parole chiave che compongono il testo dell’annuncio pubblicitario e che devono, quindi, corrispondere ai termini della ricerca utilizzati dagli utenti. Le giuste keyword non sono, come spesso si crede, quelle che generano più visite, quelle più semplici da posizionare nei risultati di ricerca sponsorizzati, né, tantomeno, quelle utilizzate dalla concorrenza (De Capitani, 2008). Al contrario, le keyword migliori sono quelle che permettono di raggiungere al meglio gli obiettivi prefissati, con un buon compromesso fra gli investimenti da sostenere e i risultati raccolti (ROI - Return on Investment). Le parole chiave ideali sono cioè quelle che risultano essere più ricercate, che portano il maggior numero di risultati e con livelli di concorrenza non elevati. Esistono numerosi strumenti per ricercare le parole chiave potenzialmente più adatte, come Google Adwords e Yahoo Overture, ma soprattutto occorre avere la capacità di immedesimarsi nella clientela per comprendere che cosa ricerca attraverso i motori di ricerca. È comunque consigliabile scegliere le keyword secondo lo schema piramidale proposto da Michele De Capitani (2008), cioè partendo dalle parole chiave meno competitive ma più specifiche per il prodotto e servizio offerto. Questo permette di sviluppare la propria visibilità nel tempo, partendo dalle cosiddette long tail keyword - ovvero quelle parole chiave molto specifiche e di nicchia - fino a giungere alle parole chiave maggiormente competitive e generiche. Cercare di posizionarsi subito per parole competitive richiede una complessa campagna di PPC ed è difficile vedere risultati nel breve-medio periodo.

7. CICLO SPAZIO TEMPORALE DEL VIAGGIO, COMUNICAZIONE TURISTICA E WEB MARKETING

7.2 Modello di comunicazione online, circolare, interattiva e discontinua

 7.2.1 Un modello per progettare la comunicazione: quattro concetti chiave

Si propone un modello di comunicazione online circolare, interattiva e discontinua o intermittente, che fluisce nelle fasi del ciclo spazio-temporale del viaggio. Si delinea uno schema di riferimento per la progettazione delle azioni comunicative, in modo da ottenere una campagna promozionale online organizzata e coordinata per obiettivi e per soddisfare le necessità del turista.

Il modello di comunicazione online circolare, interattiva e discontinua si pone, dunque, come obiettivo di essere un punto di partenza per quegli operatori del settore che vogliono intraprendere per la prima volta azioni di web marketing.

Il modello si propone di unire la visione della comunicazione da parte dell’industria turistica e la visione del dialogo, delle relazioni e community che caratterizzano il turista del web 2.0. Si vuole cioè unire comunicazione e organizzazione interna, volta all’attuazione delle azioni di web marketing per obiettivi, con una comunicazione esterna, per la diffusione delle giuste informazioni e la creazione di relazioni a seconda delle fasi del viaggio del turista, dalla pianificazione pre-trip, al soggiorno a destinazione, fino al rientro a casa, secondo un modello decisionale non più lineare, come sottolineato nel paragrafo precedente, ma collaborativo.

Il modello-guida si basa su quattro concetti chiave, che si sintetizzano nelle seguenti parole-chiave:

·       comunicazione orizzontale. La comunicazione è intesa come “risorsa energetica” che scorre nelle dinamiche relazionali del ciclo spazio-temporale. Si tratti di comunicazione interna all’impresa o DMO o di comunicazione promozionale esterna, diretta al consumatore finale, gli attori raccontano esperienze, sviluppano piccole narrazioni, propongono interpretazioni. L’importanza di far emergere dinamiche volte a sviluppare la comunicazione, abbandonando il modello del discorso imposto dall’alto e comunicato in modo autoritario senza possibilità di replica, è rilevata anche da Roberta Milano:

“solo un orientamento a una cultura dell’ascolto, dell’interazione e della collaborazione, applicato ai rapporti con il cliente ma coerentemente estesa alle relazioni interne all’azienda stessa” (Milano, 2009c).

In sostanza, prima di vendere occorre riconoscere che tutti gli attori del ciclo spazio- temporale del viaggio sono dei comunicatori che trattano informazioni, conoscenze, competenze, immagini, emozioni;

·       circolarità. La comunicazione, sia interna sia esterna all’azienda, è circolare in quanto il modello di web marketing proposto attraversa obbligatoriamente diverse fasi che riportano al punto di partenza: la pianificazione per obiettivi è volta all’attuazione di azioni promozionali che, a loro volta, vanno monitorate per verificare se gli obiettivi posti nella prima fase sono stati raggiunti o vanno modificati e corretti, proponendo così una nuova pianificazione per obiettivi che ridà vita all’intero ciclo comunicativo. Il web permette di avere maggiori riscontri da parte del consumatore finale. Infatti, sia attraverso un dialogo interattivo con il turista grazie ai social media, sia attraverso i feed back rilasciati che si trasformano velocemente in passaparola, positivo o negativo, si assiste alla possibilità di aumentare i flussi comunicativi diretti all’operatore turistico e ad altri turisti. Ogni fase della campagna promozionale diventa così un circolo, in cui gli obiettivi e le azioni promozionali intraprese vanno continuamente monitorate, e eventualmente modificate, in base alle relazioni che si intessono online;

·       interattività. Lo scambio di informazioni non avviene più one-to-many, per cui l’emittente orienta il consumatore/turista, considerato un target passivo. Adesso, è la destinazione che si adatta al turista come “persona polisensorale” o al “gruppo”, profilato secondo le multi-motivazioni da soddisfare, facendone emergere le aspettative fino dal pre-trip. A tal fine, il destination manager migliora la qualità delle risorse in base alle immagini percepite, alle aspettative e alle decisioni combinatorie dei turisti espresse proprio perché sa che vi sono operatori che si mettono nella loro testa (Hyde, 2009). Di certo, la ricerca sul web può essere un piacere in se stesso e il viaggio resta virtuale; sempre più spesso però, la ricerca è orientata a un scopo e al problem-solving, perché l’utente combina le competenze nella navigazione on line con il fatto che è divenuto un viaggiatore esperto che ricerca prodotti e mete personalizzate. Il confronto e la verifica tramite Tripadvisor o la partecipazione ai social network esprimono la domanda di interattività, di relazionalità, di comparazione, perfino di co-produrre amicizie tra hobbysti per pianificare insieme il viaggio supportandosi nella ricerca di informazioni (comunicazione many-to-many o collaborazione di massa);

·       discontinua. La comunicazione circolare si compone di cinque fasi, la maggior parte delle quali non hanno tra loro continuità temporale, ma solo una continuità logico- operativa. Il turista, infatti, non è continuamente connesso online durante tutte le fasi del viaggio, dalla pianificazione al ritorno, ma solo in modo intermittente. Pertanto il dialogo tra operatore turistico e turista è spezzettato nel tempo ma, allo stesso tempo, mantiene una continuità nella sua discontinuità. In ogni fase del viaggio, infatti, il turista comunica con gli operatori turistici e con altri turisti, componendo un puzzle informativo e relazionale che si forma in un lasso di tempo ampio. Questa intermittenza è perfettamente in linea con l’abbandono di un modello decisionale lineare: il turista, infatti, può continuare a cercare informazioni e ad acquistare servizi anche in loco, perché prima di partire ha acquistato solamente un volo e hotel attraverso i sistemi di dynamic packaging delle OTA. E proprio mentre soggiorna nella destinazione, il turista può ritrovarsi a condividere informazioni con la propria cerchia di amici virtuali, condividendo foto e opinioni in tempo reale, tanto da far nascere siti che si basano interamente sull’internet mobile dedicato al turismo, come www.wayn.com. Ma può condividere le proprie opinioni e ricordi anche nel rientro a casa. Si delinea cioè un comportamento del turista non schematizzabile a priori, proprio perché il collegamento al web e alle sue attività “sociali” e “relazionali” è potenzialmente e teoricamente sempre possibile, in quasi ogni parte del mondo, seppur non è ipotizzabile un collegamento continuo always on, bensì un collegamento discontinuo nel tempo e nello spazio.

La figura sottostante sintetizza i concetti chiave e le fasi del modello di comunicazione online circolare e discontinuo, proponendo la visione contemporanea dei flussi comunicativi interni ed esterni che attraversano le cinque fasi del modello. Per ogni fase, è possibile osservare le implicazioni pratiche delle azioni di web marketing dal punto di vista degli operatori turistici e del cliente, al fine di rispondere alle diverse esigenze informative, relazionali e comunicative del turista. Sono evidenziati i flussi comunicativi interni atti a organizzare la comunicazione promozionale, i flussi comunicativi esterni verso il turista e i flussi di monitoraggio e report volti a revisionare le azioni di comunicazione esterna o di organizzazione interna.

 

 

7.3 Implicazioni manageriali. Le fasi del piano di comunicazione online, circolare, interattivo e discontinuo

 

Un piano di comunicazione online circolare, interattivo e discontinuo, si suddivide nelle seguenti fasi:

Fase 0 - predisporre le condizioni di base per un piano di comunicazione online circolare, interattiva e discontinua. Si tratta di presupposti atti a porre obiettivi concreti su cui strutturare le strategie promozionali, grazie a know how, competenze e ruoli delle risorse umane.

Fase 1 - creare un sito internet, che non solo sia facilmente utilizzabile e attraente, ma che risponda alle esigenze comunicative e commerciali delineate nella fase 0.

Fase 2 - promuovere la meta o il prodotto turistico attraverso nuove forme di marketing e di web marketing, finalizzate a intraprendere e instaurare il dialogo con il turista, in linea con i concetti di collaborazione e dialogo peer to peer del web 2.0.

Fase 3 - predisporre l’accoglienza del turista in loco per rendere l’esperienza turistica memorabile, grazie alla predisposizione di strumenti che il turista può utilizzare durante il suo soggiorno per fruire la destinazione turistica.

Fase 4 - monitorare le azioni promozionali e informative messe in atto per valutare le recensioni, il passaparola, la brand reputation e la soddisfazione del cliente, provvedendo ad azioni correttive.

La collaborazione (sia esterna sia interna all’azienda) e l’apertura verso l’altro, che il dialogo con il cliente comporta, sono le competenze richieste per competere, proprio perché il turista è un ricercatore attivo, che dà e riceve fiducia, e vuole conversare con l’azienda o la destinazione prima di cominciare (e durante) il ciclo spazio-temporale del viaggio. Capacità che per divenire efficaci vanno messe “a sistema” con altre abilità, che richiedono nuovi modi di operare, nuovi modi di concepire la comunicazione e di promuoversi attraverso il web marketing.

Il destination manager sviluppa competenze relazionali, insieme al suo gruppo creativo, nelle cinque fasi e per ognuna di esse applica gli strumenti di promo-commercializzazione e web marketing, che introdurremo nei successivi capitoli.

8. FASE 0: LEGITTIMAZIONE DI UN DMO

8.1 Fase 0: partnership collaborative e legittimazione del DMO alla base di un piano di comunicazione online circolare, interattivo e discontinuo di un DMO

 

Il piano di web marketing della destinazione attua un più ampio piano strategico di un Comune, di una rete pubblico-privata, di una Regione.

La legittimazione istituzionale avvia la fase 0: il piano di web marketing viene inserito come linea d’azione nel piano strategico di promozione turistica che le istituzioni pubbliche, le Regioni in Italia, adottano per fornire indicazioni operative sugli investimenti pubblici e privati in rapporto a specifici obiettivi (destagionalizzazione, mercati emergenti, nuovi magneti da proporre ai mercati ecc.).

Per giustificare la linea d’azione denominata “web marketing per la destinazione ospitale”, il presente capitolo delinea i processi di formazione delle partnership tra stakeholders di una destinazione turistica, evidenziando come il cambiamento interno, sia organizzativo sia di mentalità manageriale, è alla base di un marketing collaborativo che utilizza “anche” il web marketing (Fyall e Garrod, 2005; Bramwell e Lane, 2000).

Ogni cambiamento e innovazione si scontra, però, con dei freni, dovuti a gap culturali e a difficoltà di lavoro in team, piuttosto che a difficoltà di interazione con le nuove tecnologie. Di qui, il ruolo delle partnership collaborative per superare i limiti alla partecipazione degli stakeholders nella progettazione di un nuovo modello inter-organizzativo a rete.

Entrare nel mondo di Internet senza l’analisi e la conoscenza del mercato e senza definire gli obiettivi da raggiungere “insieme”, “legittimati” a livello di DMO, potrebbe rivelarsi infruttifero, non soltanto per le azioni di web marketing, ma per qualsiasi azione promozionale, anche offline. Infatti, la progettazione e la gestione del piano di comunicazione online si inserisce in un contesto più generale, cioè le organizzazioni turistiche partecipano alla “società della conoscenza” attraverso la figura del destination manager come knowleldge manager (Cooper, 2006; Stamboulis e Skavannis, 2003). In tale contesto, la legittimazione del DMO come regista fa parte della fase 0, è una pre-condizione per procedere operativamente nella realizzazione di un web site o alla sua re-ingegnerizzazione secondo i metodi della comunicazione circolare, interattiva e discontinua.

 

8.2 Il destination manager

8.2.1 Il destination manager in azione: il web marketing per un’immagine olistica centrata sul turista

Nella fase 0, l’obiettivo del destination manager è creare le basi sociali – fiduciarie e collaborative - per un piano di web marketing del territorio condiviso dagli stakeholders locali, per presentare al turista una comunicazione e un’immagine univoca, risolvendo le conflittualità inevitabili per la presenza di un’offerta frammentata.

Già dalla definizione di destinazione turistica emergono differenti prospettive che sono proprie di una visione discordante perché formata da molteplici attori. Si possono elencare ben tre prospettive: quella della domanda, dell’offerta e quella olistica (Del Chiappa, 2007).

La domanda turistica vede la destinazione come

“un contesto geografico (luogo, comprensorio, piccolo villaggio, nazione) scelto dal turista o dal segmento di turisti come meta del proprio viaggio, che comprende tutte le strutture necessarie al soggiorno relative ad alloggio, vitto e ricreazione” (Bieger, 2000, p. 86).

“Adottando la prospettiva dell’offerta, il concetto di destinazione corrisponde a quello di località inteso come l’insieme di prodotti, servizi ed esperienze turistiche – complementari e interconnessi – realizzati e/o organizzati da una pluralità di produttori che svolgono la propria attività, direttamente o indirettamente a valenza turistica, su un determinato territorio allo scopo di rispondere alla loro domanda di riferimento, attuale e/o potenziale” (Tamma, 2001, p. 55).

La prospettiva olistica, che fonde la visione della domanda con quella dell’offerta turistica evidenzia la necessità di strutturare una destinazione turistica come un sistema organizzato, con una precisa strategia e una visione manageriale condivisa e messa in atto dagli operatori locali, grazie alla creazione di un DMO .

Da un lato, come riconosciuto da Buhalis, la necessità di azioni collaborative, più fruttifere delle rivalità tra fornitori locali, è ormai socialmente diffusa tra gli operatori, soprattutto all’estero. Si tratta di far emergere un atteggiamento potenzialmente favorevole a creare una destinazione competitiva e raggiungere risultati ben accettati dalla comunità locale, in termini di sviluppo sostenibile (Buhalis, 2000; Elbe, Hallen, Axelsson, 2009). Dall’altro lato, la necessità di una collaborazione o coordinazione tra operatori locali è dettata dalla volontà di aderire alla prospettiva del consumatore, che identifica la destinazione turistica come un’esperienza integrata, che implica la fornitura dei diversi componenti della vacanza da parte di differenti attori. La visione globale del turista dà senso alla necessità di trattare la destinazione come un’unica entità. Un DMO è un organo in grado di mettere a sistema gli operatori locali, le cui conoscenze sono limitate, al fine di promuovere e rendere competitiva una destinazione turistica, grazie alla presenza di un’organizzazione guida, definita organo di meta-management, ovvero un organo in grado di

“coordinare strategicamente la varietà delle risorse e degli operatori rilevabili nella località” (Del Chiappa, 2007).

Il DMO è sostanzialmente una forma organizzativa ibrida, che comprende imprese ed enti di diverso tipo e con differenti esigenze, che ha come scopo aggregare, in modo spontaneo o pianificato, una pluralità di attori locali al fine di valorizzare insieme una destinazione turistica, mettendo in comune le conoscenze “tacite”.

