WEB MARKETING E TURISMO
8. FASE 0: LEGITTIMAZIONE DI UN DMO
8.1 Fase 0: partnership collaborative e legittimazione del DMO alla base di un piano di comunicazione online circolare, interattivo e discontinuo di un DMO
Il piano di web marketing della destinazione attua un più ampio piano strategico di un Comune, di una rete pubblico-privata, di una Regione.
La legittimazione istituzionale avvia la fase 0: il piano di web marketing viene inserito come linea d’azione nel piano strategico di promozione turistica che le istituzioni pubbliche, le Regioni in Italia, adottano per fornire indicazioni operative sugli investimenti pubblici e privati in rapporto a specifici obiettivi (destagionalizzazione, mercati emergenti, nuovi magneti da proporre ai mercati ecc.).
Per giustificare la linea d’azione denominata “web marketing per la destinazione ospitale”, il presente capitolo delinea i processi di formazione delle partnership tra stakeholders di una destinazione turistica, evidenziando come il cambiamento interno, sia organizzativo sia di mentalità manageriale, è alla base di un marketing collaborativo che utilizza “anche” il web marketing (Fyall e Garrod, 2005; Bramwell e Lane, 2000).
Ogni cambiamento e innovazione si scontra, però, con dei freni, dovuti a gap culturali e a difficoltà di lavoro in team, piuttosto che a difficoltà di interazione con le nuove tecnologie. Di qui, il ruolo delle partnership collaborative per superare i limiti alla partecipazione degli stakeholders nella progettazione di un nuovo modello inter-organizzativo a rete.
Entrare nel mondo di Internet senza l’analisi e la conoscenza del mercato e senza definire gli obiettivi da raggiungere “insieme”, “legittimati” a livello di DMO, potrebbe rivelarsi infruttifero, non soltanto per le azioni di web marketing, ma per qualsiasi azione promozionale, anche offline. Infatti, la progettazione e la gestione del piano di comunicazione online si inserisce in un contesto più generale, cioè le organizzazioni turistiche partecipano alla “società della conoscenza” attraverso la figura del destination manager come knowleldge manager (Cooper, 2006; Stamboulis e Skavannis, 2003). In tale contesto, la legittimazione del DMO come regista fa parte della fase 0, è una pre-condizione per procedere operativamente nella realizzazione di un web site o alla sua re-ingegnerizzazione secondo i metodi della comunicazione circolare, interattiva e discontinua.
8.2 Il destination manager
8.2.1 Il destination manager in azione: il web marketing per un’immagine olistica centrata sul turista
Nella fase 0, l’obiettivo del destination manager è creare le basi sociali – fiduciarie e collaborative - per un piano di web marketing del territorio condiviso dagli stakeholders locali, per presentare al turista una comunicazione e un’immagine univoca, risolvendo le conflittualità inevitabili per la presenza di un’offerta frammentata.
Già dalla definizione di destinazione turistica emergono differenti prospettive che sono proprie di una visione discordante perché formata da molteplici attori. Si possono elencare ben tre prospettive: quella della domanda, dell’offerta e quella olistica (Del Chiappa, 2007).
La domanda turistica vede la destinazione come
“un contesto geografico (luogo, comprensorio, piccolo villaggio, nazione) scelto dal turista o dal segmento di turisti come meta del proprio viaggio, che comprende tutte le strutture necessarie al soggiorno relative ad alloggio, vitto e ricreazione” (Bieger, 2000, p. 86).
“Adottando la prospettiva dell’offerta, il concetto di destinazione corrisponde a quello di località inteso come l’insieme di prodotti, servizi ed esperienze turistiche – complementari e interconnessi – realizzati e/o organizzati da una pluralità di produttori che svolgono la propria attività, direttamente o indirettamente a valenza turistica, su un determinato territorio allo scopo di rispondere alla loro domanda di riferimento, attuale e/o potenziale” (Tamma, 2001, p. 55).
La prospettiva olistica, che fonde la visione della domanda con quella dell’offerta turistica evidenzia la necessità di strutturare una destinazione turistica come un sistema organizzato, con una precisa strategia e una visione manageriale condivisa e messa in atto dagli operatori locali, grazie alla creazione di un DMO .
