WEB MARKETING E TURISMO

10. FASE 2: PROMOZIONE DEL BRAND ATTRAVERSO IL WEB MARKETING

10 Destination brand: definizioni e funzioni. Verso il brand collaborativo

10.1.1 Definizioni di destination brand

Per comprendere il ruolo del DMO nelle azioni promozionali, occorre innanzitutto definire il concetto di destination brand.

Secondo Buhalis (2000), una destinazione turistica è una specifica area geografica in grado di attrarre turisti, grazie a una vasta gamma di prodotti turistici forniti da imprese private, organizzazioni ed enti pubblici, ma è presente nel mercato come brand costituito dall’immagine delle esperienze turistiche tra loro combinate con i servizi e beni disponibili per il turista.

Tale definizione è la prima a considerare il brand come un risorsa produttiva, seppur immateriale o intangibile, perché la destinazione esiste se veicola prodotti esperienziali che partecipano all’immaginario collettivo della società post-industriale (gioco di sguardi) e, più recentemente, al mercato delle conversazioni on line (società dell’informazione). Infatti, Buhalis è stato il pioniere dell’idea che la multimedialità permette di vivere un’esperienza senza avere ancora visitato il luogo: i servizi della destinazione sono stati già testati e selezionati perché vissuti nell’ambiente virtuale che diventa una risorsa produttiva per veicolare il destination branding.

La vera fonte di differenziazione di una meta turistica non risiede soltanto nell’offerta tradizionale di beni e servizi, ma piuttosto nell’offerta immateriale di esperienze ed emozioni coinvolgenti, che si concretizzano nella marca o brand.

Secondo Del Chiappa, il destination brand è

“Un asset immateriale che sintetizza l’intera storia evolutiva della destinazione e, non meno importante, l’insieme delle esperienze immateriali e emotive che i turisti hanno maturato nel tempo nei confronti dell’offerta sottostante”. (Del Chiappa, 2007, p. 65)

Se ne deduce che il brand di una destinazione turistica può essere definito a sua volta come:

“l’insieme delle credenze e impressioni che le persone hanno di un luogo. L’immagine rappresenta la semplificazione di un insieme di associazioni e informazioni connesse a un determinato luogo. È sostanzialmente il prodotto della mente, un estratto delle informazioni essenziali provenienti da un grande numero di informazioni e dati di un luogo”,

(Morgan, Pritchard, Pride, 2004, p.42)

Gli autori introducono il concetto di associazioni mentali per definire che cos’è una destinazione, de-territorializzando ulteriormente il concetto di destinazione.

Cai (2002) sottolinea un aspetto essenziale della destinazione, che si collega a un tema- chiave del ciclo spazio-temporale del viaggio, cioè ai ricordi:

“le percezioni sul luogo in quanto riflesse dalle associazioni trattenute e rielaborate dalla memoria turistica”. (Cai, 2002, p. 723)

La destinazione esiste se qualcuno la ricorda in modo diretto dopo l’esperienza sul luogo o in modo indotto dai new media nella fase pre-trip anche a seguito delle azioni promozionali del DMO. La destinazione è l’esperienza che tutti gli stakeholderes modellano attraverso le percezioni, le valutazioni e i ricordi.

10.1.2 Funzioni del brand

Il DMO, che vuole veicolare un destination brand tramite web, si trova ad affrontare un problema preliminare, evidenziato dalla ricerca di Tasci e Kozek (2006) sugli operatori, pubblici e privati, dell’incoming USA. Essi sono semplicemente confusi e mostrano molte difficoltà nell’identificare la funzionalità di un simbolo per la destinazione e nel distinguere il processo di erogazione di un brand per prodotti da un brand per la destinazione: le implicazioni socio-culturali che tale trasferimento comporta costituisco il gap tra conoscenze formali, disponibili in articoli e manuali, e conoscenze implicite su cui innestare le prime. Al punto che Tasci e Kozak (2006) si chiedono se studiosi e operatori sanno che cosa significano brand e immagine.

Per accompagnare gli operatori nel processo di chiarificazione, Tasci e Kozek (2006) e Qu, Kim e Im (2010) propongono che il destination manager e i suoi collaboratori insegnino agli stakeholder con cui realizzare il sito e il web marketing, di distinguere tra:

·       brand della destinazione, che riguarda un’area ristretta con associazioni collegabili direttamente con le tematiche dell’ospitalità. Esso serve per costruire immagini, cognitive e affettive, che inventino l’unicità del luogo per differenziarlo dalla concorrenza;

·       immagine della destinazione, che riguarda le connessioni del luogo a un’area più ampia ed è composta da molteplici variabili mentali non riconducibili solo all’ospitalità, ma anche ad altre attività indotte dalla multifunzionalità della destinazione. L’immagine è quindi pre-esistente al brand.