A tal proposito, lo studio, svolto dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), citato da Carciofi (2010), ha descritto i modelli di governance del DMO, mettendo in luce che il modello di partnership mista, che unisce pubblico e privato, è sempre più̀ utilizzato, anche se la presenza di imprese private risulta essere maggiore per gli enti che operano a livello locale, e in particolare per le destinazioni urbane e costiere.

Sul piano delle criticità, l’indagine mostra come le principali linee d’azione con le quali si misurano i DMO, sono le seguenti:

·       aumentare il livello di decentramento e di indipendenza nei confronti delle amministrazioni nazionali e regionali in modo che abbiano gli strumenti per connettere il locale con il globale;

·       reperire fonti di finanziamento all’interno e all’esterno delle comunità locali per sostenere le attività di programmazione;

·       sviluppare la qualità del prodotto e dei servizi, in chiave sostenibile;

·       attrarre segmenti di domanda con elevata capacità di spesa, tra i quali il ceto medio internazionali di professionals che fanno della conoscenza e della mobilità una risorsa strategica della loro attività (Costa, 2008, a);

·       riuscire a sfruttare i progressi nel campo delle ICT (Information Comunication Technology) per la promozione, il posizionamento della destinazione e la gestione delle relazioni con i clienti, sviluppando le competenze in web marketing.

Pertanto, l’univocità dell’immagine coordinata è la conseguenza dell’intelligenza connettiva attivata dal destination manager, che è riuscito a rendere espliciti i livelli iniziali di conoscenze incorporata nelle risorse umane delle imprese, a cui ritorna in modo codificato e potenziato.

 

8.2.2 I ruoli e le attività del destination manager come sviluppatore e facilitatore

Quando gli enti locali e gli operatori dell’ospitalità sentono la necessità di riunirsi intorno a un DMO? Quando accettano con pazienza che la strategia porta indiscutibili vantaggi nei tempi medio-lunghi, riconoscono che impegno e sacrifici sono indispensabili per trasformare il luogo in destinazione ospitale e domandano un “centro” che guidi il cambiamento con conoscenze e competenze distintive nel facilitare e accompagnare le proposte provenienti dal basso.

Per svolgere tale funzione strategica Gartrell, (1994) e Bornhorst, Brent Ritchie, Sheehan (2010) hanno identificate tre macro-aree in cui un DMO deve agire e i ruoli che deve svolgere:

·       la comunità locale: è indispensabile il conseguimento sia di una leadership, sia di un ruolo di sostegno per l’ospitalità e la comunità locale. Il DMO deve essere un’entità visibile, in grado di attirare l’attenzione sulle mobilità umane e i flussi informativi al fine di far comprendere alla comunità locale il ruolo e il significato dell’ospitalità come sistema produttivo;

·       i turisti: assistere i visitatori grazie alla realizzazione di servizi per i turisti, con la divulgazione di informazioni e assistenza nella fase del pre-trp, durante il viaggio nella destinazione e nel post -trip;

·       gli stakeholders: svolgere il ruolo di organo chiave per la messa a sistema degli operatori interni ed esterni, aiutando lo sviluppo di una gamma di attrattive, servizi turistici, eventi e in grado di posizionare e promuovere la destinazione in modo competitivo per le esperienze turistiche al fine di formare un’unica “voce” promozionale.

Riassumendo, il ruolo fondamentale del DMO è adoperarsi a migliorare l’esperienza di visita del turista, garantendo nel contempo il benessere dei residenti, grazie alla capacità di gestire e amministrare correttamente la destinazione e i suoi stakeholders economici (Bornhorst, Brent Ritchie, Sheehan, 2010). È uno sviluppatore economico delle risorse che accetta le sfide competitive delle altre destinazioni concorrenti, che cioè insistono su una simile linea di prodotto e su una simile tipologia dell’offerta.

Il DMO svolge anche un ruolo di facilitatore dei processi aggregativi e accompagna gli attori locali nell’auto-diagnosi della comunità locale perché lo sviluppo è sostenibile, partecipato condiviso (Costa, 2008b). Sin dall’avvio del processo, si sa che in ogni comunità locale – da quelle più avanzate del nord Italia a quelle con più difficoltà del sud Italia – vi sono barriere e limiti alla partecipazione. Questo insieme di fattori va identificato perché nelle resistenze locali si trovano i fattori che inibiscono la legittimazione del DMO come innovatore che orienta e guida le logiche collettive.

Il DMO cerca di conseguenza di allineare le conoscenze e le competenze locali di albergatori, ristoratori, operatori dei trasporti, gestori di risorse culturali, ecc. su comuni standard di competenze tecnologiche e manageriali. Attraverso riunioni focalizzate su “che cos’è il web marketing” intraprende un processo di comunicazione interna e avvia la diagnosi neo-comunitaria su un aspetto specifico della “città ospitale”, l’aggiornamento in web marketing degli attori economici dell’incoming e dei gestori non profit delle risorse culturali o naturali. Perché si crei una conoscenza comune di base.

Le tre aree – turisti, comunità locale e imprese locali - costituiscono un continuum in cui ognuna ha effetti, positivi o negativi, sulle altre. La gestione è soltanto concettualmente separata, mentre operativamente il DMO le connette e misura la sua efficacia proprio dai risultati conseguiti nel facilitare gli scambi tra le tre aree. Le prime due macro-aree di azione di un DMO sono incentrate sulla soddisfazione del turista e della comunità locale e costituiscono i presupposti sociologici della sua legittimazione: deve essere chiaro che il DMO è un organismo di servizio per i residenti, le imprese, i lavoratori e i turisti.

Infine, il DMO promuove e commercializza una destinazione in collaborazione con gli stakeholders e, dunque, crea i presupposti del DMO nel promuovere e commercializzare una destinazione in collaborazione con gli stakeholders e, dunque nel creare i presupposti per lo sviluppo di un piano di comunicazione online circolare, interattivo e discontinuo.

Le attività professionali di un DMO per la promozione e commercializzazione di una destinazione turistica sono così sintetizzabili:

·       raccolta e organizzazione delle informazioni, foto e video sulla meta, in modo da fornire indicazioni per visitare la meta;

·       realizzazione di itinerari, eventi e prodotti innovativi, anche su misura, in collaborazione con gli operatori locali, al fine di proporre attività e attrattive uniche e in linea con le esigenze del mercato;

·       facilitare o mediare le prenotazioni e l’acquisto dei servizi turistici presso gli operatori locali;

·       realizzare ricerche e analisi di mercato per delineare i nuovi trend e nuove strategie promozionali;

·       creare dei database di clienti e fornitori interessati alla destinazione, da condividere con gli attori locali, per studiare e realizzare azioni promozionali e commerciali;

·       gestire, promuovere e monitorare la brand reputation, realizzando report e azioni correttive da condividere e attuare con gli attori locali;

·       realizzare azioni coordinate e condivise di marketing e web marketing al fine di evitare conflittualità di immagine e sprechi economici;

·       realizzare e gestire il sito web, rappresentativo della destinazione e dell’offerta degli operatori locali.

Seppure si tratti di un elenco sintetico, suscettibile ad ampliamenti in base alle esigenze locali, esso mette in evidenza la necessità di avere delle partnership fiduciarie, in grado di strutturare un piano di azione condiviso. Le competenze operative del destination manager si evidenziano concretamente nel saper fare, se genera “fiducia partecipata” nell’avvio del web marketing della destinazione.

Il passaggio dalla sfiducia condivisa alla fiducia partecipata potrà generare un bando pubblico di web marketing per progettare o re-ingegnerizzare il website (vedi Appendice). Il bando costituisce la concreta materializzazione della legittimazione del destination manager e della sua attività di sviluppatore e di facilitatore dei processi aggregativi. Un’attività tipica di un knowledge manager: il bando è co-prodotto insieme agli stakeholders dell’offerta, facendo emergere le conoscenze tacite degli operatori e socializzando le conoscenze esplicite professionali e normative, con finalità economiche, sociali e culturali, conseguenza di un approccio liberale (altro asset del marketer come knowledge worker) favorevole ai legami laschi.

 

8.3 La comunicazione interna al DMO per gestire le partnership collaborative

La realizzazione di un piano di azione condiviso inizia con la comunicazione interna alla partnership, in grado di connettere a rete gli operatori, le conoscenze, le competenze, le best practice e le problematiche, per creare un’organizzazione che sappia porsi degli obiettivi di sviluppo condivisi, che apportino benefici a tutti i componenti del DMO.

Avere buoni flussi comunicativi interni, al fine di strutturare un piano di comunicazione e promozione esterna, è riconosciuto da Scotti e Sica (2007) come un elemento chiave di successo. I flussi comunicativi, infatti, possono aumentare la legittimità del DMO, coinvolgono un maggior numero di stakeholders in modo attivo, permettono di stabilire obiettivi comuni che apportino benefici collettivi, attenuando i conflitti e la competizione e facendo emergere un clima di collaborazione.

La comunicazione interna, può giocare un ruolo fondamentale per i diversi attori e stakeholders, sia direttamente coinvolti nella partecipazione interna al DMO, sia indirettamente coinvolti, come i cittadini (Aa. Vv., 2008).

Alla base di tali relazioni e flussi comunicativi c’è la capacità del DMO di coinvolgere diversi stakeholders al fine di farli lavorare insieme sulla base di comuni obiettivi o problematiche, attraverso un processo di scambio di idee e conoscenze, e la messa a rete di risorse finanziare e umane. Bramwell e Lane (2000), Fyall e Garrod (2005) e Wang, (2008) hanno evidenziato che la combinazione di conoscenza, esperienza e risorse finanziarie all’interno delle strategie collaborative è in grado di produrre consenso e sinergie tra gli operatori locali, portando a nuove opportunità, soluzioni innovative e un maggior grado di efficacia che i singoli operatori non sarebbero stati in grado di raggiungere da soli.

Nella sintesi di Cederle (2005), la strutturazione di una comunicazione interna è finalizzata a:

1. sviluppareunprogettostrategicorelativoall’offertaealbranddelladestinazione turistica, stabilendo un piano operativo e di sviluppo condiviso con obiettivi e traguardi;

2. assicurare il supporto di esperti in marketing, tecnologia e turismo. La presenza di specialisti che hanno già portato a termine progetti simili può essere importante per evitare di percorrere in proprio tutta la lunga curva di apprendimento;

3. coinvolgere i principali operatori locali ed esterni di maggiore importanza, creando consenso tra gli stakeholders. Occorre cioè scegliere i partner del progetto, tra i più competenti, in grado di condividere best practice, un ampio know how e conoscenze competitive e innovative;

4. determinarelefunzionieilmodellodibusinessdelDMOedelrelativositoweb, dimostrando che il sito è il punto di accesso privilegiato all’offerta della meta.

A tal fine, l’ente proponente, il DMO, organizza focus group “misti”, coinvolgendo i dirigenti delle amministrazioni pubbliche e gli operatori dell’incoming. Compila una mailing list inclusiva di talenti ed esperti locali già impegnati nel web marketing. Durante i focus group, gli attori testano un progetto generale di DMO, avviando di fatto la collaborazione tra gli attori nell’innovazione dei prodotti a rete territoriale (risultato operativo della comunicazione interna) da inserire poi nel web site (comunicazione esterna).

 

8.4 Affrontare le barriere alla collaborazione: la legittimazione di un DMO

I vantaggi, a livello di marketing della destinazione, apportati dalla collaborazione di imprese private ed enti pubblici sono ampiamente riconosciuti nella bibliografia internazionale (Buhalis, Cooper 1998; Fyall, Garrod 2004; Henderson 2001; Palmer, Bejou 1995; Prideaux, Cooper 2002; Saxena 2005, Wang, 2008). Tuttavia, la diversità degli obiettivi e delle esigenze, dovuta alla molteplicità delle attività e alla frammentazione degli attori che compongono l’offerta di una destinazione, costituisce spesso una barriera alla collaborazione. Questa situazione crea una sfida che il DMO deve affrontare: come organizzare un piano di comunicazione online condiviso e le attività di marketing in modo da avere dei benefici sia per i diversi stakeholders sia per la destinazione?

Lo studio di Elbe, Hallen e Axelsson (2009) descrive come un DMO con poche risorse che si trova a operare in una realtà frammentata, può mobilitare gli operatori locali e trovare le giuste risorse per mettere in atto azioni di marketing a livello di destinazione e sviluppare un gruppo collaborativo di attori. Le conclusioni dello studio si basano su un case study di un DMO svedese e mettono in luce la necessità per il DMO di consolidare la sua legittimazione. La legittimità viene, infatti, riconosciuta dagli studiosi come il fattore cruciale per abbattere gli ostacoli alla collaborazione e creare un DMO di successo, condividendo la definizione di Suchman, secondo il quale la legittimità è una

“percezione generalizzata o presupposto affinché le azioni dell’ente siano desiderate, corrette o adeguate, all’interno di un sistema di norme, valori, credenze e definizioni” (Suchman 1995, p 574).

Elbe, Hallen e Axelsson (2009) identificano tre diverse tipologie di legittimità:

·       legittimità cognitiva si basa su strutture cognitive culturalmente e socialmente riconosciute. Un tipico esempio di legittimità cognitiva in molte società è la condivisione di valori e principi democratici e che il merito e il talento vanno riconosciuti per formare un team capace di scambiare informazioni e saper gestire insieme un progetto innovativo;

·       legittimità pragmatica: si basa sui benefici che possono derivare dalla collaborazione. La base di tale collaborazione è lo scambio reciproco di benefici economici o benefici basati su interessi e valori comuni. Un esempio è l’insieme di azioni concordate con il marketing collaborativo, per cui ogni attore è il nodo di una rete e agisce per obiettivi, appiattendo le gerarchie;

·       legittimità politico-sociale: si basa sulla percezione che l’ente rappresenta qualcosa di desiderabile da molti, con interessi che vanno al di là delle esigenze dei singoli direttamente coinvolti. Nei contesti stranieri, la legittimità è definita “morale” ma, in Italia, è opportuno parlare di “politico-sociale” perché la società politica è molto densa e pervasiva, mentre la società civile è molto debole, per cui i patti pre-politici o morali contano poco o niente anche nel turismo. Un esempio è la continuità amministrativa di un DMO, che riceve legittimità istituzionale senza essere soggetto a totali cambiamenti se nell’eventuale consorzio pubblico-privato arriva una nuova maggioranza politica (vedi paragrafo 11.8).

Lo studio evidenzia soprattutto l’importanza per un DMO di ottenere sia una legittimazione cognitiva sia pragmatica e politico-sociale. La legittimità cognitiva è un pre-requisito che l’ente pubblico accerta quando decide di assumere un destination manager. La legittimazione politico-sociale permette al DMO di essere riconosciuto come l’organo rappresentativo di una destinazione, grazie alla sua autorità istituzionale e la funzione di mediare e facilitare le aggregazioni. La legittimazione pragmatica si basa sulle attività volte a rendere una destinazione competitiva e di successo, grazie alle competenze e alle risorse possedute e alle azioni promozionali messe effettivamente in atto.

8.5 Come mettere a lavoro le partnership collaborative

Per creare un DMO di successo si richiedono buoni flussi comunicativi interni, che sono comunque alla base di qualsiasi ente formato da molteplici attori locali.

Elbe, Hallen e Axelsson (2009) hanno analizzato il modello organizzativo del DMO di Elkhart County, nel nord dell’Indiana, Usa. A tal fine, gli autori hanno esaminato il processo di collaborazione nel contesto di una destinazione turistica con lo scopo di comprendere la natura e la dinamicità delle relazioni tra organizzazioni turistiche pubbliche e private, e le implicazioni pratiche di tali relazioni per lo sviluppo, la pianificazione e il marketing turistico della destinazione.. La meta selezionata si distingue per essere la seconda comunità Amish del nord America e le attrazioni maggiori e i prodotti turistici sono collegati alla cultura Amish, tanto che la destinazione viene solitamente promossa come “ Northern Indiana Amish Country”. Il DMO locale è Elkhart County Convention and Visitors Bureau (ECCVB), rappresentante della comunità locale e dei diversi stakeholders, e si occupa del marketing a livello di destinazione.