Da un lato, come riconosciuto da Buhalis, la necessità di azioni collaborative, più fruttifere delle rivalità tra fornitori locali, è ormai socialmente diffusa tra gli operatori, soprattutto all’estero. Si tratta di far emergere un atteggiamento potenzialmente favorevole a creare una destinazione competitiva e raggiungere risultati ben accettati dalla comunità locale, in termini di sviluppo sostenibile (Buhalis, 2000; Elbe, Hallen, Axelsson, 2009). Dall’altro lato, la necessità di una collaborazione o coordinazione tra operatori locali è dettata dalla volontà di aderire alla prospettiva del consumatore, che identifica la destinazione turistica come un’esperienza integrata, che implica la fornitura dei diversi componenti della vacanza da parte di differenti attori. La visione globale del turista dà senso alla necessità di trattare la destinazione come un’unica entità. Un DMO è un organo in grado di mettere a sistema gli operatori locali, le cui conoscenze sono limitate, al fine di promuovere e rendere competitiva una destinazione turistica, grazie alla presenza di un’organizzazione guida, definita organo di meta-management, ovvero un organo in grado di
“coordinare strategicamente la varietà delle risorse e degli operatori rilevabili nella località” (Del Chiappa, 2007).
Il DMO è sostanzialmente una forma organizzativa ibrida, che comprende imprese ed enti di diverso tipo e con differenti esigenze, che ha come scopo aggregare, in modo spontaneo o pianificato, una pluralità di attori locali al fine di valorizzare insieme una destinazione turistica, mettendo in comune le conoscenze “tacite”.
A tal proposito, lo studio, svolto dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), citato da Carciofi (2010), ha descritto i modelli di governance del DMO, mettendo in luce che il modello di partnership mista, che unisce pubblico e privato, è sempre più̀ utilizzato, anche se la presenza di imprese private risulta essere maggiore per gli enti che operano a livello locale, e in particolare per le destinazioni urbane e costiere.
Sul piano delle criticità, l’indagine mostra come le principali linee d’azione con le quali si misurano i DMO, sono le seguenti:
· aumentare il livello di decentramento e di indipendenza nei confronti delle amministrazioni nazionali e regionali in modo che abbiano gli strumenti per connettere il locale con il globale;
· reperire fonti di finanziamento all’interno e all’esterno delle comunità locali per sostenere le attività di programmazione;
· sviluppare la qualità del prodotto e dei servizi, in chiave sostenibile;
· attrarre segmenti di domanda con elevata capacità di spesa, tra i quali il ceto medio internazionali di professionals che fanno della conoscenza e della mobilità una risorsa strategica della loro attività (Costa, 2008, a);
· riuscire a sfruttare i progressi nel campo delle ICT (Information Comunication Technology) per la promozione, il posizionamento della destinazione e la gestione delle relazioni con i clienti, sviluppando le competenze in web marketing.
Pertanto, l’univocità dell’immagine coordinata è la conseguenza dell’intelligenza connettiva attivata dal destination manager, che è riuscito a rendere espliciti i livelli iniziali di conoscenze incorporata nelle risorse umane delle imprese, a cui ritorna in modo codificato e potenziato.
8.2.2 I ruoli e le attività del destination manager come sviluppatore e facilitatore
Quando gli enti locali e gli operatori dell’ospitalità sentono la necessità di riunirsi intorno a un DMO? Quando accettano con pazienza che la strategia porta indiscutibili vantaggi nei tempi medio-lunghi, riconoscono che impegno e sacrifici sono indispensabili per trasformare il luogo in destinazione ospitale e domandano un “centro” che guidi il cambiamento con conoscenze e competenze distintive nel facilitare e accompagnare le proposte provenienti dal basso.