Il brand è funzionale, in sintesi, a rinnovare l’ospitalità, l’immagine complessiva della destinazione, molto più ampia dello stesso brand.

Quindi si procede a un’ulteriore distinzione tra

·       identità del brand, creata dal DMO con finalità di vendita dei prodotti turistici dell’area: funge da “ombrello” all’interno del quale si inseriscono i brand delle aziende perché il simbolo cede il prestigio dell’identità geografica (l’identità della Toscana cede prestigio all’identità di un albergatore inserito nel sito, per esempio): indica una direzione e dovrebbe facilitare le associazioni nella mente del turista, proponendo benefici e vantaggi, sentimenti favorevoli ottenibili in modo speciale soltanto recandosi sul luogo per spendervi gioiosamente il denaro;

·       immagine del brand, cioè le associazioni percepite dal fruitore, effettivamente presenti nella sua testa in rapporto agli input identitari del brand e connessa a precedenti immagini del luogo.

La relazione tra identità e percezione del brand è reciproca in quanto gli sforzi della vendita devono avere qualche effetto sul comportamento del destinatario perché, altrimenti, non si può nemmeno ipotizzare il concetto di identità, che deve essere riconosciuta e valutata per scegliere prodotti esperienziali. Ed è la scelta, il comportamento d’acquisto che conferma l’efficacia o meno dell’identità del brand. E ciò è in sintonia con la teoria del prosumer.

Infine, il destination branding è un processo di costruzione dal basso, per cui il capo della DMO testa il brand con focus group con gli stakeholder per raggiungere la condivisione, la più larga possibile, sia in termini di performance o responsabilità sociale dell’impresa, sia in termini di capacità relazionale nel generare proposte. Ma non tutti i portatori di interesse hanno lo stesso peso. Si procede a distinguere tra:

·       stakeholder primari: che possono cioè dare sostanza al brand oppure indebolirlo. Essi hanno un rapporto formale, ufficiale e contrattuale con il DMO. La loro presenza è irrinunciabile per il funzionamento del DMO come sistema vitale (Golinelli, 2002). Per esempio, se gli albergatori non aggiornano prezzi e disponibilità delle camere, il portale regionale favorirà l’accesso al sito ma non l’acquisto dei servizi;

·       stakeholder secondari: che possono dare sostanza al brand, oppure lanciare ombre mediante critiche, influenzando gli operativi in modo indiretto. Hanno con il DMO un rapporto informale, generando rumori di fondo. Per esempio, un intellettuale può criticare il dirigente di un museo perché organizza eventi considerati effimeri e culturalmente superficiali, con lo scopo, considerato orribile, di attrarre turisti e acconsentire al commercio di libri, souvenir, magliette. Influenza così in modo indiretto il lavoro del DMO.

Compreso il potenziale di ogni stakeholder e la sua capacità di facilitare o minacciare il brand della destinazione, il destination manager cerca di coinvolgere le principali parti interessate nei processi decisionali e gestionali e poi definisce quale linea di condotta tenere con ogni stakeholder.

10.1.3 Il branding collaborativo come azione specifica del marketing collaborativo

Cai (2002), Camprubi, Guaia e Comas (2008), Kim, Lee S. e Lee H. Y. (2007), Marzano e Scott (2009) evidenziano il ruolo del “potere” nel processo di creazione del brand della destinazione, riproponendo la questione di un “nuovo” marketing, definito marketing collaborativo (Fyall e Garrod, 2005). Di qui, le due funzioni chiave del brand: organizzativa e di marketing (Del Chiappa, 2007).

Perché la destinazione sia ricondotta, in termini di presenza reale nel mercato turistico, l’identà del brand implica che i diversi attori, i molteplici componenti dell’offerta turistica, agiscano in modo interdipendente per la promozione turistica della meta (Elbe, Hallen, Axelsson, 2009). Il branding è quindi la conseguenza di un’attività di organizzazione e di coordinamento dei diversi attori, al fine di condividere l’identità del brand e un obiettivo comune, che si concretizzano nelle azioni promozionali e di marketing. Comunicare un’identità distintiva e univoca della destinazione, grazie al coordinamento e la legittimazione del DMO con gli stakeholders locali, risulta essere un passo indispensabile per assumere un collocamento nel mercato e nella mente dei turisti, senza creare immagini conflittuali controproducenti (Gunn, 1972; Selby, Morgan, 1996) e cercando di minimizzare i “rumori” esterni provenienti dagli stakeholder secondari della comunità locale, dai media e dal mercato che possono distorcere il processo di costruzione congiunta dell’identità del brand.