Le interviste realizzate sia ad alcuni componenti dello staff di ECCVB sia ad alcuni stakeholders hanno messo in evidenza 5 fasi operative, 2 processi di collaborazione e 2 di comunicazione interna al DMO:

1. Processo di collaborazione per la costruzione delle partnership. Le interviste non hanno evidenziato particolari distinzioni tra una fase e un’altra per la messa a punto della collaborazione, sottolineando quindi che l’interazione è il punto focale di tutto il processo di creazione e sviluppo di un DMO legittimato e collaborativo. È in ogni caso possibile distinguere 5 fasi operative:

·       assemblaggio,incuisonoidentificatiiproblemieselezionatiglistakeholders atti a collaborare per la creazione del DMO;

·       ordinazione, in cui ci si occupa della formalizzazione degli obiettivi da raggiungere, la costruzione della fiducia e la mobilitazione delle risorse;

·       implementazione, in cui si suddividono e assegnano i ruoli e le responsabilità;

·       fase di valutazione, in cui si verifica se gli obiettivi sono stati raggiunti;

·       fase di trasformazione, in cui si prendono decisioni sull’evoluzione della

·       partnership o sulla sua fine. (Elbe, Hallen, Axelsson, 2009);

2. Processo di collaborazione per aumentare il livello di coinvolgimento delle partnership nelle diverse fasi. Il livello di coinvolgimento rappresenta l’intensità del tempo e delle energie spese in ogni fase della collaborazione. Esistono due picchi di coinvolgimento nella fase di assemblaggio e in quella di implementazione. Seppure, come già affermato nel processo di collaborazione, non esistono particolari distinzioni tra le varie fasi di creazione e sviluppo di un DMO, in quanto si tratta di un continuum temporale e operativo, gli intervistati hanno sottolineato che la prima e la terza fase sono quelle che richiedono un coinvolgimento maggiore: sono considerate le fasi maggiormente operative per la strutturazione e il funzionamento di un DMO.

3. Processo di comunicazione per gestire i conflitti. I conflitti nascono frequentemente durante i processi di collaborazione e sono spesso dovuti a visioni diverse nelle strategie di marketing e di gestione del DMO, o a conflitti tra interessi personali e collettivi o tra competitor. Per tale motivo le organizzazioni turistiche coinvolte nella partnership sono spesso alla ricerca di soluzioni ai conflitti. Gli intervistati indicano che i conflitti vengono spesso gestiti attraverso la comunicazione e il compromesso, sottolineando ancora una volta l’importanza dell’interazione e della comunicazione come fil rouge che tiene unito e legittima il DMO.

4. Processo di comunicazione per gestire la percezione della relazione tra benefici individuali e benefici comuni, e la percezione della relazione tra competizione e cooperazione (Watkins e Bell, 2003). Prevenire i conflitti significa comunicare in modo chiaro gli interessi comuni per raggiungere i quali è stato creato il DMO e chiarire nel contempo i vantaggi che tale cooperazione può portare, superando individualismi e rivalità.

 

8.6 Implicazioni manageriali

L’ente proponente la realizzazione di un DMO o la sua reingegnerizzazione inserisce tale linea d’azione in un piano strategico pluriennale che prevedere il web marketing e il relativo piano di comunicazione circolare, interattivo e discontinuo. Successivamente, seleziona un destination manager e lo sceglie tra i candidati in quanto soggetto assimilabile al knowledge manager: in particolare, valuta le sue capacità di sviluppatore e di facilitatore delle partnership collaborative, attribuendogli una legittimazione in base a valori cognitivi, pragmatici e politico-sociali.

Tra le competenze del destination manager c’è la capacità di avviare il processo puntando sulla comunicazione interna. L’organizzazione interna di un DMO è volta a creare partnership collaborative per la promozione coordinata e condivisa della destinazione. Pertanto, l’organizzazione è flessibile e collaborativa, attraversata al suo interno da flussi comunicativi e scambi di competenze, cercando di superare ostacoli, divergenze e conflitti interni, molti dei quali sono simili in varie situazioni, ma spesso specifici della singola destinazione. Per esempio, il passaggio dall’individualismo al marketing collaborativo è diffuso nelle realtà dominate da piccole e medie imprese, mentre la strategia della sicurezza è specifica (e preliminare al web marketing) di alcune regioni italiane e non di tutte. Capire con l’auto-diagnosi o auditing interno i livelli di partenza di una destinazione significa ricevere reputazione sul fatto che non si propongono modelli da libro dei sogni, ma passi incrementali cognitivi, pragmatici e politco-sociali.

La legittimazione del DMO può attenuare i conflitti e le problematiche che ostacolano la collaborazione, mettendo in luce i “vantaggi” che tali partnership portano sia alla destinazione sia a ogni singolo attore che ne fa parte, adottando un piano di web marketing. I benefici apportati dalla collaborazione con un DMO possono essere riassunti nei seguenti punti:

·       budget totali maggiori rispetto a quelli a disposizione del singolo, con il conseguente investimento individuale ridotto;

·       unica strategia di marketing per un’immagine più forte e dall’appeal maggiore per il turista, che attirerà maggiori flussi turistici e un conseguente incremento del business;

·       costruzione di una rete fiduciaria on line con forum e blog, partecipando al mercato delle conversazioni in cui proiettare l’immagine della destinazione, che si è adattata in modo olistico a soddisfare le esigenze dei singoli turisti;

·       condivisione di capacità e di know how non posseduti dai singoli operatori locali per promuovere efficacemente una meta nel nuovo mercato turistico globale, connettendo con la comunicazione il locale a target resi “accessibili” da internet;

·       maggiore visibilità sul web grazie all’utilizzo dei nuovi strumenti di web marketing e del SEO, spesso proibitivi per le piccole realtà, sia dal punto di vista dei costi, sia dal punto di vista delle conoscenze richieste per operare con le regole del web 2.0;

·       possibilità di offrire informazioni e un prodotto completo e integrato al turista, non realizzabile né dal singolo fornitore né da altri enti presi singolarmente;

·       possibilità di diffondere le informazioni tra una rete di operatori ed enti, per far più facilmente circolare le notizie anche tra i turisti;

·       miglioramento e valorizzazione delle attrattive locali e della qualità dei servizi erogati;

·       definizione dell’USP (Unique Selling Proposition) del territorio con conseguente differenziazione dalla concorrenza e aumento della notorietà, con benefici per il territorio e operatori locali.

Internet, attraverso opportune strategie di web marketing, può aiutare a diffondere il brand, i prodotti, i servizi, la cultura e i valori di una destinazione, spesso con budget più contenuti rispetto alla pubblicità sui mass media. Ma certo da solo il web non basta, occorre di fondo un’organizzazione fatta di relazioni umane volte alla collaborazione. Infatti, il gruppo creativo dell’incoming, la cui formazione spesso va affidata a un “facilitatore esterno” che accompagna l’azione del DMO, realizza la destinazione ospitale con il brand building della città creativa (Vicari Haddock, 2010).

Delineato il processo di legittimazione e le caratteristiche di funzionamento di tale organizzazione, si può quindi procedere con la fase successiva, quella più operativa o fase 1: occorre capire come tale DMO può svolgere il suo ruolo di promozione e di commercializzazione, avvalendosi degli strumenti che il web mette a disposizione (vedi Capitolo 12).

9. FASE 1: IL SITO WEB DI UN DMO

9.1 Le caratteristiche di base di un sito

9.1.1 Definizione e tipologie di sito

Il primo step è definire che cos’è un sito e perché ha caratteristiche speciali.

Il sito web è costituito da una homepage e da un numero variabile di pagine web, ognuna delle quali è un ipertesto (termine usato da Ted Nelson nel 1967), cioè un documento elettronico scritto in HTML (HyperText Markap Language). Il sito è un enorme magazzino d’informazioni o data base collegati tra di loro in una rete di connessioni potenzialmente infinita. Dall’interattività (interazioni molteplici) alla non-linearità (spostarsi avanti o indietro), dalla multimedialità (risorse verbali, iconiche, audio, grafiche) alla ricercabilità (la raccolta d’informazioni, dai collegamenti -i link mettono in connessione le pagine-), alla plasticità (riconfigurazione e modifica dei testi), il sito è un sistema ad alta complessità. Porsi la questione della complessità del sito e dei siti, ecco l’avvio. Creare il sito di un DMO significa innanzitutto porsi degli obiettivi a livello di promozione, di brand e di ritorno di flussi turistici. Porsi degli obiettivi importanti implica però la consapevolezza di dover strutturare un sito e un team di addetti in grado di gestire la complessità.

Baggio (2001) identifica diverse tipologie di siti web, dai più semplici con ritorni ridotti, ai più elaborati e costosi, ma dai ritorni elevati se ben gestiti.

Si possono identificare cinque categorie principali:

  • ·       siti di presentazione: hanno un contenuto informativo essenziale e limitato, con un livello di interazione basilare;
  • ·       siti vetrina: hanno un contenuto informativo vasto, con un’ampia descrizione dei prodotti e servizi, seppur l’interattività rimane sempre limitata e basilare;
  • ·       siti marketing: svolgono una vera e propria azione di comunicazione sia verso il consumatore, sia verso i fornitori o i partner. Il loro contenuto informativo è ricco e suddiviso per target. L’interattività inizia a essere presente grazie a formulari e newsletter;
  • ·       siti interattivi: presentano un contenuto informativo ricco e un’alta interattività; si tratta spesso di siti e-commerce;
  •        siti editoriali: nascono per informare e quindi il loro centro focale è la ricchezza di contenuti. L’interattività spesso è elevata, grazie alla possibilità di accedere ad aree di discussione e servizi di personalizzazione dei contenuti.

Preso atto della complessità del sito e delle tipologie, il destination manager lo progetta in base ai contenuti e all’usabilità, i fattori considerati indispensabili affinché sia ritenuto utile e affidabile; elementi che, se affiancati a corrette strategie comunicative, promozionali ed esperienziali, possono rendere il sito di un DMO un punto di accesso virtuale privilegiato alla destinazione turistica.

Analizziamo i due fattori ritenuti chiave da qualsiasi studio in materia: i contenuti e l’usabilità del sito.

I contenuti: “sono quelli la cui qualità è il motivo principale che spinge un cibernauta a ripetere una visita, sono quelli che costruiscono una positiva immagine dell’organizzazione che si propone in rete, favorendone, di conseguenza, anche i ritorni commerciali. Come gli americani sostengono: content is king” (Baggio, 2001).(Per  approfondimenti si rimanda al Capitolo 6)

In un sito è cruciale rendere i contenuti curati, attraenti e facilmente leggibili. Il discorso è ancor più rilevante se il target è un pubblico internazionale e una semplice traduzione dei testi in diverse lingue può non essere sufficiente. Grande attenzione va posta nel creare un testo equilibrato nella forma, nello stile, nelle animazioni e immagini oltre che nelle informazioni, né troppo sintetiche né troppo lunghe. Il pc, infatti, pone dei limiti alla lettura dei testi: uno schermo di computer è più fastidioso. Studi effettuati da Nielsen, esperto di usabilità, mostrano che la lettura su uno schermo è più lenta del 25%, rispetto alla lettura tradizionale. Ma soprattutto mostrano che gli utenti non leggono le pagine web, si limitano a scorrerle (Nielsen, 1997).

Altro aspetto importante in ogni testo online è la struttura dei link, il cosiddetto ipertesto. I collegamenti ipertestuali (link) ad altri siti o pagine web sono una delle caratteristiche peculiari di internet e una delle più apprezzate dai navigatori, proprio perché in grado di offrire fonti informative esterne che danno un valore aggiunto ai contenuti del sito. Sarebbe quindi importante prevedere, oltre a link in entrata che aumentano sicuramente il posizionamento del sito sui motori di ricerca, anche una serie di collegamenti con altri siti, che costituiscano un insieme di rimandi, attraenti per il cibernauta. Gli effetti principali sono di fornire contenuti utili agli utenti, che saranno quindi maggiormente invogliati a tornare sul sito per vedere gli ultimi aggiornamenti e link.

In conclusione, come affermato da Baggio (2001), la scorrevolezza di una pagina è essenziale, e può facilmente essere ottenuta grazie alle seguenti linee guida:

  • ·       curare la correttezza formale e stilistica, evitando assolutamente errori di ortografia e di grammatica;
  • ·       evidenziare le parole chiave o quelle più importanti;
  • ·       fornire titoli e sottotitoli che abbiano significato;
  • ·       usare liste e tabelle semplici;
  • ·       scrivere in maniera concisa;
  • ·       mettere un solo concetto in ogni paragrafo;
  • ·       impaginare razionalmente il testo evitando di sovraffollare lo spazio disponibile e
  • ·       lasciando spazi vuoti adeguati;
  • ·       cominciare con gli argomenti più importanti per poi passare ai dettagli;
  • ·       le illustrazioni vanno bilanciate nel numero e nelle forme con i testi.

L’usabilità del sito, cioè tutto ciò che rende il sito facile da leggere, ri-scrivendo appunto i testi cartacei e intensificando la sua velocità di risposta.

Un sito ben strutturato, infatti, non si limita a un design accattivante, ma deve unire estetica e facilità d’uso. A tal fine occorre creare barre di navigazioni funzionali e chiare, che indirizzino correttamente il navigatore da una pagina all’altra, per farlo giungere in modo rapido alle informazioni ricercate. La velocità è un elemento importante, basti pensare che il tempo medio passato su una pagina dal navigatore è di circa un minuto. Numerose sono le ricerche nel campo che mostrano l’esistenza di tempi ben precisi che regolano le reazioni agli stimoli esterni. Già Miller (1968) aveva analizzato i tempi di risposta del pc e dei suoi programmi che una persona è disposta ad accettare. Il limite era stato fissato a 10 secondi. Tale limite è tutt’oggi valido anche se applicato sul web. Se, quindi, si desidera mantenere l’attenzione dell’utente sul sito, non si deve superare la soglia dei 10 secondi. Spesso poi per facilitare la fruizione del sito si può strutturare lo stesso in base a delle convenzioni grafiche:

  • ·       al marchio, posto in alto a sinistra, si associa spesso la possibilità di tornare in homepage;
  • ·       la parte destra dello schermo è dedicata a contenuti in evidenza o offerte particolari;
  • ·       la barra di navigazione è situata in alto in orizzontale;
  • ·       sulla sinistra in verticale sono posizionati i link che rimandano ad aree di contenuto;
  • ·       occorre ridurre al minimo lo scrolling per la lettura dei contenuti;
  • ·       quando il sito viene creato, devono essere sviluppati adeguati piani di promozione pensati per il target di riferimento, al fine di attirare il maggior numero di potenziali consumatori “qualificati” (adatti a quei prodotti) per poterli convertire facilmente da lookers in bookers;
  • ·       fare un uso sapiente del sito web per ridurre i costi (es. stampe, call center);
  • ·       per far funzionare il tutto, oltre a un budget dedicato, occorre un expertise appropriato all’area web (Wang, 2008).

9.1.2 I fattori chiave di un sito

Numerose ricerche (Han, Mills, 2006; Wang, 2008; Cederle, 2005), mettono in evidenza i fattori chiave per la corretta realizzazione di un sito web. Le ricerche possono essere in alcuni momenti sovrapponibili, in quanto condividono alcuni fattori chiave che si ritiene opportuno elencare brevemente di seguito, al fine di fornire una panoramica sullo stato attuale della ricerca applicata alla realizzazione e strutturazione di siti internet:

1. I fattori estetici e di usabilità di un sito si riferiscono a tutti quegli elementi visuali in grado di sviluppare interesse e attrattiva dei turisti, come per esempio foto, colori, layout, video ecc. Tali elementi svolgono il ruolo di attrarre l’attenzione degli utenti al primo colpo d’occhio, di creare un coinvolgimento emozionale istintivo. Il design non si esaurisce, però, come spesso erroneamente si è indotti a credere, in un layout attraente, ma fornisce elementi, come per esempio contenuti facilmente leggibili, mappe del sito, link corretti e pagine graficamente pulite, che rendono il sito usabile (Kim, Fesenmaier, 2008). Una buona qualità tecnica vuol dire dunque avere un sito attraente e usabile, leggibile, razionale nell’uso della grafica e delle immagini, con un sistema di navigazione e di link intuitivo.

2. I fattori informativi si riferiscono a contenuti dettagliati su pacchetti turistici, prezzi e cultura locale, e alla possibilità di fornire informazioni targettizzate che offrono una completa esperienza della località, unendo vari servizi e attrattive.

3. I fattori interattivi e relazionali di un sito web (si rimanda al Capitolo 5.3) si riferiscono a tutti quegli elementi in grado di stimolare una risposta da parte del turista, come la compilazione di moduli per la richiesta di informazione, l’invio di e-mail, l’acquisto di prodotti attraverso il sito, i sistemi di pianificazione del viaggio, le community online.

4. I fattori transazionali si riferiscono alla possibilità di mettere in relazione domanda e offerta turistica in modo diretto, al fine di permettere la compravendita di prodotti e servizi turistici direttamente online.