Per svolgere tale funzione strategica Gartrell, (1994) e Bornhorst, Brent Ritchie, Sheehan (2010) hanno identificate tre macro-aree in cui un DMO deve agire e i ruoli che deve svolgere:
· la comunità locale: è indispensabile il conseguimento sia di una leadership, sia di un ruolo di sostegno per l’ospitalità e la comunità locale. Il DMO deve essere un’entità visibile, in grado di attirare l’attenzione sulle mobilità umane e i flussi informativi al fine di far comprendere alla comunità locale il ruolo e il significato dell’ospitalità come sistema produttivo;
· i turisti: assistere i visitatori grazie alla realizzazione di servizi per i turisti, con la divulgazione di informazioni e assistenza nella fase del pre-trp, durante il viaggio nella destinazione e nel post -trip;
· gli stakeholders: svolgere il ruolo di organo chiave per la messa a sistema degli operatori interni ed esterni, aiutando lo sviluppo di una gamma di attrattive, servizi turistici, eventi e in grado di posizionare e promuovere la destinazione in modo competitivo per le esperienze turistiche al fine di formare un’unica “voce” promozionale.
Riassumendo, il ruolo fondamentale del DMO è adoperarsi a migliorare l’esperienza di visita del turista, garantendo nel contempo il benessere dei residenti, grazie alla capacità di gestire e amministrare correttamente la destinazione e i suoi stakeholders economici (Bornhorst, Brent Ritchie, Sheehan, 2010). È uno sviluppatore economico delle risorse che accetta le sfide competitive delle altre destinazioni concorrenti, che cioè insistono su una simile linea di prodotto e su una simile tipologia dell’offerta.
Il DMO svolge anche un ruolo di facilitatore dei processi aggregativi e accompagna gli attori locali nell’auto-diagnosi della comunità locale perché lo sviluppo è sostenibile, partecipato condiviso (Costa, 2008b). Sin dall’avvio del processo, si sa che in ogni comunità locale – da quelle più avanzate del nord Italia a quelle con più difficoltà del sud Italia – vi sono barriere e limiti alla partecipazione. Questo insieme di fattori va identificato perché nelle resistenze locali si trovano i fattori che inibiscono la legittimazione del DMO come innovatore che orienta e guida le logiche collettive.
Il DMO cerca di conseguenza di allineare le conoscenze e le competenze locali di albergatori, ristoratori, operatori dei trasporti, gestori di risorse culturali, ecc. su comuni standard di competenze tecnologiche e manageriali. Attraverso riunioni focalizzate su “che cos’è il web marketing” intraprende un processo di comunicazione interna e avvia la diagnosi neo-comunitaria su un aspetto specifico della “città ospitale”, l’aggiornamento in web marketing degli attori economici dell’incoming e dei gestori non profit delle risorse culturali o naturali. Perché si crei una conoscenza comune di base.
Le tre aree – turisti, comunità locale e imprese locali - costituiscono un continuum in cui ognuna ha effetti, positivi o negativi, sulle altre. La gestione è soltanto concettualmente separata, mentre operativamente il DMO le connette e misura la sua efficacia proprio dai risultati conseguiti nel facilitare gli scambi tra le tre aree. Le prime due macro-aree di azione di un DMO sono incentrate sulla soddisfazione del turista e della comunità locale e costituiscono i presupposti sociologici della sua legittimazione: deve essere chiaro che il DMO è un organismo di servizio per i residenti, le imprese, i lavoratori e i turisti.
Infine, il DMO promuove e commercializza una destinazione in collaborazione con gli stakeholders e, dunque, crea i presupposti del DMO nel promuovere e commercializzare una destinazione in collaborazione con gli stakeholders e, dunque nel creare i presupposti per lo sviluppo di un piano di comunicazione online circolare, interattivo e discontinuo.
Le attività professionali di un DMO per la promozione e commercializzazione di una destinazione turistica sono così sintetizzabili:
· raccolta e organizzazione delle informazioni, foto e video sulla meta, in modo da fornire indicazioni per visitare la meta;
· realizzazione di itinerari, eventi e prodotti innovativi, anche su misura, in collaborazione con gli operatori locali, al fine di proporre attività e attrattive uniche e in linea con le esigenze del mercato;
· facilitare o mediare le prenotazioni e l’acquisto dei servizi turistici presso gli operatori locali;
· realizzare ricerche e analisi di mercato per delineare i nuovi trend e nuove strategie promozionali;
· creare dei database di clienti e fornitori interessati alla destinazione, da condividere con gli attori locali, per studiare e realizzare azioni promozionali e commerciali;
· gestire, promuovere e monitorare la brand reputation, realizzando report e azioni correttive da condividere e attuare con gli attori locali;
· realizzare azioni coordinate e condivise di marketing e web marketing al fine di evitare conflittualità di immagine e sprechi economici;
· realizzare e gestire il sito web, rappresentativo della destinazione e dell’offerta degli operatori locali.