Il destination manager promuove forme avanzate di collaborazione tra stakeholders primari proprio per “allenare” gli attori a saper lavorare in gruppo e convergere verso un modello integrato di brand image.

Per esempio, può promuovere il co-branding tra le imprese dell’incoming all’interno del brand della destinazione, inteso come “ombrello” che consente a ciascun attore di essere protetto dalle intemperie della concorrenza. Il co-branding è una strategia che ha fiducia nella possibilità di vincere insieme (modello win-win) perché aiuta a vendere di più, a risparmiare nel mix promozionale. Consiste in molteplici alleanze d’affari con la condivisione di spazi fisici o virtuali e di reti distributive comuni, pur mantenendo ciascuno l’indipendenza del singolo brand. È adatto alle piccole e medie imprese dell’ospitalità che:

·       non hanno risorse economiche a sufficienza per agire autonomamente e quindi supera tale limite entrando in un network orizzontale guidato dal DMO;

·       vogliono servire una tipologia simile di turisti perché hanno migliorato l’offerta proprio per posizionarla sul target di cui pensano di conoscere gli stili di vita.

Il sito web del DMO dovrebbe, di conseguenza, accrescere la credibilità di tali alleanze, generando un global promo delle reti per gestire un’identità del brand rafforzativa e specificante, che cede prestigio alle singole aziende, legittimandosi come attore istituzionale market oriented (Camprubi, Guia, Comas (2008). In parallelo, le imprese accettano che la loyalty di tutti i partecipanti sia rivolta alla brand image della destinazione (Kim, Lee S. e L ee H. Y, 2007).

In tale contesto, la credibilità delle informazioni immesse nel website dagli operativi è il primo passo del brand collaborativo e per una più generale credibilità sul web da parte del DMO, che quindi può essere persuasivo (Loda, Teichmann, Zins, 2008) e avviare il nuovo modo d’essere e di comunicare nel mercato delle conversazioni, al posto di quella seduzione, centrata sulle direttive one-to-many, tipiche della pubblicità generalista, a cui ricorrono ancora oggi anche i big players del turismo industriale di massa.

Il focus sul destination brand non va, in sintesi, posizionato soltanto sulla sua rilevanza esterna ma sulla creatività interna per attrarre visitors nella destinazione. Il collaborative branding è la conseguenza di un processo collaborativo interno che potenzia le competenze degli stakeholder primari nell’operare scambi paritari.

Marzano e Scott (2009) pongono la domanda: che tipo di potere viene attivato nel destination branding? Ricordano che la visione “romantica” della collaborazione basata sulla fiducia non regge a una attenta analisi politologica. Vi è sempre una dimensione nascosta dietro la facciata delle intenzionalità relazionali e connettive, che esprimono il “volto amichevole” del potere. Un potere che poi può agire per manipolare gli attori, capitalizzando i propri vantaggi sui limiti degli stakeholders.

La risposta non è facile: lo stile di comando, decisamente autorevole e imposto dall’alto, distingue alcuni imprenditori della “nuova economia” (da Bill Gates a Steve Jobs, a Mark Zuckenberg) e somiglia a quello degli imprenditori-padroni delle piccole e medie imprese del made in Italy o del capitalismo delle origini o del “nuovo” modello cinese. La partnership collaborativa per il brand management appare la fissazione di intellettuali “democratici”. In realtà, così non è: è la natura frammentata delle imprese turistiche a spingere verso il marketing territoriale e il branding collaborativo. Consente di rafforzare le reti con un piano di sviluppo utile a competere con più efficacia e più opportunità di successo nel mercato globale sempre più dominato da alleanze pubblico-privato. E la co- produzione del destination brand è lo strumento più utile per uscire dalla frammentazione e generare giocatori territoriali più ricchi, potenti e meglio attrezzati, anche sul piano del web marketing. Di conseguenza, la complessità è tale che l’autorità coercitiva dall’alto non avrebbe effetti associativi ma dissociativi.

Marzano e Scott (2009) ci invitano a riflettere sul fatto che il modello top down si possa accompagnare a quello bottom up e che il destination manager deve essere una “personalità autorevole ma non autoritaria”: conosce le tematiche e sa agire come facilitatore per innovare. Sul piano personale, è giudicato intelligente, ha esperienza, moralmente corretto, capace di ascoltare e di distribuire i compiti, è assunto come fiduciario delegato da parte della comunità locale che cerca un professionista dello sviluppo locale e non un politico di professione, anche se le sue competenze politiche sono rilevanti (Costa, 2005).