9.1.3 Il sito web strutturato intorno all’utente

Una regola generale, che talvolta i progettisti dimenticano, è la centralità dell’utente, la cui soddisfazione definisce se un servizio, in questo caso il sito, può essere definito di “qualità”. Di conseguenza, il sito web di un DMO va progettato come se fosse il primo punto di contatto o “momento di verità”, tra destinazione e turista nella fase pre-viaggio. È quindi uno strumento fondamentale, è il principale punto di accesso alla destinazione. Le valutazioni dell’utente sono rilevanti per la strategia generale di web marketing, perché dall’accesso possa sviluppare una relazione on line, una conversazione interattiva, alla fine della quale il turista acquista un prodotto esperienziale venduto tramite il sito.

Poiché è soprattutto uno strumento a uso dei turisti, va realizzato intorno alle esigenze e aspettative dei target o nicchia o del singolo turista, inteso come un “tipo ideale”, cioè pensato come un esperto navigatore on line e un competente viaggiatore, multimotivato nelle richieste e abile nell’esercitare i suoi diritti. Il “tipo ideale”, come ha spiegato Max Weber, consente di procedere alle analisi mediante confronti con l’offerta proposta (comparazione tra ciò che il sito è con ciò che dovrebbe essere) per avviare l’allineamento.

Proprio perché guidato da tale approccio, il destination manager sa analizzare i siti web per compararli tra di loro ed estrarre le buone pratiche, da valutare insieme al suo team.

L'User Experience di un sito web

9.2 L’eye-tracking come strumento per strutturare il web intorno all’utente

9.2.1 Cos’è l’eye-tracking

I ricercatori della società SR LABS definiscono l’eye-tracking come una tecnica di registra- zione e analisi dei movimenti dell’occhio al fine di comprendere che cosa l’occhio guarda su uno schermo e dove si focalizza maggiormente l’attenzione dell’utente. È cioè una tecnica scientifica che serve a comprendere quali stimoli vengono percepiti coscientemente dall’occhio e quindi dall’utente (SR LABS, 2001).

Tale analisi, che proviene dalle ricerche mediche, ha importanti ripercussioni in diversi ambiti: dalle scienze cognitive alla psicologia, dall’interazione uomo-computer (Human- Computer Interaction, o HCI) alle ricerche di mercato, e altre ancora.

Anche nel campo del web marketing turistico l’eye-tracking ha importanti risvolti pratici, sia nella strutturazione di un sito web sia nel posizionamento del sito stesso nei motori di ricerca, sia nei risultati naturali (vedi capitolo 8) sia in quelli sponsorizzati dal PPC (Pay Per Click). Per anni, infatti, il web design si è basato sull’intuito e il senso estetico degli sviluppatori di un sito, piuttosto che su metodologie scientifiche. Grazie alle diverse tecniche di eye-tracking è possibile elaborare progetti web su dati oggettivi misurati attraverso strumenti scientifici e individuare le criticità dell’interfaccia di un sito Internet.

9.2.2 L’eye-tracking e i siti web

Secondo lo studio di Schroeder e del team di ricerca dell’UIE (2010), la disposizione corretta dei contenuti nei siti Internet sulla base del tipo di lettura posto in essere dagli utenti, può rappresentare una chiave per ottenere maggiori risultati. La scansione tipica della pagina da parte del lettore avviene da sinistra a destra e dall’alto al basso, si trascurano i margini esterni della pagina e l’utente tende a focalizzare la sua attenzione al centro della pagina.

Da qui se ne deduce che i contenuti importanti, le offerte o le pagine d’informazione e commercializzazione di un prodotto di maggiore appeal, vanno posizionati a sinistra o al centro della pagina e sempre nella parte superiore del sito stesso. La parte destra del sito rimane, invece, la meno guardata dall’utente.

Anche lo stile grafico del sito e dei suoi singoli contenuti ha molta importanza nell’attrarre l’occhio dell’utente. Vengono, infatti, privilegiati dall’occhio i siti dal design attraente ma omogeneo, senza troppi effetti grafici o cambi di stile e di impaginazione (Schroeder, 1998).

Una ricerca sull'Eye Tracking

9.3 Implicazioni manageriali. Come progettare un sito di promo-commercializzazione della destinazione

9.3.1 Competenze di base nella promo-commercializzazione: adattamento/collaborazione/interdisciplinarietà

Wang (2008), evidenzia le competenze indispensabili per il team di un DMO, grazie a un’ana- lisi di diversi siti di destinazioni turistiche. L’organizzazione interna e il contesto tecnologico sono i due fattori chiave per il successo del sito, tanto che le conclusioni dello studio afferma- no che risultano essere indispensabili una struttura e una cultura flessibili, creatività, abilità e velocità di adattamento ai cambiamenti, un approccio organizzativo collaborativo, innovativo e favorevole alle tecnologie e management aperto alle novità. Il successo di un sito di un DMO, oltre che da elementi tecnici già analizzati, quali l’usabilità e i contenuti, è anche una questione di management e di organizzazione, proprio perché frutto della partecipazione e collaborazione di operatori turistici molto diversi tra loro, con know-how e competenze tecnologiche di differente livello. I problemi legati alla creazione di partnership per la co- produzione creativa di un portale di destinazione sono socio-organizzativi.

Il potenziale di tali sistemi risiede nel commercializzare i singoli servizi di cui il cliente ha bisogno, insieme alla possibilità di fornire informazioni e una visione d’insieme delle de- stinazioni. L’opportunità di promo-commercializzare la destinazione attraverso partnership collaborative tra operatori locali favorisce la creazione di forti brand a livello di destinazione (Williams, Palmer, 1999) e offre anche la possibilità di condividere più facilmente il know- how indispensabile per operare sul web

Per strutturare un buon sito, specchio dell’immagine del DMO, è spesso opportuno rivolgersi a professionisti di diversa tipologia, che sappiano ibridare le conoscenze informa- tiche con capacità di dialogo, comunicazione e ascolto. Necessitano cioè professionisti che sappiano decidere i contenuti da pubblicare e la loro suddivisione in base al target che si vuole attirare, in base all’andamento del mercato, in base alla conoscenza delle esigenze di chi naviga online e delle regole del web, che sappiano scrivere testi, selezionare immagini e realizzare video attraenti ed emozionali, che sappiano realizzare un sito funzionale.

La scelta dei professionisti è un processo decisionale complesso, che richiede calma e ponderazione. Il sito interattivo è il più avanzato e redditizio ma anche il più inter-discipli- nare. Rinvia alla figura dell’umanista produttivo (Costa, 2009), che opera “tra” e “attra- verso” la cultura umanistica, la tecnologia, il marketing management ecc. In particolare, i giovani universitari formati in turismo con tesi in web marketing andrebbero sempre coin- volti nel team in quanto potenziali talenti. Ciò esprime la maturità cognitiva del DMO nella direzione del knowledge worker e dell’economia esperienziale che si basano sui gruppi creativi capaci di scambiare informazioni e saperi.

9.3.2 E-commerce: problemi (risolvibili) nella collaborazione pubblico-privato

La collaborazione pubblico-privato non è semplice. Alcuni problemi legali si possono porre in caso di un DMO costituito in parte da enti pubblici e in parte da enti privati, che voglia commercializzare servizi, prodotti o pacchetti turistici. Sviluppare una catena di valore che incorpora gli sforzi di marketing territoriale con il business dei privati è molto complesso, soprattutto dal punto di vista legislativo nel caso in cui siano coinvolti enti pubblici.

Per rispondere ai problemi legali connessi alla promo-commercializzazione, il volume edito dal World of Tourism Organization e dalla European Travel Commission (AA.VV.q, 2008) propone le soluzioni adottate a livello internazionale da diversi DMO perché vengano at- tuate senza problemi legali:

a. Il sistema di click through.

La prima soluzione sviluppata da alcuni siti di destinazioni turistiche, è quella di ricevere solamente una commissione per ogni “click through” verso i siti degli operatori, una sorta di vetrina pubblica imparziale dell’offerta locale. Soluzione che certamente non implica alcun coinvolgimento o sponsorizzazione pubblica di società ed enti privati, ma che spesso non riesce a fornire pacchetti completi e innovativi. La semplice possibilità di cliccare sulla mi- riade di operatori locali, per essere re-indirizzati sul sito dei singoli fornitori per l’acquisto, è una soluzione che dà visibilità nel mare magnum del web, e sicuramente si pone come incentivo alla collaborazione nel caso in cui le commissioni per ogni click siano inferiori rispetto ai prezzi di mercato. Certo, si rischia di frazionare la percezione della destinazione, di non fornire informazioni integrate per fruire una vacanza e di incentivare i singoli marchi degli operatori e non un unico brand.

b. scegliere o creare un partner commerciale unico, al quale delegare il ruolo di commercializzazione.

Si crea ex-novo un’ATI (Associazione Temporanea di Imprese), che prevede la collaborazione tra attori economici, appartenenti a vari segmenti dell'incoming, agenzie di pubblicità e specialisti informatici. In questo caso, l'ATI si occupa di progettare o re-ingegnerizzare il sito attraverso specialisti della comunicazione, mentre i tour operator commercializzano i prodotti. Scaduto l'incarico pluriennale, il DMO rinnova il bando con nuove regole e nuovi obiettivi di marketing strategico.

c. creare una piattaforma, interrogabile da chiunque tramite il sito internet del DMO, che rappresenti attraverso un database gli operatori locali.

Il DMO non agisce come un sito di e-commerce in senso stretto, ma mette gli operatori locali a sistema attraverso la creazione di una piattaforma online. Ogni qual volta venga richiesta la disponibilità di un servizio, la piattaforma si connette a un database esterno, appartenente a ogni singolo operatore, per effettuare la prenotazione. L’acquisto, pertanto, avviene tecnicamente all’esterno della piattaforma del DMO, che si collega ai database dei singoli fornitori connessi al sistema. È un sistema efficiente, che non coinvolge il DMO di- rettamente nell’e-commerce, ma permette agli utenti di confrontare prezzi, disponibilità e fornitori, oltre a richiedere un know-how decisamente inferiore rispetto alla creazione di un sito di e-commerce direttamente gestito dal DMO. Si tratta però di una soluzione che richiede un’attenta verifica dell’operato dei diversi stakeholders, sia a livello qualitativo, sia a livello di strategie di prezzi da essi operate. E gli operatori sono molto gelosi della loro autonomia imprenditoriale.

10. FASE 2: PROMOZIONE DEL BRAND ATTRAVERSO IL WEB MARKETING

10 Destination brand: definizioni e funzioni. Verso il brand collaborativo

10.1.1 Definizioni di destination brand

Per comprendere il ruolo del DMO nelle azioni promozionali, occorre innanzitutto definire il concetto di destination brand.

Secondo Buhalis (2000), una destinazione turistica è una specifica area geografica in grado di attrarre turisti, grazie a una vasta gamma di prodotti turistici forniti da imprese private, organizzazioni ed enti pubblici, ma è presente nel mercato come brand costituito dall’immagine delle esperienze turistiche tra loro combinate con i servizi e beni disponibili per il turista.

Tale definizione è la prima a considerare il brand come un risorsa produttiva, seppur immateriale o intangibile, perché la destinazione esiste se veicola prodotti esperienziali che partecipano all’immaginario collettivo della società post-industriale (gioco di sguardi) e, più recentemente, al mercato delle conversazioni on line (società dell’informazione). Infatti, Buhalis è stato il pioniere dell’idea che la multimedialità permette di vivere un’esperienza senza avere ancora visitato il luogo: i servizi della destinazione sono stati già testati e selezionati perché vissuti nell’ambiente virtuale che diventa una risorsa produttiva per veicolare il destination branding.

La vera fonte di differenziazione di una meta turistica non risiede soltanto nell’offerta tradizionale di beni e servizi, ma piuttosto nell’offerta immateriale di esperienze ed emozioni coinvolgenti, che si concretizzano nella marca o brand.

Secondo Del Chiappa, il destination brand è

“Un asset immateriale che sintetizza l’intera storia evolutiva della destinazione e, non meno importante, l’insieme delle esperienze immateriali e emotive che i turisti hanno maturato nel tempo nei confronti dell’offerta sottostante”. (Del Chiappa, 2007, p. 65)

Se ne deduce che il brand di una destinazione turistica può essere definito a sua volta come:

“l’insieme delle credenze e impressioni che le persone hanno di un luogo. L’immagine rappresenta la semplificazione di un insieme di associazioni e informazioni connesse a un determinato luogo. È sostanzialmente il prodotto della mente, un estratto delle informazioni essenziali provenienti da un grande numero di informazioni e dati di un luogo”,

(Morgan, Pritchard, Pride, 2004, p.42)

Gli autori introducono il concetto di associazioni mentali per definire che cos’è una destinazione, de-territorializzando ulteriormente il concetto di destinazione.

Cai (2002) sottolinea un aspetto essenziale della destinazione, che si collega a un tema- chiave del ciclo spazio-temporale del viaggio, cioè ai ricordi:

“le percezioni sul luogo in quanto riflesse dalle associazioni trattenute e rielaborate dalla memoria turistica”. (Cai, 2002, p. 723)

La destinazione esiste se qualcuno la ricorda in modo diretto dopo l’esperienza sul luogo o in modo indotto dai new media nella fase pre-trip anche a seguito delle azioni promozionali del DMO. La destinazione è l’esperienza che tutti gli stakeholderes modellano attraverso le percezioni, le valutazioni e i ricordi.

10.1.2 Funzioni del brand

Il DMO, che vuole veicolare un destination brand tramite web, si trova ad affrontare un problema preliminare, evidenziato dalla ricerca di Tasci e Kozek (2006) sugli operatori, pubblici e privati, dell’incoming USA. Essi sono semplicemente confusi e mostrano molte difficoltà nell’identificare la funzionalità di un simbolo per la destinazione e nel distinguere il processo di erogazione di un brand per prodotti da un brand per la destinazione: le implicazioni socio-culturali che tale trasferimento comporta costituisco il gap tra conoscenze formali, disponibili in articoli e manuali, e conoscenze implicite su cui innestare le prime. Al punto che Tasci e Kozak (2006) si chiedono se studiosi e operatori sanno che cosa significano brand e immagine.

Per accompagnare gli operatori nel processo di chiarificazione, Tasci e Kozek (2006) e Qu, Kim e Im (2010) propongono che il destination manager e i suoi collaboratori insegnino agli stakeholder con cui realizzare il sito e il web marketing, di distinguere tra:

·       brand della destinazione, che riguarda un’area ristretta con associazioni collegabili direttamente con le tematiche dell’ospitalità. Esso serve per costruire immagini, cognitive e affettive, che inventino l’unicità del luogo per differenziarlo dalla concorrenza;

·       immagine della destinazione, che riguarda le connessioni del luogo a un’area più ampia ed è composta da molteplici variabili mentali non riconducibili solo all’ospitalità, ma anche ad altre attività indotte dalla multifunzionalità della destinazione. L’immagine è quindi pre-esistente al brand.

Il brand è funzionale, in sintesi, a rinnovare l’ospitalità, l’immagine complessiva della destinazione, molto più ampia dello stesso brand.

Quindi si procede a un’ulteriore distinzione tra

·       identità del brand, creata dal DMO con finalità di vendita dei prodotti turistici dell’area: funge da “ombrello” all’interno del quale si inseriscono i brand delle aziende perché il simbolo cede il prestigio dell’identità geografica (l’identità della Toscana cede prestigio all’identità di un albergatore inserito nel sito, per esempio): indica una direzione e dovrebbe facilitare le associazioni nella mente del turista, proponendo benefici e vantaggi, sentimenti favorevoli ottenibili in modo speciale soltanto recandosi sul luogo per spendervi gioiosamente il denaro;

·       immagine del brand, cioè le associazioni percepite dal fruitore, effettivamente presenti nella sua testa in rapporto agli input identitari del brand e connessa a precedenti immagini del luogo.

La relazione tra identità e percezione del brand è reciproca in quanto gli sforzi della vendita devono avere qualche effetto sul comportamento del destinatario perché, altrimenti, non si può nemmeno ipotizzare il concetto di identità, che deve essere riconosciuta e valutata per scegliere prodotti esperienziali. Ed è la scelta, il comportamento d’acquisto che conferma l’efficacia o meno dell’identità del brand. E ciò è in sintonia con la teoria del prosumer.