Seppure si tratti di un elenco sintetico, suscettibile ad ampliamenti in base alle esigenze locali, esso mette in evidenza la necessità di avere delle partnership fiduciarie, in grado di strutturare un piano di azione condiviso. Le competenze operative del destination manager si evidenziano concretamente nel saper fare, se genera “fiducia partecipata” nell’avvio del web marketing della destinazione.
Il passaggio dalla sfiducia condivisa alla fiducia partecipata potrà generare un bando pubblico di web marketing per progettare o re-ingegnerizzare il website (vedi Appendice). Il bando costituisce la concreta materializzazione della legittimazione del destination manager e della sua attività di sviluppatore e di facilitatore dei processi aggregativi. Un’attività tipica di un knowledge manager: il bando è co-prodotto insieme agli stakeholders dell’offerta, facendo emergere le conoscenze tacite degli operatori e socializzando le conoscenze esplicite professionali e normative, con finalità economiche, sociali e culturali, conseguenza di un approccio liberale (altro asset del marketer come knowledge worker) favorevole ai legami laschi.
8.3 La comunicazione interna al DMO per gestire le partnership collaborative
La realizzazione di un piano di azione condiviso inizia con la comunicazione interna alla partnership, in grado di connettere a rete gli operatori, le conoscenze, le competenze, le best practice e le problematiche, per creare un’organizzazione che sappia porsi degli obiettivi di sviluppo condivisi, che apportino benefici a tutti i componenti del DMO.
Avere buoni flussi comunicativi interni, al fine di strutturare un piano di comunicazione e promozione esterna, è riconosciuto da Scotti e Sica (2007) come un elemento chiave di successo. I flussi comunicativi, infatti, possono aumentare la legittimità del DMO, coinvolgono un maggior numero di stakeholders in modo attivo, permettono di stabilire obiettivi comuni che apportino benefici collettivi, attenuando i conflitti e la competizione e facendo emergere un clima di collaborazione.
La comunicazione interna, può giocare un ruolo fondamentale per i diversi attori e stakeholders, sia direttamente coinvolti nella partecipazione interna al DMO, sia indirettamente coinvolti, come i cittadini (Aa. Vv., 2008).
Alla base di tali relazioni e flussi comunicativi c’è la capacità del DMO di coinvolgere diversi stakeholders al fine di farli lavorare insieme sulla base di comuni obiettivi o problematiche, attraverso un processo di scambio di idee e conoscenze, e la messa a rete di risorse finanziare e umane. Bramwell e Lane (2000), Fyall e Garrod (2005) e Wang, (2008) hanno evidenziato che la combinazione di conoscenza, esperienza e risorse finanziarie all’interno delle strategie collaborative è in grado di produrre consenso e sinergie tra gli operatori locali, portando a nuove opportunità, soluzioni innovative e un maggior grado di efficacia che i singoli operatori non sarebbero stati in grado di raggiungere da soli.
Nella sintesi di Cederle (2005), la strutturazione di una comunicazione interna è finalizzata a:
1. sviluppareunprogettostrategicorelativoall’offertaealbranddelladestinazione turistica, stabilendo un piano operativo e di sviluppo condiviso con obiettivi e traguardi;
2. assicurare il supporto di esperti in marketing, tecnologia e turismo. La presenza di specialisti che hanno già portato a termine progetti simili può essere importante per evitare di percorrere in proprio tutta la lunga curva di apprendimento;
3. coinvolgere i principali operatori locali ed esterni di maggiore importanza, creando consenso tra gli stakeholders. Occorre cioè scegliere i partner del progetto, tra i più competenti, in grado di condividere best practice, un ampio know how e conoscenze competitive e innovative;
4. determinarelefunzionieilmodellodibusinessdelDMOedelrelativositoweb, dimostrando che il sito è il punto di accesso privilegiato all’offerta della meta.