10.1.4 La comunicazione del brand nel web

La collaborazione interna per creare un brand condiviso è solo il primo passo. Il brand va poi comunicato correttamente e, restringendo il nostro campo di analisi alla promozione online, occorre strutturare un’azione di marketing coordinata, che non si limiti a proporre il brand sul sito web ufficiale, ma che sia in grado di sviluppare un piano promozionale online e offline coerente. Un piano che attraversi tutte le fasi del modello di comunicazione online circolare, interattivo e discontinuo, al fine di creare un’identità distintiva e nota. Un’immagine a cui si associano valori speciali che sono stati realizzati a seguito del lavoro specialistico e amichevole svolto dal DMO dal basso, per cui l’immagine non è forte ma speciale, costruita attraverso la forza creativa dei legami laschi sviluppati dal basso per premiare le prestazioni dei talenti locali nella ristorazione o nell’alberghiero o nelle varie interdipendenze settoriali che danno sostanza, credibilità e familiarità al brand o brand reputation (Costa, 2008).

Sicuramente cimentarsi nella promozione online della destinazione significa confrontarsi con il continuo progresso tecnologico, i media “globali” e “sociali” e l’aumento della competizione internazionale, che influiscono sempre di più sulla percezione di una destinazione, sulla sua immagine e sui flussi turistici che vi si dirigono.

La formazione del brand e la comunicazione turistica online in senso lato non sono più un processo “push”, di massa e a senso unico, ma un processo dinamico fatto di condivisione, riflessioni, esperienze, è pull e interattivo (Govers, Go, Kumar, 2007). Dalla comunicazione a senso unico si passa alla comunicazione bidirezionale e interattiva, la sua caratteristica è la fluidità conversazionale, amichevole e specialistica. È una comunicazione innovativa che si alimenta di ascolto e conversazioni “tra” e tra le persone, grazie all’utilizzo di media vecchi e nuovi che richiedono nuove competenze e know-how, per comunicare l’immagine di una meta, ma soprattutto la sua reputazione (Iabichino, 2009).

Nella fase 2, si tratta di comunicare il “volto amichevole” della destinazione o l’identità del brand attraverso il web, dopo aver svolto un’intensa attività di comunicazione interna, basata sulla chiarificazione dei concetti-guida di brand e identità e immagine del brand, marketing collaborativo.

Un caso di successo è il brand “Downtown Dubai” con lo slogan “Dubai, Centre of Now”. Downtown Dubai è il più moderno sviluppo urbano al mondo, descritto come il cuore pulsante di Dubai, con i suoi 500 acri che si sviluppano intorno al Burj Khalifa, l’edificio più alto al mondo, il Dubai Mall, il centro commerciale più grande al mondo, e innumerevoli divertimenti divenute ormai attrazioni turistiche.  Rinominato come il chilometro quadrato più prestigioso del mondo e definito ‘The Center of Now’, Downtown Dubai è il progetto di punta da 20 miliardi di dollari della Emaar Properties.

La campagna promozionale di Downtown Dubai è stata curata da StrawberryFrog, che ha dimostrato un’incredibile comprensione del fermento che pervade e sta dando forma a Dubai, oltre che della percezione che i potenziali clienti hanno di questa destinazione globale e del ruolo che Dubai Downtown riveste in questo contestoL’intervista a Scott Goodson, fondatore e CEO di StrawberryFrog, può dare una visione completa del progetto di comunicazione e promozione del brand

Sintesi perfetta delle azioni di promo-commercializzazione del brand, è il video realizzato da StrawberryFrog

10.2 Implicazioni manageriali per il DMO

10.2.1 Formazione

Alla limitata conoscenza delle metodologie di base per la gestione del brand e dell’immagine (Tasci e Kozak, 2008) si somma la limitata conoscenza dei processi promozionali e delle “regole” del web. Questo gap non è una sorpresa: è un risultato atteso, perché è il gap che la “società della conoscenza” vuol riparare. La conseguenza negativa è l’immersione nell’uso degli strumenti di web marketing e di comunicazione online senza un preciso schema di azione, con effetti frustranti per i lavoratori.