Infine, il destination branding è un processo di costruzione dal basso, per cui il capo della DMO testa il brand con focus group con gli stakeholder per raggiungere la condivisione, la più larga possibile, sia in termini di performance o responsabilità sociale dell’impresa, sia in termini di capacità relazionale nel generare proposte. Ma non tutti i portatori di interesse hanno lo stesso peso. Si procede a distinguere tra:

·       stakeholder primari: che possono cioè dare sostanza al brand oppure indebolirlo. Essi hanno un rapporto formale, ufficiale e contrattuale con il DMO. La loro presenza è irrinunciabile per il funzionamento del DMO come sistema vitale (Golinelli, 2002). Per esempio, se gli albergatori non aggiornano prezzi e disponibilità delle camere, il portale regionale favorirà l’accesso al sito ma non l’acquisto dei servizi;

·       stakeholder secondari: che possono dare sostanza al brand, oppure lanciare ombre mediante critiche, influenzando gli operativi in modo indiretto. Hanno con il DMO un rapporto informale, generando rumori di fondo. Per esempio, un intellettuale può criticare il dirigente di un museo perché organizza eventi considerati effimeri e culturalmente superficiali, con lo scopo, considerato orribile, di attrarre turisti e acconsentire al commercio di libri, souvenir, magliette. Influenza così in modo indiretto il lavoro del DMO.

Compreso il potenziale di ogni stakeholder e la sua capacità di facilitare o minacciare il brand della destinazione, il destination manager cerca di coinvolgere le principali parti interessate nei processi decisionali e gestionali e poi definisce quale linea di condotta tenere con ogni stakeholder.

10.1.3 Il branding collaborativo come azione specifica del marketing collaborativo

Cai (2002), Camprubi, Guaia e Comas (2008), Kim, Lee S. e Lee H. Y. (2007), Marzano e Scott (2009) evidenziano il ruolo del “potere” nel processo di creazione del brand della destinazione, riproponendo la questione di un “nuovo” marketing, definito marketing collaborativo (Fyall e Garrod, 2005). Di qui, le due funzioni chiave del brand: organizzativa e di marketing (Del Chiappa, 2007).

Perché la destinazione sia ricondotta, in termini di presenza reale nel mercato turistico, l’identà del brand implica che i diversi attori, i molteplici componenti dell’offerta turistica, agiscano in modo interdipendente per la promozione turistica della meta (Elbe, Hallen, Axelsson, 2009). Il branding è quindi la conseguenza di un’attività di organizzazione e di coordinamento dei diversi attori, al fine di condividere l’identità del brand e un obiettivo comune, che si concretizzano nelle azioni promozionali e di marketing. Comunicare un’identità distintiva e univoca della destinazione, grazie al coordinamento e la legittimazione del DMO con gli stakeholders locali, risulta essere un passo indispensabile per assumere un collocamento nel mercato e nella mente dei turisti, senza creare immagini conflittuali controproducenti (Gunn, 1972; Selby, Morgan, 1996) e cercando di minimizzare i “rumori” esterni provenienti dagli stakeholder secondari della comunità locale, dai media e dal mercato che possono distorcere il processo di costruzione congiunta dell’identità del brand.

Il destination manager promuove forme avanzate di collaborazione tra stakeholders primari proprio per “allenare” gli attori a saper lavorare in gruppo e convergere verso un modello integrato di brand image.

Per esempio, può promuovere il co-branding tra le imprese dell’incoming all’interno del brand della destinazione, inteso come “ombrello” che consente a ciascun attore di essere protetto dalle intemperie della concorrenza. Il co-branding è una strategia che ha fiducia nella possibilità di vincere insieme (modello win-win) perché aiuta a vendere di più, a risparmiare nel mix promozionale. Consiste in molteplici alleanze d’affari con la condivisione di spazi fisici o virtuali e di reti distributive comuni, pur mantenendo ciascuno l’indipendenza del singolo brand. È adatto alle piccole e medie imprese dell’ospitalità che:

·       non hanno risorse economiche a sufficienza per agire autonomamente e quindi supera tale limite entrando in un network orizzontale guidato dal DMO;

·       vogliono servire una tipologia simile di turisti perché hanno migliorato l’offerta proprio per posizionarla sul target di cui pensano di conoscere gli stili di vita.

Il sito web del DMO dovrebbe, di conseguenza, accrescere la credibilità di tali alleanze, generando un global promo delle reti per gestire un’identità del brand rafforzativa e specificante, che cede prestigio alle singole aziende, legittimandosi come attore istituzionale market oriented (Camprubi, Guia, Comas (2008). In parallelo, le imprese accettano che la loyalty di tutti i partecipanti sia rivolta alla brand image della destinazione (Kim, Lee S. e L ee H. Y, 2007).

In tale contesto, la credibilità delle informazioni immesse nel website dagli operativi è il primo passo del brand collaborativo e per una più generale credibilità sul web da parte del DMO, che quindi può essere persuasivo (Loda, Teichmann, Zins, 2008) e avviare il nuovo modo d’essere e di comunicare nel mercato delle conversazioni, al posto di quella seduzione, centrata sulle direttive one-to-many, tipiche della pubblicità generalista, a cui ricorrono ancora oggi anche i big players del turismo industriale di massa.

Il focus sul destination brand non va, in sintesi, posizionato soltanto sulla sua rilevanza esterna ma sulla creatività interna per attrarre visitors nella destinazione. Il collaborative branding è la conseguenza di un processo collaborativo interno che potenzia le competenze degli stakeholder primari nell’operare scambi paritari.

Marzano e Scott (2009) pongono la domanda: che tipo di potere viene attivato nel destination branding? Ricordano che la visione “romantica” della collaborazione basata sulla fiducia non regge a una attenta analisi politologica. Vi è sempre una dimensione nascosta dietro la facciata delle intenzionalità relazionali e connettive, che esprimono il “volto amichevole” del potere. Un potere che poi può agire per manipolare gli attori, capitalizzando i propri vantaggi sui limiti degli stakeholders.

La risposta non è facile: lo stile di comando, decisamente autorevole e imposto dall’alto, distingue alcuni imprenditori della “nuova economia” (da Bill Gates a Steve Jobs, a Mark Zuckenberg) e somiglia a quello degli imprenditori-padroni delle piccole e medie imprese del made in Italy o del capitalismo delle origini o del “nuovo” modello cinese. La partnership collaborativa per il brand management appare la fissazione di intellettuali “democratici”. In realtà, così non è: è la natura frammentata delle imprese turistiche a spingere verso il marketing territoriale e il branding collaborativo. Consente di rafforzare le reti con un piano di sviluppo utile a competere con più efficacia e più opportunità di successo nel mercato globale sempre più dominato da alleanze pubblico-privato. E la co- produzione del destination brand è lo strumento più utile per uscire dalla frammentazione e generare giocatori territoriali più ricchi, potenti e meglio attrezzati, anche sul piano del web marketing. Di conseguenza, la complessità è tale che l’autorità coercitiva dall’alto non avrebbe effetti associativi ma dissociativi.

Marzano e Scott (2009) ci invitano a riflettere sul fatto che il modello top down si possa accompagnare a quello bottom up e che il destination manager deve essere una “personalità autorevole ma non autoritaria”: conosce le tematiche e sa agire come facilitatore per innovare. Sul piano personale, è giudicato intelligente, ha esperienza, moralmente corretto, capace di ascoltare e di distribuire i compiti, è assunto come fiduciario delegato da parte della comunità locale che cerca un professionista dello sviluppo locale e non un politico di professione, anche se le sue competenze politiche sono rilevanti (Costa, 2005).

10.1.4 La comunicazione del brand nel web

La collaborazione interna per creare un brand condiviso è solo il primo passo. Il brand va poi comunicato correttamente e, restringendo il nostro campo di analisi alla promozione online, occorre strutturare un’azione di marketing coordinata, che non si limiti a proporre il brand sul sito web ufficiale, ma che sia in grado di sviluppare un piano promozionale online e offline coerente. Un piano che attraversi tutte le fasi del modello di comunicazione online circolare, interattivo e discontinuo, al fine di creare un’identità distintiva e nota. Un’immagine a cui si associano valori speciali che sono stati realizzati a seguito del lavoro specialistico e amichevole svolto dal DMO dal basso, per cui l’immagine non è forte ma speciale, costruita attraverso la forza creativa dei legami laschi sviluppati dal basso per premiare le prestazioni dei talenti locali nella ristorazione o nell’alberghiero o nelle varie interdipendenze settoriali che danno sostanza, credibilità e familiarità al brand o brand reputation (Costa, 2008).

Sicuramente cimentarsi nella promozione online della destinazione significa confrontarsi con il continuo progresso tecnologico, i media “globali” e “sociali” e l’aumento della competizione internazionale, che influiscono sempre di più sulla percezione di una destinazione, sulla sua immagine e sui flussi turistici che vi si dirigono.

La formazione del brand e la comunicazione turistica online in senso lato non sono più un processo “push”, di massa e a senso unico, ma un processo dinamico fatto di condivisione, riflessioni, esperienze, è pull e interattivo (Govers, Go, Kumar, 2007). Dalla comunicazione a senso unico si passa alla comunicazione bidirezionale e interattiva, la sua caratteristica è la fluidità conversazionale, amichevole e specialistica. È una comunicazione innovativa che si alimenta di ascolto e conversazioni “tra” e tra le persone, grazie all’utilizzo di media vecchi e nuovi che richiedono nuove competenze e know-how, per comunicare l’immagine di una meta, ma soprattutto la sua reputazione (Iabichino, 2009).

Nella fase 2, si tratta di comunicare il “volto amichevole” della destinazione o l’identità del brand attraverso il web, dopo aver svolto un’intensa attività di comunicazione interna, basata sulla chiarificazione dei concetti-guida di brand e identità e immagine del brand, marketing collaborativo.

Un caso di successo è il brand “Downtown Dubai” con lo slogan “Dubai, Centre of Now”. Downtown Dubai è il più moderno sviluppo urbano al mondo, descritto come il cuore pulsante di Dubai, con i suoi 500 acri che si sviluppano intorno al Burj Khalifa, l’edificio più alto al mondo, il Dubai Mall, il centro commerciale più grande al mondo, e innumerevoli divertimenti divenute ormai attrazioni turistiche.  Rinominato come il chilometro quadrato più prestigioso del mondo e definito ‘The Center of Now’, Downtown Dubai è il progetto di punta da 20 miliardi di dollari della Emaar Properties.

La campagna promozionale di Downtown Dubai è stata curata da StrawberryFrog, che ha dimostrato un’incredibile comprensione del fermento che pervade e sta dando forma a Dubai, oltre che della percezione che i potenziali clienti hanno di questa destinazione globale e del ruolo che Dubai Downtown riveste in questo contestoL’intervista a Scott Goodson, fondatore e CEO di StrawberryFrog, può dare una visione completa del progetto di comunicazione e promozione del brand

Sintesi perfetta delle azioni di promo-commercializzazione del brand, è il video realizzato da StrawberryFrog

10.2 Implicazioni manageriali per il DMO

10.2.1 Formazione

Alla limitata conoscenza delle metodologie di base per la gestione del brand e dell’immagine (Tasci e Kozak, 2008) si somma la limitata conoscenza dei processi promozionali e delle “regole” del web. Questo gap non è una sorpresa: è un risultato atteso, perché è il gap che la “società della conoscenza” vuol riparare. La conseguenza negativa è l’immersione nell’uso degli strumenti di web marketing e di comunicazione online senza un preciso schema di azione, con effetti frustranti per i lavoratori.

Le rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori dovrebbero investire in lavoro competente, come sostenuto da Ebit (2008), l’Ente bilaterale delle industrie turistiche, aderente a Federturismo/Confindustria, con particolare riferimento alle middle skills richieste per il web marketing collaborativo. In parallelo, gli enti locali dovrebbero istruire il manager dell'ospitalità, definendo le up skills di un dirigente pubblico market oriented.

10.2.2 Procedure

Le procedure dell’aggiornamento utilizzano l’affiancamento del lavoratore a “chi sa e sa fare”, adottano il metodo del learning by doing.

Implementare la comunicazione strategica del brand richiede alcuni passaggi fondamentali (Del Chiappa, 2007):

1. verificare l’esistenza di eventuali gap e discrasie tra l’immagine del prodotto/servizio del singolo operatore e quella della destinazione nel suo complesso. Il brand e l’immagine della destinazione deve essere condivisa (brand collaborativo) da tutti gli stakeholders presenti sul territorio, al fine di evitare conflittualità di immagine;

2. implementare un’efficace strategia di comunicazione integrata (si rimanda al Capitolo 1),  ossia una strategia che abbia lo specifico obiettivo di integrare e rendere reciprocamente coerenti i diversi contenuti, messaggi e strumenti di comunicazioni utilizzati dalle diverse fonti. È cioè opportuno utilizzare diversi canali (multicanalità) e strumenti (multimedialità) per promuovere e far conoscere il brand, integrando coerentemente strumenti offline e online;

3. implementare un’efficace strategia di interattività (si rimanda al Capitolo 4) e dialogo tra il DMO e i turisti. Il brand deve diventare il simbolo riconoscibile delle community aggregate intorno allo stesso, deve coinvolgere il turista e creare reti di persone in grado di comprendere e diffondere spontaneamente i valori del brand e della destinazione. Il brand non deve quindi rimanere il simbolo chiuso in se stesso, a uso interno e atto solo a identificare gli stakeholders e la destinazione. Deve, invece, essere un simbolo che porta valori condivisi dalla community, aperto e disponibile a entrare nelle conversazioni online nei social media;

4. declinare il brand per specifiche nicchie o prodotti di nicchia (si rimanda al Capitolo 3), al fine di creare un’immagine rispondente alle esigenze dei molteplici turisti. Declinare il brand significa anche declinare la comunicazione dello stesso, secondo la logica del narrowcasting;

5. valutazione della brand image (si rimanda al Capitolo 12), con sistematico confronto con quelli delle destinazioni concorrenti e con i feedback provenienti dai turisti. Un controllo continuo della reputazione del brand e della destinazione, grazie all’analisi delle conversazioni, si rende necessario soprattutto sul web, dove le opinioni circolano liberamente e vanno monitorate al fine di aumentare la fiducia, la reputazione e il passaparola positivo, ponendo nel contempo rimedio ai commenti negativi con azioni concrete.

Al fine di comprendere quali sono le azioni pratiche da attuare per pianificare un’attività in rete seguendo i cinque punti sopra esposti, si pongono interrogativi precisi, perché il metodo didattico è induttivo, dal pratico al teorico.

Il set delle domande è uno strumento di riflessione. Suggerito da Madri Internet Marketing, azienda che fornisce formazione nel campo del web marketing, mette le basi per un piano di web marketing.

Destination manager, imprenditori e lavoratori cercano di  di rispondere ai seguenti interrogativi:

·       Analisi - Come agisce la concorrenza? Quali sono le caratteristiche e la vocazione distintive della destinazione? - Mezzi - Quale mix promozionale utilizzare? Quali strumenti online ed offline selezionare?

·       Obiettivi - Cosa si vuole fare e comunicare, e perché? Insieme a quali stakeholders?

·       Target - A chi ci si rivolge e perché? Quale nicchia di mercato si vuole coinvolgere e con

·       quale declinazione di brand?

·       Strategie - in quale modo raggiungere gli obiettivi? Quali strumenti utilizzare, e come? (SEO, PPC, Social media ecc.)

·       Tempi - in quali tempi raggiungere gli obiettivi?

·       Risultati - cosa si è ottenuto e perché? Come effettuare il monitoraggio della brand reputation? Quali rimedi porre ai feedback negativi e come incentivare quelli positivi?

Rispondere a queste domande permette di capire quali obiettivi realistici porsi in base ai bisogni e desideri del target e alle azioni poste in essere dalla concorrenza. Permette inoltre di comprendere quali messaggi e strumenti sono più utili per indirizzare le azioni promozionali al target di riferimento, quali sono i tempi per ottenere risultati e verificare se gli obiettivi posti sono stati raggiunti (Belemmi, 2007).

11. FASE 3: L'ACCOGLIENZA DEL TURISTA IN LOCO

14.1 Introduzione. La ricerca di informazioni una volta giunti a destinazione

 

Le due precedenti fasi del piano di comunicazione online circolare, interattivo e discontinuo sono state dedicate alla comunicazione e promozione di una destinazione nella fase pre-viaggio, con lo scopo di fornire le tecniche relazionali per coinvolgere il turista e invogliarlo ad acquistare (e intraprendere) un viaggio nella destinazione.