A tal fine, l’ente proponente, il DMO, organizza focus group “misti”, coinvolgendo i dirigenti delle amministrazioni pubbliche e gli operatori dell’incoming. Compila una mailing list inclusiva di talenti ed esperti locali già impegnati nel web marketing. Durante i focus group, gli attori testano un progetto generale di DMO, avviando di fatto la collaborazione tra gli attori nell’innovazione dei prodotti a rete territoriale (risultato operativo della comunicazione interna) da inserire poi nel web site (comunicazione esterna).
8.4 Affrontare le barriere alla collaborazione: la legittimazione di un DMO
I vantaggi, a livello di marketing della destinazione, apportati dalla collaborazione di imprese private ed enti pubblici sono ampiamente riconosciuti nella bibliografia internazionale (Buhalis, Cooper 1998; Fyall, Garrod 2004; Henderson 2001; Palmer, Bejou 1995; Prideaux, Cooper 2002; Saxena 2005, Wang, 2008). Tuttavia, la diversità degli obiettivi e delle esigenze, dovuta alla molteplicità delle attività e alla frammentazione degli attori che compongono l’offerta di una destinazione, costituisce spesso una barriera alla collaborazione. Questa situazione crea una sfida che il DMO deve affrontare: come organizzare un piano di comunicazione online condiviso e le attività di marketing in modo da avere dei benefici sia per i diversi stakeholders sia per la destinazione?
Lo studio di Elbe, Hallen e Axelsson (2009) descrive come un DMO con poche risorse che si trova a operare in una realtà frammentata, può mobilitare gli operatori locali e trovare le giuste risorse per mettere in atto azioni di marketing a livello di destinazione e sviluppare un gruppo collaborativo di attori. Le conclusioni dello studio si basano su un case study di un DMO svedese e mettono in luce la necessità per il DMO di consolidare la sua legittimazione. La legittimità viene, infatti, riconosciuta dagli studiosi come il fattore cruciale per abbattere gli ostacoli alla collaborazione e creare un DMO di successo, condividendo la definizione di Suchman, secondo il quale la legittimità è una
“percezione generalizzata o presupposto affinché le azioni dell’ente siano desiderate, corrette o adeguate, all’interno di un sistema di norme, valori, credenze e definizioni” (Suchman 1995, p 574).
Elbe, Hallen e Axelsson (2009) identificano tre diverse tipologie di legittimità:
· legittimità cognitiva si basa su strutture cognitive culturalmente e socialmente riconosciute. Un tipico esempio di legittimità cognitiva in molte società è la condivisione di valori e principi democratici e che il merito e il talento vanno riconosciuti per formare un team capace di scambiare informazioni e saper gestire insieme un progetto innovativo;
· legittimità pragmatica: si basa sui benefici che possono derivare dalla collaborazione. La base di tale collaborazione è lo scambio reciproco di benefici economici o benefici basati su interessi e valori comuni. Un esempio è l’insieme di azioni concordate con il marketing collaborativo, per cui ogni attore è il nodo di una rete e agisce per obiettivi, appiattendo le gerarchie;
· legittimità politico-sociale: si basa sulla percezione che l’ente rappresenta qualcosa di desiderabile da molti, con interessi che vanno al di là delle esigenze dei singoli direttamente coinvolti. Nei contesti stranieri, la legittimità è definita “morale” ma, in Italia, è opportuno parlare di “politico-sociale” perché la società politica è molto densa e pervasiva, mentre la società civile è molto debole, per cui i patti pre-politici o morali contano poco o niente anche nel turismo. Un esempio è la continuità amministrativa di un DMO, che riceve legittimità istituzionale senza essere soggetto a totali cambiamenti se nell’eventuale consorzio pubblico-privato arriva una nuova maggioranza politica (vedi paragrafo 11.8).
Lo studio evidenzia soprattutto l’importanza per un DMO di ottenere sia una legittimazione cognitiva sia pragmatica e politico-sociale. La legittimità cognitiva è un pre-requisito che l’ente pubblico accerta quando decide di assumere un destination manager. La legittimazione politico-sociale permette al DMO di essere riconosciuto come l’organo rappresentativo di una destinazione, grazie alla sua autorità istituzionale e la funzione di mediare e facilitare le aggregazioni. La legittimazione pragmatica si basa sulle attività volte a rendere una destinazione competitiva e di successo, grazie alle competenze e alle risorse possedute e alle azioni promozionali messe effettivamente in atto.