Le rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori dovrebbero investire in lavoro competente, come sostenuto da Ebit (2008), l’Ente bilaterale delle industrie turistiche, aderente a Federturismo/Confindustria, con particolare riferimento alle middle skills richieste per il web marketing collaborativo. In parallelo, gli enti locali dovrebbero istruire il manager dell'ospitalità, definendo le up skills di un dirigente pubblico market oriented.

10.2.2 Procedure

Le procedure dell’aggiornamento utilizzano l’affiancamento del lavoratore a “chi sa e sa fare”, adottano il metodo del learning by doing.

Implementare la comunicazione strategica del brand richiede alcuni passaggi fondamentali (Del Chiappa, 2007):

1. verificare l’esistenza di eventuali gap e discrasie tra l’immagine del prodotto/servizio del singolo operatore e quella della destinazione nel suo complesso. Il brand e l’immagine della destinazione deve essere condivisa (brand collaborativo) da tutti gli stakeholders presenti sul territorio, al fine di evitare conflittualità di immagine;

2. implementare un’efficace strategia di comunicazione integrata (si rimanda al Capitolo 1),  ossia una strategia che abbia lo specifico obiettivo di integrare e rendere reciprocamente coerenti i diversi contenuti, messaggi e strumenti di comunicazioni utilizzati dalle diverse fonti. È cioè opportuno utilizzare diversi canali (multicanalità) e strumenti (multimedialità) per promuovere e far conoscere il brand, integrando coerentemente strumenti offline e online;

3. implementare un’efficace strategia di interattività (si rimanda al Capitolo 4) e dialogo tra il DMO e i turisti. Il brand deve diventare il simbolo riconoscibile delle community aggregate intorno allo stesso, deve coinvolgere il turista e creare reti di persone in grado di comprendere e diffondere spontaneamente i valori del brand e della destinazione. Il brand non deve quindi rimanere il simbolo chiuso in se stesso, a uso interno e atto solo a identificare gli stakeholders e la destinazione. Deve, invece, essere un simbolo che porta valori condivisi dalla community, aperto e disponibile a entrare nelle conversazioni online nei social media;

4. declinare il brand per specifiche nicchie o prodotti di nicchia (si rimanda al Capitolo 3), al fine di creare un’immagine rispondente alle esigenze dei molteplici turisti. Declinare il brand significa anche declinare la comunicazione dello stesso, secondo la logica del narrowcasting;

5. valutazione della brand image (si rimanda al Capitolo 12), con sistematico confronto con quelli delle destinazioni concorrenti e con i feedback provenienti dai turisti. Un controllo continuo della reputazione del brand e della destinazione, grazie all’analisi delle conversazioni, si rende necessario soprattutto sul web, dove le opinioni circolano liberamente e vanno monitorate al fine di aumentare la fiducia, la reputazione e il passaparola positivo, ponendo nel contempo rimedio ai commenti negativi con azioni concrete.

Al fine di comprendere quali sono le azioni pratiche da attuare per pianificare un’attività in rete seguendo i cinque punti sopra esposti, si pongono interrogativi precisi, perché il metodo didattico è induttivo, dal pratico al teorico.

Il set delle domande è uno strumento di riflessione. Suggerito da Madri Internet Marketing, azienda che fornisce formazione nel campo del web marketing, mette le basi per un piano di web marketing.

Destination manager, imprenditori e lavoratori cercano di  di rispondere ai seguenti interrogativi:

·       Analisi - Come agisce la concorrenza? Quali sono le caratteristiche e la vocazione distintive della destinazione? - Mezzi - Quale mix promozionale utilizzare? Quali strumenti online ed offline selezionare?

·       Obiettivi - Cosa si vuole fare e comunicare, e perché? Insieme a quali stakeholders?

·       Target - A chi ci si rivolge e perché? Quale nicchia di mercato si vuole coinvolgere e con

·       quale declinazione di brand?

·       Strategie - in quale modo raggiungere gli obiettivi? Quali strumenti utilizzare, e come? (SEO, PPC, Social media ecc.)

·       Tempi - in quali tempi raggiungere gli obiettivi?

·       Risultati - cosa si è ottenuto e perché? Come effettuare il monitoraggio della brand reputation? Quali rimedi porre ai feedback negativi e come incentivare quelli positivi?

Rispondere a queste domande permette di capire quali obiettivi realistici porsi in base ai bisogni e desideri del target e alle azioni poste in essere dalla concorrenza. Permette inoltre di comprendere quali messaggi e strumenti sono più utili per indirizzare le azioni promozionali al target di riferimento, quali sono i tempi per ottenere risultati e verificare se gli obiettivi posti sono stati raggiunti (Belemmi, 2007).