I processi decisionali del turista come information seeker sono stati ben studiati sia dalla psicologia (sociale e ambientale), sia dalla sociologia dei consumi e del marketing con la segmentazione e la profilazione degli stili di vita, sia dalla geografia esperienziale delle “mappe mentali” sin dagli anni Settanta (Costa, 1989). Tutto sommato, l’analisi delle due fasi rientra nel mix promozionale ben conosciuto dal DMO, costituisce un aggiornamento delle teorie e dei metodi per la promo-commercializzazione nella fase dell’“anticipazione”, quando si svolgono i processi decisionali del “dove”, “come” e “con chi” andare in vacanza.

È invece soltanto agli inizi la ricerca, sia teorica sia applicata, sul turista come information seeker nell’area di destinazione per attuare piani innovativi di promozione in loco: si sono privilegiati maggiormente gli studi sulla “percezione” della località e del destination brand da parte dei turisti e degli intermediari commerciali oppure gli “impatti ambientali, economici e socio-culturali” dei flussi turistici sulla destinazione, considerata prevalentemente come un ricettacolo passivo della domanda (Costa, 2005).

Nell’impostazione del presente volume, Il DMO online è attivo information seeker come il cliente con cui interagisce, controlla la comunicazione in tutte le fasi del viaggio: lo scambio sociale precede la personalizzazione del prodotto sulle esigenze del turista. Entrambi sono ricercatori e produttori continui di informazioni anche nella fase di accoglienza e soggiorno. Entrambi sono attori a razionalità limitata che hanno bisogno di dare e ricevere input per modellare l’esperienza turistica e le connesse attività ricreative, sportive o culturali.

In parallelo, si aggiunga che i teorici dell’economia dell’esperienza (Pine e Gilmore, 2000, Gilmore e Pine, 2009, Hemmmington, 2007) hanno sostenuto, studiando le aziende dell’ospitalità (dalle catene alberghiere ai parchi disneyani, da Starbucks ai musei), che occorre andare oltre l’economia dei servizi. Propongono di analizzare l’experience satisfaction dei turisti e avanzano la prospettiva di misurare anche alcuni aspetti del vissuto turistico come il tema dell’autenticità che la sociologia qualitativa ha considerato centrale sin dagli anni Settanta.

È complesso operare una sintesi degli studi e delle ricerche più tradizionali e di quelle che connettono l’esperienza turistica al ruolo attivo accentuato dall’uso dell’ICT. Infatti, Morgan e Elbe (2009) si interrogano se l’economia delle esperienze è arrivata ai destination manager e se la stanno attuando con proposte innovative nell’organizzazione dei servizi dell’accoglienza. L’integrazione tra reti territoriali e reti comunicative a livello di mobilità interna alla destinazione è ancora un work in progress, un laboratorio di esperimenti.

Pur sottolineando il gap attuale tra riflessone scientifica e gestione delle informazioni nella destinazione tramite il web, è possibile delineare un avanzato quadro d’insieme dell’accoglienza organizzata intorno al web marketing delle esperienze turistiche e individuare le conseguenze manageriali degli studi e delle ricerche proprio per incominciare a ridurre il gap.

 

 

14.2 Internet mobile: un nuovo strumento per vivere la destinazione

 

Il web è sempre più una piattaforma trasversale, che integra diversi mezzi di comunicazione, aprendo la strada, tra gli altri, all’internet mobile, ovvero l’acceso al web tramite dispositivi mobili, come il cellulare e l’iPhone. È un’opportunità per creare esperienze nell’economia delle esperienze, come dimostrato dallo studio di Hyun, Lee e Hu (2009).

L’esperienza attraverso strumenti di internet mobile è infatti considerata come reale e non una semplice attività virtuale mediata dalla nuova tecnologia. Esistono diversi livelli di esperienza, a seconda degli strumenti di internet mobile utilizzati. Per comprendere le tipologie di esperienza virtuale possibili, gli autori hanno definito due dimensioni dell’esperienza: vividità e interattività (già Steuer, 1992).

La vividità è l’intensità con cui possono essere presentate le informazioni, coinvolgendo l’uso di uno o più sensi. La vividità, a sua volta, si può suddividere in ampiezza, ovvero i sensi che contemporaneamente vengono coinvolti nell’esperienza e ne aumentano la vividità (es. udito per la radio, udito e vista per la televisione ecc.) e profondità, cioè la qualità delle informazioni fornite (es. qualità del suono o delle immagini).

L’interattività è la possibilità dell’utente di partecipare o modificare, in tempo reale, l’esperienza virtuale mediata dagli strumenti di internet mobile. L’interattività si compone di tre elementi:

·       velocità, ovvero la possibilità o meno di interagire in tempo reale (es. interattività sincrona o asincrona);

·       gamma, cioè le possibilità offerte di interattività (es. possibilità di ruotare un’immagine, zoomare ecc.);

·       mappatura, ovvero la capacità dello strumento di internet mobile usato di poter o meno riprodurre la realtà con finalità conservative, funzionali e di apprendimento.

Secondo tale definizione di esperienza virtuale è possibile suddividere gli strumenti di internet mobile in cinque categorie, a seconda della loro capacità di far vivere esperienze più o meno intense e coinvolgenti, ovvero maggiormente vivide e interattive:

·       esperienze virtuali verbali (es. SMS, chat);

·       esperienze virtuali visive (es. foto);

·       esperienze non interattive 3D (es. video);

·       esperienze interattive 2D o 3D (es. realtà aumentata, GPS);  esperienze animate (es. tour virtuali).

La vividità e interattività modellano l’esperienza virtuale. Le cinque tipologie di strumenti di internet mobile, hanno capacità esperienziali diverse e sono, dunque, adatti a fasi del viaggio diverse.

Nel pre-viaggio e post-viaggio è possibile limitarsi a esperienze virtuali verbali, con l’invio, per esempio, di messaggi promozionali che rendano il turista consapevole dell’attrattività di una meta o di messaggi che invitino il turista a postare commenti e scrivere recensioni sulla sua vacanza. Nella fase del viaggio, invece, è consigliabile usare strumenti maggiormente coinvolgenti, proprio in virtù della necessità di “vendere” e far vivere esperienze memorabili al turista. Si possono quindi usare GPS o strumenti in grado di geolocalizzare il turista e fornirgli le informazioni ed esperienze adatte.

A seguito della crescente richiesta di esperienza da parte del turista e, nel contempo, per la rapida diffusione delle tecnologie mobile nel campo turistico, si propone di fornire un framework concettuale che spieghi i fattori che maggiormente influenzano l’accettazione dei devices mobile da parte dei turisti, grazie alla ricerca “A Model of Traveller Acceptance of Mobile Technology” (Kim, Park, Morrison, 2008). Lo scopo è di comprendere le reali implicazioni e possibilità di utilizzo di internet mobile per incrementare l’esperienzialità di una destinazione turistica.

I risultati della ricerca mettono in luce la presenza di due variabili che influenzano l’uso di internet mobile durante un viaggio: le due variabili esterne (l’esperienza nell’uso della tecnologia e l’esperienza di viaggio) e due determinanti influenti (percezione dell’utilità e percezione della facilità d’uso).

I quattro fattori, insieme, determinano l’attitudine degli utenti all’uso delle tecnologie internet mobile, benché sia dimostrato che sono soprattutto l’esperienza con la tecnologia e l’esperienza di viaggio a incidere maggiormente nell’uso di tali dispositivi all’interno di un contesto di viaggio, sia per l’acquisto di servizi sia per la fruizione della meta. I risultati mostrano, inoltre, che sono proprio i frequent travellers a utilizzare maggiormente i dispositivi mobile: le connessioni wireless in hotel o luoghi pubblici possono portare a un incremento nella ripetizione delle scelte e degli acquisti tramite m-commerce, ovvero il commercio elettronico mediante dispositivi mobili, soprattutto se i servizi di connessione al web vengono resi gratuiti o a costi bassissimi.

Altra opportunità: la consultazione di Internet da mobile, a differenza della consultazione tramite PC, permette di reperire delle informazioni in relazione alla posizione fisica dell’utente, grazie all’uso della nuova generazione di cellulari e al sistema GPS (Global Positioning System).

Tra le prime utilizzazioni del GPS nella ricerca sul turismo urbano, si segnala il lavoro di Boffi (2004) che ha tracciato la mobilità dei metropolitan business persons a Milano e ha scoperto che una quota rilevante dei flussi non si indirizza soltanto verso il centro storico, come inizialmente ipotizzato, ma anche verso le città che formano l’area metropolitana milanese, in corrispondenza delle zone in cui sono localizzate le aziende manifatturiere o del terziario avanzato. Con la seguente conseguenza politico-amministrativa: la programmazione dei trasporti pubblici dovrebbe riguardare l’area vasta per renderla più ospitale: e, per soddisfare le esigenze di questo specifico segmento di visitors e migliorare i processi decisionali delle amministrazioni locali, si dovrebbero prendere come modello di riferimento i tracciati evidenziati da Boffi con il GPS.

Tramite la nuova tecnologia, si possono avere informazioni più veloci e dettagliate, utili per programmare la visita di un museo o di una chiesa, per conoscere le caratteristiche di un evento che si svolge a poca distanza dal turista o per accedere ai servizi basilari, come gli orari dei treni, delle banche e dei servizi pubblici in genere, con la possibilità, inoltre, di localizzare e georeferenziare le informazioni che vengono fornite, oltre che di acquistare e prenotare biglietti per concerti, mostre, treni ecc. E proprio sulla possibilità di effettuare delle prenotazioni, si presentano interessanti sviluppi per hotel, voli aerei e mezzi di trasporto in genere, pacchetti turistici, gite ed eventi.

Il cosiddetto m-commerce, è solo all’inizio, ma già interessanti ricerche emergono sull’uso del cellulare e degli smartphone per l’acquisto di beni e servizi, come dimostra la ricerca di eMarketer (2010). Come si può notare, la maggior parte di chi utilizza un cellulare di ultima generazione, come gli smartphone, è maggiormente propenso all’uso delle nuove tecnologie e all’acquisto online, al contrario di chi possiede dei normali cellulari, dalla tecnologia meno sviluppata. La maggior parte degli utenti, infatti, si limita anche da cellulare, a ricercare informazioni, disponibilità o sconti last minute. Importanti barriere, quindi, si pongono per l’adozione delle ultime tecnologie. Benché le tecnologie mobili di ultima generazione e il wireless siano ormai sufficientemente sofisticate da permettere la creazione di applicazioni veramente utili in campo turistico e m-commerce, rimane certo ancora molto da fare per arrivare a creare dispositivi accettabili e usabili dalla maggior parte degli utenti, che siano molto intuitivi ed economicamente alla portata di tutti (Bisiani, 2006).

Baggio e Antonioli Corigliano (2004) hanno condotto una ricerca su un campione di studenti universitari italiani e hanno dimostrato che per rendere la tecnologia accessibile, anche economicamente, a una vasta popolazione, occorre raggiungere una massa critica di utilizzatori di internet mobile e le tecnologie 3G. I risultati della ricerca affermano che la questione chiave per il successo di questi servizi di tecnologia mobile è la capacità di fornire contenuti attraenti e a prezzi ragionevoli. Un aumento del numero dei clienti è fortemente collegato a questi elementi e può portare a sua volta a un ulteriore incremento della clientela, generando un circolo virtuoso di valore aggiunto (cfr. per il concetto, Valente, 1995): la massa critica è raggiunta quando circa il 10% - 20% del mercato potenziale ha adottato l’innovazione. Lo studio dimostra che il tempo necessario per raggiungere una massa critica di utenti di tecnologie 3G Mobile, dipende soprattutto dalle dinamiche del mercato. Molte sono le condizioni che devono essere presenti per raggiungere una massa critica di utilizzatori, con riguardo soprattutto al prezzo e alla disponibilità dei servizi, oltre che alla presenza di infrastrutture tecnologiche adeguate. I risultati del questionario evidenziano un’attitudine in gran parte positiva verso l’utilizzo delle tecnologie mobili (71.1%): la maggior parte degli studenti ha dichiarato di essere propenso a pagare per ottenere servizi mobile proprio perché si riconosce un potenziale di valore aggiunto di tali servizi pari a un incremento di utilità del 20% - 25%.

La preferenza degli intervistati va a servizi collegati al turismo, confermando che le implicazioni della tecnologia mobile di nuova generazione e delle tecnologie wireless nel settore viaggi e turismo sono molto importanti. Si fa sempre più sentire la necessità per i viaggiatori di ricevere informazioni in tempo reale per avere un’assistenza nella pianificazione delle attività turistiche mentre viaggiano e mentre si muovono nella destinazione. I viaggiatori, sia leisure sia business, vogliono servizi informativi veloci, flessibili e convenienti sulle attrazioni che una destinazione offre.

Siau, Park e Morrison (2008) identificano le quattro caratteristiche chiave della comunicazione mobile, che rendono l’uso di tale tecnologie utile ai fini della fruizione turistica nella destinazione:

·       ubiquità:sipossonoraggiungereleinformazioniricercateeinqualsiasiluogoemomento;

·       personalizzazione: le informazioni possono essere personalizzate in quanto sono per loro natura on demand e georeferenziate, quindi i dispositivi mobile forniscono solamente i contenuti utili in base alla collocazione geografica;

·       flessibilità: i dispositivi mobile permettono di ricevere informazioni nel momento in cui necessitano, essendo portatili;

·       disseminazione e viralità: internet mobile permette di diffondere messaggi a più utenti.

Grazie alla tecnologia mobile il turista può dunque vivere e sperimentare la destinazione in modo esperienziale e on demand. I servizi e le informazioni richieste sono a disposizione del turista sempre, in qualsiasi luogo e nel momento in cui necessitano, basta avere a disposizione un cellulare di ultima generazione. È così possibile avere informazioni su itinerari, attrattive, ristoranti e tutto ciò di cui il turista necessita in un preciso momento, dando la possibilità al turista di vivere un’esperienza sul territorio su misura, in base alle sue specifiche e molteplici esigenze. Soprattutto in base alla località in cui il turista si trova, grazie alla possibilità di georeferenziare la posizione del turista, solo i servizi disponibili nelle vicinanze.

La ricerca di maggiori informazioni, dettagliate e personalizzate, nel momento dell’arrivo sul luogo di vacanza è testimoniato anche dai modelli di navigazione, nettamente diversi tra pc fisso e internet mobile (Okazaki e Hirose, 2009).

Nel primo caso, l’utente non è ancora giunto a destinazione, e si fa un grande uso dei motori di ricerca, al fine di trovare il maggior numero di informazioni per la visita del luogo di vacanza.

I modelli di navigazione cambiano nettamente su dispositivo mobile, in quanto, giunti sul luogo di vacanza, gli utenti tendono a ricercare le informazioni necessarie tramite richieste dirette ai fornitori locali di servizi turistici.

Si crea così l’opportunità per fornire servizi non solo personalizzati e in qualunque momento della giornata, ma anche contestualizzati all’ambiente che circonda il turista. Grazie ai dispositivi di ultima generazione, infatti, è possibile localizzare le persone, gli oggetti e i luoghi, facendo interagire il turista con l’ambiente circostante, e ricercando i servizi di cui necessita che si trovano nelle vicinanze, come hotel, negozi o attrattive, fornendo anche informazioni complete e pertinenti (Buhalis, Lawb, 2008). La conoscenza di dove si trova l’utente ha molti vantaggi, sia per l’utente sia per la destinazione turistica: semplifica la fruizione di una località, permette di avere solo le informazioni rilevanti in una data posizione, aiutando l’utente alla localizzazione di aree e eventi di interesse non noti, oltre che a facilitare l’orientamento in un luogo sconosciuto. Si afferma un nuovo modo di “vivere la destinazione” che impatta direttamente sul modo di “far rivivere” la destinazione con memorabili esperienze realizzate dal DMO.

Anche attraverso la promozione in loco dei Centri di informazione turistica: gli attori della destinazione ospitale perdono la loro staticità/passività e si mettono in “movimento” per accompagnare i “movimenti” dei turisti nell’area di destinazione

I contenuti e i servizi particolarmente adatti alla tecnologia 3G mobile sono da sempre stati identificati con servizi geolocalizzati, che aiutano concretamente il turista a fruire della destinazione turistica in modo interattivo. Dunque, non si tratta più di limitarsi a fornire al turista foto, video e informazioni; si tratta, invece, di fare un qualcosa in più, che aiuti il turista a fruire del luogo, delle sue tipicità, degli eventi, creando un’immersione totale, coinvolgente, interattiva ed esperienziale con la destinazione ospitale. La sfida, al giorno d’oggi, in un comparto turistico caratterizzato da un’esasperata concorrenzialità, non è più tra prodotti, ma tra percezioni attorno ai prodotti; e sono allora la comunicazione e l’esperienza in loco contribuiscono a fare la differenza.