8.5 Come mettere a lavoro le partnership collaborative
Per creare un DMO di successo si richiedono buoni flussi comunicativi interni, che sono comunque alla base di qualsiasi ente formato da molteplici attori locali.
Elbe, Hallen e Axelsson (2009) hanno analizzato il modello organizzativo del DMO di Elkhart County, nel nord dell’Indiana, Usa. A tal fine, gli autori hanno esaminato il processo di collaborazione nel contesto di una destinazione turistica con lo scopo di comprendere la natura e la dinamicità delle relazioni tra organizzazioni turistiche pubbliche e private, e le implicazioni pratiche di tali relazioni per lo sviluppo, la pianificazione e il marketing turistico della destinazione.. La meta selezionata si distingue per essere la seconda comunità Amish del nord America e le attrazioni maggiori e i prodotti turistici sono collegati alla cultura Amish, tanto che la destinazione viene solitamente promossa come “ Northern Indiana Amish Country”. Il DMO locale è Elkhart County Convention and Visitors Bureau (ECCVB), rappresentante della comunità locale e dei diversi stakeholders, e si occupa del marketing a livello di destinazione.
Le interviste realizzate sia ad alcuni componenti dello staff di ECCVB sia ad alcuni stakeholders hanno messo in evidenza 5 fasi operative, 2 processi di collaborazione e 2 di comunicazione interna al DMO:
1. Processo di collaborazione per la costruzione delle partnership. Le interviste non hanno evidenziato particolari distinzioni tra una fase e un’altra per la messa a punto della collaborazione, sottolineando quindi che l’interazione è il punto focale di tutto il processo di creazione e sviluppo di un DMO legittimato e collaborativo. È in ogni caso possibile distinguere 5 fasi operative:
· assemblaggio,incuisonoidentificatiiproblemieselezionatiglistakeholders atti a collaborare per la creazione del DMO;
· ordinazione, in cui ci si occupa della formalizzazione degli obiettivi da raggiungere, la costruzione della fiducia e la mobilitazione delle risorse;
· implementazione, in cui si suddividono e assegnano i ruoli e le responsabilità;
· fase di valutazione, in cui si verifica se gli obiettivi sono stati raggiunti;
· fase di trasformazione, in cui si prendono decisioni sull’evoluzione della
· partnership o sulla sua fine. (Elbe, Hallen, Axelsson, 2009);
2. Processo di collaborazione per aumentare il livello di coinvolgimento delle partnership nelle diverse fasi. Il livello di coinvolgimento rappresenta l’intensità del tempo e delle energie spese in ogni fase della collaborazione. Esistono due picchi di coinvolgimento nella fase di assemblaggio e in quella di implementazione. Seppure, come già affermato nel processo di collaborazione, non esistono particolari distinzioni tra le varie fasi di creazione e sviluppo di un DMO, in quanto si tratta di un continuum temporale e operativo, gli intervistati hanno sottolineato che la prima e la terza fase sono quelle che richiedono un coinvolgimento maggiore: sono considerate le fasi maggiormente operative per la strutturazione e il funzionamento di un DMO.
3. Processo di comunicazione per gestire i conflitti. I conflitti nascono frequentemente durante i processi di collaborazione e sono spesso dovuti a visioni diverse nelle strategie di marketing e di gestione del DMO, o a conflitti tra interessi personali e collettivi o tra competitor. Per tale motivo le organizzazioni turistiche coinvolte nella partnership sono spesso alla ricerca di soluzioni ai conflitti. Gli intervistati indicano che i conflitti vengono spesso gestiti attraverso la comunicazione e il compromesso, sottolineando ancora una volta l’importanza dell’interazione e della comunicazione come fil rouge che tiene unito e legittima il DMO.
4. Processo di comunicazione per gestire la percezione della relazione tra benefici individuali e benefici comuni, e la percezione della relazione tra competizione e cooperazione (Watkins e Bell, 2003). Prevenire i conflitti significa comunicare in modo chiaro gli interessi comuni per raggiungere i quali è stato creato il DMO e chiarire nel contempo i vantaggi che tale cooperazione può portare, superando individualismi e rivalità.