 

14.3 Alcune applicazioni di internet mobile per migliorare l’accoglienza: esempi di integrazione tra online e offline – Infopoint e QR code –

 

Se fino a oggi i mondi della promozione online e offline non potevano essere considerati perfettamente integrati, grazie alla tecnologia mobile la fruizione reale e quella virtuale di una destinazione turistica possono potenzialmente fondersi e reciprocamente integrarsi. Se in passato, infatti, l’accoglienza di un turista in una destinazione era riservata in gran parte agli infopoint, oggi l’accoglienza e la fruizione di una località si arricchiscono di nuovi strumenti informativi e multimediali, disponibili grazie a diverse tecnologie, tutte strettamente legate alla possibilità di accedere al web da dispositivi mobile. Si tratta di strumenti che non soltanto facilitano la visita di una destinazione turistica, grazie alla possibilità di avere in tempo reale informazioni georeferenziate e, quindi, di interesse pertinente; permettono inoltre di migliorare l’esperienza di fruizione, secondo i dettami del marketing esperienziale, grazie alla possibilità di usufruire di contenuti multimediali e interattivi.

Di seguito si analizzeranno due modalità di accoglienza turistica che utilizzano la rete nternet: la prima è sostanzialmente il riadattamento tecnologico dei classici infopoint; la seconda affronta invece una nuova tecnologia, i Qr Code, che permettono di accedere al web verso contenuti specifici.

Partendo da uno studio di Rino Vitelli sugli infopoint di Napoli (Vitelli, 2007), si possono delineare le caratteristiche di un infopoint moderno. La riorganizzazione degli uffici di informazione turistica rappresenta un tassello essenziale nell’impostazione delle politiche di destination management. Tralasciando elementi, che dovrebbero essere parte basilare di ogni ufficio turistico, come orari d’apertura prolungati e la formazione del personale di alto livello, sia nella conoscenza delle lingue sia nella gestione dei rapporti interpersonali, si danno di seguito dare degli spunti e linee guida per adeguare gli infopoint alle nuove esigenze del turista. Il ruolo dell’infopoint, infatti, non è solo informare, bensì saper ascoltare e rispondere ai bisogni anche impliciti dei turisti. Alla pura e semplice erogazione di informazioni sulla destinazione andrebbero quindi affiancati dei servizi aggiuntivi al turista, come, per esempio, corner per il noleggio di biciclette, bacheche e chioschi informatici, disability service e box per la prenotazione di alberghi, ristoranti, escursioni, visite guidate a musei e monumenti, e l’acquisto di biglietti per concerti, manifestazioni artistiche ed eventi sportivi. Servizi che non è affatto raro, ormai, trovare in molti uffici turistici operanti all’estero, che sono diventati dei veri e propri point of purchase, ovvero spazi di acquisto di prodotti e servizi (Vitelli, 2007, ma già Wober, Hwang e Fesenmaier, 2003, sui servizi informativi delle città europee).

La differenza tra un punto informativo “classico” e un punto di accoglienza centrale nella destinazione è la modalità di comunicazione tra operatore e turista. L’erogazione delle informazioni risulta tuttora imperniata sulla figura dell’operatore che governa le informazioni, senza la possibilità da parte del turista di interagire o di richiedere servizi e informazioni personalizzate. Non vi è quindi una comunicazione paritaria e interattiva, tipica del web 2.0, né tantomeno la possibilità di utilizzare strumenti informativi altamente tecnologici ed esperienziali. Ovviamente, gestire una comunicazione one to one, soprattutto in periodi di alta stagione e sovraffollamento, sarebbe oggettivamente più difficile. A tal fine, da diversi esperti del settore, viene suggerita la possibilità di integrare le nuove tecnologie negli infopoint, per permettere ai turisti di ottenere certe informazioni consultando autonomamente il materiale multimediale, appositamente organizzato e trattato per l’autoconsultazione, e magari arricchito da video sulla destinazioni pensati in ottica esperienziale.

Come suggerito da Roberta Milano, si possono integrare i Qr code nelle vetrine degli infopoint o nel loro materiale cartaceo, con un rimando diretto al sito ufficiale o alle pagine dei social network. Il Qr code, infatti, è un codice bidimensionale in grado di memorizzare delle informazioni, inclusi gli indirizzi URL, ai quali rimanda se si fotografa il Qr code con una fotocamera di un cellulare o IPhone sui quali è installato un lettore di codici, come 2D code reader.

I Qr code nascono nel 1994 da un’innovativa corporation giapponese, la Denso-Wave, che ha creato un codice bidimensionale dalla forma quadrata con all’interno una matrice di puntini. L’innovazione dei Qr code è nella rapida risposta della decodifica del contenuto e nella capacità di memorizzare un gran numero di informazioni, accessibili direttamente da cellulari e smartphone dotati di fotocamera e di un software liberamente scaricabile in grado di decodificare il contenuto del Qr code e di rimandare a una pagina web specifica (Belloni, 2010). L’evoluzione dei telefoni cellulari ha reso possibile l’accesso all’informazione in ogni luogo e in qualsiasi momento permettendo alla tecnologia Qr code di esprimere tutte le sue potenzialità. Grazie alla possibilità di rimandare a un indirizzo internet, di visualizzare un testo, oppure di riprodurre direttamente un file audio o video, la loro efficacia si sta manifestando soprattutto nel campo della comunicazione e della promozione turistica. Non è difficile quindi immaginare le implicazioni che questa tecnologia mobile può avere in ambito turistico: un DMO o ente di promozione turistica potrebbe fornire tramite Qr code dei coupon elettronici che una volta fotografati e stampati possono dar diritto a regali, sconti o accessi privilegiati durante eventi o manifestazioni. Tramite i Qr code è inoltre possibile fornire contenuti supplementari ad alto valore aggiunto, magari integrati con file multimediali che siano in grado di arricchire a fruizione esperienziale della destinazione.. Allo stesso modo, l’utilizzo dei Qr code è utile anche per migliorare il contenuto dei pacchetti tematici offerti ai turisti, così da trasformare anche una semplice escursione in un’esperienza multisensoriale, come dimostrano numerosi case study di destinazioni turistiche italiane che hanno già deciso di utilizzare gli strumenti che internet mobile mette a disposizione per arricchire l’esperienza e la visita delle località turistiche.

14.4 La Realtà Aumentata

 

Anche se la Realtà Aumentata è un concetto che esiste sin dagli anni 60, è solamente nelle ultime due decadi che lo sviluppo tecnologico ha reso possibile la formulazione di un vero e proprio campo di ricerca specializzato in Realtà Aumentata. La Realtà Aumentata è una tecnologia che permette a dati virtuali generati dai computer di sovrapporsi a degli oggetti fisici della realtà. La Realtà Aumentata crea l’illusione che i dati virtuali esistano nel mondo reale: non è più il dispositivo ma è la realtà stessa a divenire l’interfaccia degli utenti.

La Realtà Aumentata è definita come un sistema che combina informazioni reali e informazioni generate dal computer in un ambiente reale, interattivo e in tempo reale, e allinea oggetti virtuali con quelli fisici. Il termine Realtà Aumentata è stato coniato solamente agli inizi degli anni ’90, anche se il primo sistema funzionale di Realtà Aumentata risale agli anni ’60, quando è stato costruito un primo display portatile 3D che, una volta indossato, mostrava all’utente informazioni virtuali insieme agli oggetti reali, come dei cartelli fissati alle pareti del laboratorio. Solamente negli anni ’90, grazie alla ricerca di Boeing Corporation per la semplificazione delle istruzioni di assemblaggio degli aeromobili, la nozione di grafiche computerizzate sovrapposte alla realtà hanno ricevuto l’attuale denominazione di Realtà Aumentata. Nel 1993, a seguito delle ricerche dell’Università della California Santa Barbara, la Realtà Aumentata diventa mobile, grazie all’integrazione con i sistemi di GPS. Ulteriore spinta allo sviluppo della Realtà Aumentata si è avuto a metà degli anni ’90, grazie al processo di miniaturizzazione dei computer portatili e alla nascita degli smartphone.

Per un approfondimento sull'evoluzione della Realtà Aumentata si rimanda al video sottostante.

La Realtà Aumentata è una tecnica di visualizzazione che sovrappone alla realtà catturata dalla camera di un computer dati come testo, video, foto e altri multimedia. In altre parole, la Realtà Aumentata può trasformare la visione della realtà con l’aiuto di computer e dispositivi mobili, migliorando la percezione della realtà e dell’ambiente circostante. Inoltre, il contesto circostante diventa anche interattivo e facilmente manipolabile in modo digitale.

La Realtà Aumentata è in grado di fornire contenuti personalizzati e servizi su misura come, ad esempio, una guida turistica che mostra il suo contenuto su richiesta del turista che visita la città, mentre esplora luoghi e siti monumentali. Si può affermare che la Realtà Aumentata permette ai turisti di esplorare il mondo aggiungendo nuovi “strati” alla realtà, per una nuova esperienza turistica dinamica e interattiva.

Grazie all’uso dei nuovi smartphone GPS, le applicazioni di Realtà Aumentata risultano essere di semplice uso quotidiano: gli utenti puntano la camera del dispositivo mobile in direzione di un oggetto dell’ambiente circostante, ricevendo, oltre alla visione dell’oggetto, anche una serie di informazioni aggiuntive e virtuali, sovrascritte sulla realtà che viene inquadrata dalla camera. Le informazioni virtuali aggiuntive variano da testo, video, foto, possibilità di accedere a sistemi di prenotazione e pagamento per servizi turistici, informazioni su come raggiungere dei luoghi ecc. 

Le applicazioni di Realtà Aumentata si pongono come un utile strumento di supporto ai turisti con poca familiarità con i luoghi visitati in quanto:

-        provvedono l’accesso alle informazioni in modo geo-referenziato

-        provvedono l’accesso ad informazioni aggiornate con flessibilità e nel momento richiesto

-        provvedono l’accesso ad informazioni integrate su una mappa

-        provvedono servizi di m-Commerce, Feedback e Routing

 

La Realtà Aumentata non è da confondere con la Realtà Virtuale. La Realtà Virtuale crea un mondo artificiale che un utente può sperimentare ed esplorare in modo interattivo (es. Second Life). La Realtà Aumentata è, anch’essa basata su un’esperienza interattiva ma mira ad integrare il mondo reale, invece di crearne uno artificiale.

Comparata con la Realtà Virtuale, la Realtà Aumentata implementa il mondo reale invece di rimpiazzarlo. Gli utenti possono vedere il mondo reale implementato con informazioni virtuali sovrapposte, nel medesimo campo visivo. Idealmente, l’utente percepisce che oggetti reali e virtuali coesistono nello stesso luogo, in modo interattivo. La Realtà Aumentata non esclude né supera la Realtà Virtuale, ma anzi possono coesistere entrambe, dando vita a nuove prospettive di sviluppo. Ad esempio, selezionando un oggetto virtuale sul monumento inquadrato dalla fotocamera dello smartphone, potremmo essere in grado di accedere ad informazioni e video sul monumento (Realtà Aumentata) e, nel contempo, potremmo accedere ad un ambiente virtuale che riproduce l’interno del monumento, permettendoci l’esplorazione degli interni, una sorta di visita virtuale che aiuterebbe il turista a comprendere se una vista reale degli interni è di suo interesse o meno e, magari, potrebbe essere collegata ad un servizio di m-Commerce per l’acquisto di una visita guidata o dei biglietti di ingresso.

12. FASE 4: MONITORARE IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI

12.1 Misurare il successo di un DMO

12.1.1 Misurare il successo di un DMO con la soddisfazione esperienziale (applicazione di Gilmore/Pine e Kanheman)

Un numero considerevole di studi e ricerche si sono focalizzati sulla soddisfazione, proprio perché considerata un fattore chiave di successo delle imprese e delle destinazioni che vogliono capire che cosa pensa e che cosa fa il turista “dopo” aver vissuto la destinazione, proprio per accedere a informazioni che rendono più competitive le organizzazioni (a partire da Morgan, Attaway, Griffin, 1996). Gli studi di psicologia economica e di sociologia dell’esperienza turistica convergono verso la misurazione dell’esperienza in rapporto a questioni operative come la gesione dei recalmi.

Numerosi sono i modelli che tendono a spiegare le interrelazioni tra attitudini, convinzioni precedenti al viaggio, la valutazione del rischio connesso al viaggio (Asli Tasci, Boylu, 2010), le valutazioni post-viaggio e le inclinazioni comportamentali del turista, per valutarne la soddisfazione (Szymanski, Hise, 2000; Chen C., Chen Fu, 2010; Tasci, Boylu, 2010; Alegre; Garau, 2010; Del Bosque, San Martin, 2008).

Per il monitoraggio della soddisfazione vengono utilizzati appositi questionari. Insieme all’analisi dei suggerimenti, come dei reclami, il sondaggio indica come migliorare gli standard dei servizi, ristabilendo la centralità del cliente (cfr. i metodi proposti da Godfrey e Clarke, 2002)

Oggi esistono gli strumenti per misurare la tradizionale customer satisfaction attraverso l’analisi delle conversazioni on line. A tal fine, Crotts, Mason e Davis (2009) hanno utilizzato la Stance-Shift Analysis per applicarla alla narrazione dei travel blog che si occupano di hotel: l’analisi statistica raggruppa le caratteristiche del linguaggio all’interno dei fattori che misurano le dimensioni dell’ospitalità, correlandola ai piaceri (delights) e ai dispiaceri (disappointments).

Tuttavia, la ricerca scientifica esposta precedentemente invita a uno scatto in avanti e a elaborare un modello più completo e avanzato della customer satisfaction: la soddisfazione esperienziale, basata sulla tourist experience (Brent Ritchie e Hudson, 2009; Massberg, 2007; Andersson, 2007).

Il nuovo metodo è in fase di elaborazione da parte degli autori del presente volume e costituisce un contributo in fase di perfezionamento. Prima di definire che cos’è la soddisfazione esperienziale, occorre procedere ad alcune distinzioni concettuali preliminari Innanzitutto, la citata teoria di Gilmore e Pine e le pratiche del marketing esperienziale possono essere integrate con le teorie afferenti l’economia della felicità e poi trasformate, entrambe, in un nuovo strumento di analisi linguistica delle conversazioni o in questionari, che rivedono quelli utilizzati per la customer satisfaction, da somministrare ai turisti nella fase di commiato o quando sono arrivati a casa, utilizzando internet.

Come evidenziato da Daniel Kahneman (Rossi, 2010, Kahneman, 2007), premio Nobel

per l’economia nel 2002, l’economia della felicità studia le attività sociali in rapporto alle strutture cognitive delle persone perché il valore economico dell’esperienza è connesso alla ricerca della felicità. Le attività del tempo libero, tra cui quelle turistiche, hanno costituito utili laboratori per la sua teoria, in quanto i valori e le emozioni giocano un ruolo fondamentale nello strutturare i ricordi di viaggio come tema-quadro della felicità personale, oltre ad attivare il passaparola e la fidelizzazione del cliente.

Kahneman porta l’esempio di un individuo impegnato nell’ascolto di una sinfonia, che viene danneggiata negli ultimi minuti, e paragona le sue reazioni a un altro individuo che ascolta la stessa sinfonia ma con la musica danneggiata nei primi minuti. Ebbene, risulta più soddisfatto il secondo rispetto al primo. Infatti, viene danneggiato il ricordo dell’esperienza, ciò che conta è il ricordo che rimane nell’individuo ed è questo che è danneggiato.