8.6 Implicazioni manageriali
L’ente proponente la realizzazione di un DMO o la sua reingegnerizzazione inserisce tale linea d’azione in un piano strategico pluriennale che prevedere il web marketing e il relativo piano di comunicazione circolare, interattivo e discontinuo. Successivamente, seleziona un destination manager e lo sceglie tra i candidati in quanto soggetto assimilabile al knowledge manager: in particolare, valuta le sue capacità di sviluppatore e di facilitatore delle partnership collaborative, attribuendogli una legittimazione in base a valori cognitivi, pragmatici e politico-sociali.
Tra le competenze del destination manager c’è la capacità di avviare il processo puntando sulla comunicazione interna. L’organizzazione interna di un DMO è volta a creare partnership collaborative per la promozione coordinata e condivisa della destinazione. Pertanto, l’organizzazione è flessibile e collaborativa, attraversata al suo interno da flussi comunicativi e scambi di competenze, cercando di superare ostacoli, divergenze e conflitti interni, molti dei quali sono simili in varie situazioni, ma spesso specifici della singola destinazione. Per esempio, il passaggio dall’individualismo al marketing collaborativo è diffuso nelle realtà dominate da piccole e medie imprese, mentre la strategia della sicurezza è specifica (e preliminare al web marketing) di alcune regioni italiane e non di tutte. Capire con l’auto-diagnosi o auditing interno i livelli di partenza di una destinazione significa ricevere reputazione sul fatto che non si propongono modelli da libro dei sogni, ma passi incrementali cognitivi, pragmatici e politco-sociali.
La legittimazione del DMO può attenuare i conflitti e le problematiche che ostacolano la collaborazione, mettendo in luce i “vantaggi” che tali partnership portano sia alla destinazione sia a ogni singolo attore che ne fa parte, adottando un piano di web marketing. I benefici apportati dalla collaborazione con un DMO possono essere riassunti nei seguenti punti:
· budget totali maggiori rispetto a quelli a disposizione del singolo, con il conseguente investimento individuale ridotto;
· unica strategia di marketing per un’immagine più forte e dall’appeal maggiore per il turista, che attirerà maggiori flussi turistici e un conseguente incremento del business;
· costruzione di una rete fiduciaria on line con forum e blog, partecipando al mercato delle conversazioni in cui proiettare l’immagine della destinazione, che si è adattata in modo olistico a soddisfare le esigenze dei singoli turisti;
· condivisione di capacità e di know how non posseduti dai singoli operatori locali per promuovere efficacemente una meta nel nuovo mercato turistico globale, connettendo con la comunicazione il locale a target resi “accessibili” da internet;
· maggiore visibilità sul web grazie all’utilizzo dei nuovi strumenti di web marketing e del SEO, spesso proibitivi per le piccole realtà, sia dal punto di vista dei costi, sia dal punto di vista delle conoscenze richieste per operare con le regole del web 2.0;
· possibilità di offrire informazioni e un prodotto completo e integrato al turista, non realizzabile né dal singolo fornitore né da altri enti presi singolarmente;
· possibilità di diffondere le informazioni tra una rete di operatori ed enti, per far più facilmente circolare le notizie anche tra i turisti;
· miglioramento e valorizzazione delle attrattive locali e della qualità dei servizi erogati;
· definizione dell’USP (Unique Selling Proposition) del territorio con conseguente differenziazione dalla concorrenza e aumento della notorietà, con benefici per il territorio e operatori locali.
Internet, attraverso opportune strategie di web marketing, può aiutare a diffondere il brand, i prodotti, i servizi, la cultura e i valori di una destinazione, spesso con budget più contenuti rispetto alla pubblicità sui mass media. Ma certo da solo il web non basta, occorre di fondo un’organizzazione fatta di relazioni umane volte alla collaborazione. Infatti, il gruppo creativo dell’incoming, la cui formazione spesso va affidata a un “facilitatore esterno” che accompagna l’azione del DMO, realizza la destinazione ospitale con il brand building della città creativa (Vicari Haddock, 2010).
Delineato il processo di legittimazione e le caratteristiche di funzionamento di tale organizzazione, si può quindi procedere con la fase successiva, quella più operativa o fase 1: occorre capire come tale DMO può svolgere il suo ruolo di promozione e di commercializzazione, avvalendosi degli strumenti che il web mette a disposizione (vedi Capitolo 12).