Più in generale, Kanheman ha trovato discrepanze sostanziali tra il ricordo della gioia provata nelle vacanze al mare o in montagne o alle terme e la loro reale esperienza di gioia: era la gioia ricordata, e non quella sperimentata, che prediceva il desiderio di ripetere l’esperienza della vacanza in quel luogo e non in un altro. Pertanto, prima di procedere a qualsiasi analisi statistica, occorre distinguere tra experiencing self e il remembering self. Vi sono discrepanze sostanziali tra il ricordo delle emozioni provate durante le vacanze e la reale esperienza di gioia vissuta dai turisti. Il ricercatore non deve allora indagare l’experiencing self ma il remembering self. Il well-being non è unitario, ma va coniugato al plurale. Il ”sé che fa esperienze” dei momenti felici, raramente sopravvive ai momenti che ha vissuto. Così, quando chiediamo a qualcuno “quanto ti sono piaciute le vacanze quest’anno?”, chi risponde all’intervistatore non è l’experiencing self, il sé che registra e archivia i momenti, del presente psicologico distribuiti nel flusso del passato prossimo. Risponde il ”sé che ricorda e valuta” (il remembering self). Contrariamente all’experiencing self, il remembering self è abbastanza stabile e permanente e costituisce la sola prospettiva che i turisti possono adottare appena sono sollecitati a valutare le fresche memorie o cool memories dei pezzi di vita del passato, l’insieme di incontri di servizio esperiti durante le vacanze appena concluse. Il remembering self è definito da Kahneman il cantastorie perché è molto più loquace dell’experiencing self, impegnato nel flusso del play, potremmo aggiungere noi. Ciò conferma che l’essere felici ”nella vita” varia rispetto all’essere felici ”della vita”.

Pertanto, l’esito dell’incontro tra erogatori di servizi turistici e nuovi turisti esperienziali/ attivi non è racchiuso nell’esperienza fatta immediatamente, ma in ciò che resta nella memoria. Sono i ricordi che determinano le attribuzioni di equità sul rapporto qualità- prezzo, sia in termini da value for money sia di value for time. Perciò, non occorre analizzare soltanto gli ”incontri di servizio” tra i turisti e gli erogatori pubblici e privati, ma soprattutto i ricordi, se vogliamo misurare la soddisfazione esperienziale.

È dunque evidente il legame tra i contributi dell’economia e del marketing delle esperienze e l’economia della felicità. Conoscere l’esperienza fatta dai turisti attuali, infatti, aiuta a raccogliere informazioni sulla loro eventuale insoddisfazione e a modificare i comportamenti di chi offre i servizi e migliorare la gestione dei reclami. Soprattutto, è un valido supporto per la strategia del marketing passaparola, che consente di abbattere molti costi di comunicazione: la soddisfazione esperienziale, abbinata all’analisi dei blog e delle community online, consente di capire che cosa pensano i clienti e può sviluppare nuove idee promozionali o nuovi prodotti.

12.3 La soddisfazione esperienziale: definizione

La soddisfazione esperienziale non è uno stato di benessere generale o un equilibrio olistico ”interno” alla persona e quindi difficile da misurare. È un insieme di attività sociali ed economiche evocate dai ricordi di viaggio, che si trasformano in preziose informazioni per gli operatori che vogliono personalizzare l’offerta o pianificare la comunicazione tramite nuove tecniche. E di ”pezzi di vita” che, analizzati uno per uno, offrono preziosi suggerimenti sui servizi alla persona e sulle innovazioni da apportare all’offerta e al mix promozionale.

L’experience satisfaction è un perfezionamento della customer satisfaction e promette, una volta applicata, di dare risultati originali, fertilizzando le menti dei talenti più proattivi dell’incoming. Infatti, non si limita a evidenziare gli scostamenti tra immagine proiettata dal territorio o dall’azienda e immagine percepita dal turista. Fa molto di più: aiuta a mettere a lavorare i turisti e gli erogatori di servizi perché insieme co-producano l’esperienza, ingegnerizzando nuovi prodotti o re-ingegnerizzando quelli invecchiati a partire dei ricordi del remembering self.

La soddisfazione esperienziale è formata da due componenti:

·       la soddisfazione esperienziale relazionale, collegata agli scambi e agli incontri con le culture e le tradizioni locali tramite i servizi della destinazione ospitale. Definisce i piaceri del gioco e della ”bella vita” a contatto con ambienti e persone diverse dal solito, con cui il turista è entrato in contatto, oltre i servizi commercializzati ”per” i turisti. Racchiude l’unicità locale, che costituisce la motivazione principale del viaggio. Misura il core business dell’autenticità, dell’amicizia, dell’accoglienza voluta consapevolmente dai locali. Essa è sempre immateriale. Le popolazioni locali, con le loro culture e i loro stili di vita, fanno sempre più parte integrante del prodotto turistico. Capire che cosa pensano i cittadini sui servizi turistici e sull’indotto del turismo è soltanto il primo passo per definire il capitale sociale pro-turistico di una comunità locale. E lo sanno bene gli assessori al turismo, che tanto faticano ad attribuire un ruolo strategico al comparto, inteso come trainante di tutte le interdipendenze settoriali (beni culturali, trasporti, agricoltura, ristorazione ecc.). Questo tipo di soddisfazione si raccomanda sempre quando si vuol testare un nuovo prodotto a rete – per esempio una shopping card o una arte card – perché i beneficiari siano sia i residenti sia i visitors, creando così un clima urbano favorevole alla città ospitale e al fatto che il turismo è utile. Questa componente misura come ridurre i conflitti tra locali e turisti creando spazio relazionali per entrambi;

·       la soddisfazione esperienziale strumentale, collegata ai servizi pubblici e privati utilizzati dai turisti attivi, soprattutto dal nuovo ceto medio internazionale, per cercare di essere felici. Definisce le valutazioni del turista, in quanto viaggiatore sempre più competente per la numerosità dei viaggi fatti nel corso della vita. Racchiude i temi usuali della qualità dei servizi più i temi della ”buona società” (ambiente pulito, sicurezza personale, manutenzione del verde ecc.). La ricerca sonda le valutazioni sui servizi del turismo ristretto (alberghi, ristoranti, negozi ecc.) e di quello allargato (trasporti locali, ospedali, lavanderie ecc.). Essa ha comunque rilevanti componenti immateriali perchè vi rientra anche la soddisfazione dei lavoratori che erogano i servizi e l’adattamento dei servizi alle diversità culturali dei clienti in termini, ad esempio, di stili alimentari (tramite la gestione flessibile del ristorante di un albergo, Baum, 2006), o di apprendimento del significato religioso di un bene culturale (tramite le skills della guida tursitica locale).

La valutazione tramite sondaggio dei due livelli fa emergere le variabili standard che spingono il turista a definirsi più o meno soddisfatto e quindi è pronto al passaparola positivo, a spendere di più per tutti i servizi dell’area, ad accettare tranquillamente piccoli aumenti di prezzo anno dopo anno.

La soddisfazione esperienziale deriva dalla customer experience, ovvero dall’esperienza del turista in loco. La customer experience è la percezione che il consumatore ha delle interazioni con la destinazione turistica e i suoi servizi pubblici e privati. Si parla di percezione perché l’esperienza si alimenta delle emozioni provate dal turista e, quindi, di impressioni personali.

La Temkin Group, azienda di consulenza specializzata nell’analisi della customer experience per conto di 294 aziende internazionali, ritiene la soddisfazione esperienziale una componente fondamentale nella fidelizzazione del cliente. L’esperienza vissuta dal cliente viene valutata secondo 3 variabili:

  • -        Successo: misura se il cliente è in grado di ottenere ciò che desidera;
  • -        Sforzi: misura il grado di difficoltà riscontrato dal cliente nell’ottenere ciò che si desidera;
  • -        Emozioni: misura le percezioni avute dal cliente nell’interazione con l’azienda.

La soddisfazione esperienziale del cliente deriva, quindi, non solo dalla qualità del servizio erogato o del prodotto acquistato, ma è soprattutto il risultato di una buona cultura aziendale e di processi operativi ben gestiti che portano il cliente a sperimentare emozioni positive legate alla sua esperienza con il prodotto, servizio o destinazione turistica. 

12.4 Implicazioni manageriali: il monitoraggio della brand reputation e delle performance delle azioni di web marketing

Dopo aver individuato nella fase ”liminale’ del viaggio di ritorno e nel post-viaggio il momento in cui valutare i risultati del web marketing territoriale e dopo aver analizzato i modelli di rilevazione della soddisfazione olistica o esperienziale del turista, si possono trarre alcuni spunti operativi per i DMO:

·       organizzare focus group per accertarsi che l’economia esperienziale e i connessi strumenti di valutazione siano stati attuati. Come rilevato da Morgan e Elbe (2009), che hanno studiato le pratiche dei destination manager in alcune località inglesi, svedesi e spagnole, profondamente cambiate dopo l’impatto dei flussi turistici, gli intervistati riconoscono la necessità di realizzare nuovi prodotti esperienziali per distribuire i flussi turistici nel corso dell’anno a stabilizzare l’industria dell’ospitalità. Il focus group dovrebbe servire per individuare i condizionamenti che impediscono di passare da un atteggiamento favorevole a una partnership collaborativa che attua ciò che ”deve” essere fatto e non ciò che ”dovrebbe” essere fatto. Gli attori possono decidere che è positiva la qualità dell’accomodation e possono incrementare le attività sportive, culturali e ristorative per differenti target del turismo esperienziale. Oppure, vorrebbero rappresentare l’autenticità per fornire ai turisti benefici emozionali e spirituali;

·       sviluppare relazioni tramite internet per acquisire informazioni da ri-territorializzare con innovazioni. Tuttavia, la consapevolezza strategica, non sempre si trasforma in operatività. Non vengono, per esempio, create community in cui raccontare l'esperienza di viaggio. Questo consente non solo di fornire informazioni ad altri turisti, ma anche alla destinazione stessa, che potrebbe intervenire nelle aree di criticità rilevate nei racconti di viaggio.

·       strutturare una comunicazione professionale, che non crei false aspettative, ma confermi quanto promosso con prestazioni adeguate. Va ricordato, infatti, che foto accattivanti e attività di video web marketing coinvolgenti ma false, vengono spesso e velocemente smascherate online, grazie al potere del passaparola e di siti di recensioni o di foto e video sharing. Va infine sottolineato che la creazione di false aspettative conduce solamente alla delusione e all’insoddisfazione del turista;

·       strutturare attività di marketing esperienziale in loco, anche avvalendosi di nuove tecnologie come l’internet mobile, al fine di sviluppare emozioni ed esperienze indimenticabili, in grado di generare soddisfazione e passaparola positivo, tramite il remembering self dei turisti.

·       rilevare l’experience satisfaction attraverso questionari, anche da inviare online, al fine di rilevare la soddisfazione olistica del turista in rapporto alle dinamiche cognitive e affetive del ciclo spazio-temporale, e quindi i punti forti e deboli della destinazione;

·       attuare le opportune correzioni nell’offerta e nella comunicazione, in base ai dati raccolti dai questionari di experience satisfaction.

TripAdvisor e siti simili di recensioni online, si propongono ai DMO come strumenti di successo da sfruttare. Analizzare i contenuti generati dagli utenti, non solo nelle recensioni, ma anche nei forum e blog, può portare a comprendere i punti di forza e di debolezza dei servizi turistici offerti, portando all’attuazione di misure correttive per migliorare l’offerta e l’immagine della località turistica, al fine di aumentare la soddisfazione dei clienti e di conseguenza migliorare il passaparola positivo online (Buhalis e Lawb, 2008).

Data l’influenza della fase di ricerca di informazioni e dei relativi luoghi, sociali e virtuali, in cui tale ricerca spesso avviene, risulta indispensabile effettuare un monitoraggio di commenti e recensioni che circolano online su una determinata meta turistica o operatore del settore, gestendo sia i feedback positivi sia negativi dei viaggiatori. Si possono così scoprire punti di debolezza da risolvere attraverso azioni mirate, magari suggerite dalla stessa community di turisti attivi, si possono scoprire punti di forza della destinazione da valorizzare, attrattive e caratteristiche di un luogo importanti per il turista, ma magari sottovalutate nelle campagne promozionali avviate.

Ogni destinazione dovrebbe dunque dotarsi di specialisti che sappiano raccogliere le informazioni su una meta o servizio, analizzando i siti online maggiormente utilizzati dal target di riferimento nel ricercare informazioni, coordinando ciò che l’utente dice nei blog e social network all’immagine che si crea attraverso il proprio sito internet o la stampa e altri media.

Occorre evitare di creare una brand reputation online, generata dai viaggiatori, parallela a quella diffusa ufficialmente dal DMO, in quanto potrebbero crearsi facilmente immagini conflittuali. Risulta pertanto indispensabile monitorare la brand reputation, ovvero capire che cosa si dice in rete della meta turistica o dei servizi dell’azienda. Un turista soddisfatto parlerà della sua esperienza nei social network e siti internet sociali e interattivi, incrementando il passaparola e una brand reputation positiva della destinazione. Viceversa, un utente insoddisfatto può diventare un veicolo di cattiva pubblicità, da gestire il più rapidamente possibile (Meotto e Fagottoì, 2008).

Ben il 40% degli europei che fanno shopping online tendono a cambiare idea sul marchio del prodotto da acquistare dopo aver effettuato ricerche sul web. A rivelarlo il report del 2008 redatto dall’EIAA (European Interactive Advertising Association), che sottolinea come la tendenza alla volatilità delle scelte degli internet shoppers sia soprattutto una caratteristica dei mercati web più maturi, come, per esempio, il Regno Unito (AA.VV.c, 2008). Proprio per le caratteristiche del nuovo turista 2.0, sempre più infedele e sempre più volto alla ricerca di informazioni tra i suoi pari, risulta fondamentale saper gestire i feed back dei propri clienti e le tecniche maggiormente diffuse per gestire i rapporti con i clienti (Figura 15.2).

Accanto al monitoraggio della brand reputation, altra azione per valutare le performance di un DMO è quella di valutare i ritorni delle azioni di web marketing, dalle attività promozionali al sito internet.

Secondo uno studio di Buhalis (2003), internet rende facile misurare gli effetti della pubblicità ma non rende facile misurare il suo successo. Numerosi sono i dati che strumenti di monitoraggio, come Google Analytics, permettono di ottenere; ma si tratta di dati poco significativi se presi sé stante e non analizzati e collegati al contesto delle diverse azioni di web marketing. Oltre a prendere in considerazione i dati di accesso al sito, occorre analizzare il rapporto lookers/bookers, detto anche tasso di conversione (rapporto tra utenti che navigano nel sito e quelli che acquistano online), le pagine del sito più e meno visitate, da quali siti o motori di ricerca proviene il maggior numero di utenti, qual è il sito o motore di ricerca che porta più traffico, quali banner portano più traffico e dove sono posizionati, quali pagine riportano errori, secondo un modello di monitoraggio già ampliamente adottato negli USA.

Oltre agli elementi on-site, sopra descritti, va accompagnata l’analisi degli elementi off- site, ovvero i ritorni e le performance delle azioni promozionali online, indirettamente collegate al sito web. Il lancio della campagna online, infatti, richiede di essere analizzata e ottimizzata in base ai risultati ottenuti e in base ai KPI (Key Performance Indicator) realizzati: a tal fine si deve analizzare la link popularity del sito, il posizionamento nei motori di ricerca, il ROI (Retourn on Investment) delle pubblicità online, siano esse PPC (Pay Per Click) o banner, la popolarità e il grado di interazione sociale all’interno dei social media (es. twitter, facebook ecc.).

Tutto questo al fine di poter evitare la pubblicità e le azioni di web marketing che non hanno portato risultati concreti di visibilità o reputazione della destinazione, presso il target di riferimento, adattando di conseguenza le spese di web marketing e il budget da destinare alle diverse azioni promozionali online (Booking Blog8 2010).

12.5 Conclusioni

Con il monitoraggio delle azioni di marketing esperienziale e di web marketing, si conclude il ciclo spazio-temporale del viaggio, Si è cercato di connettere le molteplici esperienze (dei turisti, degli operatori pubblici e privati, della popolazione locale), online e offline all’interno di una teoria generale.

L’approccio umanistico, sociologico ed economico ha forse contribuito a migliorare la conoscenza e a potenziare le competenze, come è giusto per una ricerca scientifica applicata, volta a fornire strumenti didattici e a servire la collettività per raggiungere obiettivi economici, sociali e culturali. Senza romanticismi, nella consapevolezza che il web marketing è uno strumento aggiuntivo per gli attori che pensano in positivo e perseguono la prospettiva di creare l’experience satisfaction in modo olistico, per realizzare una destinazione ospitale, con i residenti, i lavoratori dell’accoglienza, i visitor, oltre l’utile immediato dei singoli attori.

Proprio in tale prospettiva vogliamo proporre un ultimo video, utile a evidenziare i futuri sviluppi della tecnologia che possono coinvolgere in modo olistico gli operatori e i clienti, offrendo una nuova customer experience che integra online e offline e di cui si auspica un’applicazione anche nel settore turistico.

Il futuro della Costumer Experience